Ho partecipato qualche giorno fa ad una tavola rotonda sulle “Competenze che servono al futuro”, nell’ambito del Festival delle Comunità del Cambiamento. Un’esperienza di rete molto interessante e coinvolgente, con l’obiettivo di aumentare l’impatto sociale delle tante comunità spontanee che sono all’opera sul campo per un migliore futuro della società.
Insieme al collega Giorgio Ventre abbiamo presentato il progetto “Programma il Futuro”, dedicato all’introduzione nelle scuole italiane delle fondamenta culturali dell’informatica, il cosiddetto “pensiero computazionale”.
Nel suo primo anno di attività il progetto ha ottenuto un enorme successo, avvicinando a questo tema più di 300.000 studenti e 5.000 insegnanti, in più di 2.000 scuole e 16.000 classi. Dei risultati del primo anno se ne parla più diffusamente su questa pagina.
“Che cos’è esattamente il pensiero computazionale?”, ci chiedono spesso quando parliamo del nostro progetto. L’articolo che ha introdotto questo termine è in inglese ed una presentazione più sintetica in italiano la trovate su questa pagina. In poche parole, mediante il pensiero computazionale si definiscono procedure che vengono poi attuate da un esecutore, che opera nell’ambito di un contesto prefissato, per raggiungere degli obiettivi assegnati. Tutti e quattro i termini evidenziati nella frase precedente sono essenziali: procedura (le istruzioni da seguire), esecutore (il soggetto che le realizza), contesto prefissato (cosa ha disposizione il soggetto), obiettivi assegnati (qual è il risultato desiderato). Il concetto è magistralmente esemplificato da questo video (estratto dal film “Apollo 13”), che infatti ormai regolarmente mostriamo nel corso dei nostri interventi.
Cosa c’entra tutto questo con le “Competenze che servono al futuro”? E’ presto detto. Capire cosa sarà utile nel futuro è un esercizio difficilissimo. Ci sono molti esempi di previsioni drammaticamente sbagliate da parte di persone peraltro assai esperte nel loro settore. Cosa si può fare, allora? Una possibilità è quella di privilegiare l’apprendimento di competenze metodologiche su quelle tecnologiche. La tecnica ha ormai raggiunto un ritmo di aggiornamento elevatissimo. La tecnologia che posso imparare oggi presumibilmente tra 20 anni sarà marginale.
In questa direzione, la migliore possibilità è impadronirsi di quelle che possiamo chiamare meta-competenze, cioè competenze che aiutano ad acquisire competenze. In tal modo, qualunque sarà l’effettiva capacità che mi servirà tra 20 anni, quando sarà il momento avrò più facilità ad assimilarla.
Il pensiero computazionale costituisce una meta-competenza, perché la sua applicazione sviluppa la capacità di mettersi nei panni di un esecutore che deve raggiungere un obiettivo e di formulare una procedura che lo guidi ad ottenere tale risultato dato il contesto in cui opera. E’ come quando si sta insegnando qualcosa a qualcuno: nel momento della lezione avviene la verifica ultima del proprio apprendimento. Con l’ulteriore caratteristica, però, che nell’ambito del pensiero computazionale questo qualcuno non ha quell’intelligenza umana che permette di riparare eventuali aspetti mancanti o fallaci nell’insegnamento esposto. Pertanto, bisogna esplicitare tutti gli aspetti (anche quelli relativi alla distribuzione e coordinamento), verificarne la coerenza interna e la consistenza rispetto al contesto, assicurarsi della loro correttezza e completezza rispetto agli obiettivi. Il controllo su come e quanto si è imparato è perciò preciso e continuo e l’effetto formativo massimizzato.
Il contesto operativo in cui si può apprendere questa meta-competenza è quello del coding, cioè la programmazione informatica, che proprio per questo sta venendo introdotta – nei suoi aspetti culturali e metodologici – nei programmi educativi delle scuole di molti paesi europei. È importante ribadire che la meta di questi sforzi non è far diventare tutti gli studenti dei programmatori.
Possiamo a questo proposito citare George Forsythe, analista numerico ed uno dei padri della formazione universitaria in informatica, in quanto fondatore del dipartimento di informatica dell’Università di Stanford negli Usa, uno dei primi a nascere ed uno dei migliori al mondo, che nel 1968 aveva scritto (p.456): «Le acquisizioni più valide nell’educazione scientifica e tecnologica sono quegli strumenti mentali di tipo generale che rimangono utili per tutta la vita. Ritengo che il linguaggio naturale e la matematica siano i due strumenti più importanti in questo senso, e l’informatica sia il terzo.».