“Un gigante dai piedi d’argilla”. Tutta forma, poca sostanza. L’Agenzia per le politiche attive del lavoro, tenuta a battesimo dagli ultimi decreti attuativi del Jobs act, doveva essere il cavallo di battaglia della riforma, facilitando il reinserimento lavorativo di quanti si ritrovano senza un’occupazione. Ma Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico del centro studi Adapt, non ritiene il progetto del governo all’altezza delle promesse. Anzi, sottolinea come il decreto cancelli uno strumento utile a trovare un nuovo lavoro ai disoccupati, cioè il contratto di ricollocazione.
Prima di addentrarsi nei commi del decreto, occorre precisare cosa siano le politiche attive, cioè quegli interventi che intendono favorire l’occupazione e il reinserimento lavorativo: si tratta del ruolo dei centri per l’impiego, dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, della formazione dei soggetti disoccupati, della presenza di punti di orientamento in scuole e università, degli incentivi per le assunzioni. L’obiettivo dichiarato del Jobs era sì di rendere più flessibile il mercato del lavoro (vedi licenziamenti più facili), ma dall’altro lato anche tutelare con questi strumenti chi avrebbe perso il posto. Eppure, secondo Tiraboschi, è proprio questo pezzo che manca. “Tutta la parte che serve ad avvicinare offerta e domanda di lavoro non c’è – spiega il giuslavorista – Il decreto è tutto orientato sulla struttura dell’agenzia, per decidere chi sarà il presidente, chi il direttore e così via. E invece c’è poca sostanza: senza le politiche, l’infrastruttura è un gigante dai piedi d’argilla”. Con l’effetto di tradire l’impianto originale con cui era stato lanciato il Jobs act: “Il governo parte dal tetto della casa, cioè smontare l’articolo 18, senza avere preparato le nuove tutele”.
A sostegno della sua tesi, il giuslavorista porta l’esempio del pasticcio sul contratto di ricollocazione. Nelle intenzioni del governo, doveva favorire il reinserimento lavorativo. Il disoccupato si sarebbe presentato al centro per l’impiego e ricevuto una dote economica per pagare un’agenzia per il lavoro: qui avrebbe firmato il vero e proprio contratto e, affiancato da un tutor, cercato una nuova occupazione. Buona parte dell’importo sarebbe stato erogato all’agenzia solo a risultato ottenuto, per incentivare la ricollocazione del lavoratore. Ebbene, la storia di questo strumento è stata stroncata sul nascere.
Il contratto di ricollocazione ha visto la luce il 24 dicembre scorso, con il decreto sulle tutele crescenti. Due mesi dopo è stato spostato nell’altro provvedimento, quello sui nuovi ammortizzatori sociali. E infine, il decreto sulle politiche attive lo cancellerà: al suo posto si introduce un “assegno di ricollocazione”. “Ma si tratta di uno strumento più debole e opaco – afferma il professore – Oggi il contratto di ricollocazione è un diritto per tutti i senza lavoro. Con il nuovo decreto, invece, varrà solo per i disoccupati da più di sei mesi. Ed è un errore, perché la ricollocazione si deve ricostruire il giorno dopo la perdita del lavoro. Non solo. E’ un diritto non diritto, perché la legge ora precisa che vale solo nei limiti delle risorse disponibili”. E sul piatto, sottolinea il docente, il governo ha messo, per ora, poco meno di 60 milioni di euro: “Queste risorse valgono per meno di 20mila persone a fronte dei 3,4 milioni di disoccupati in Italia. Una presa in giro”.
In questo quadro, si inserisce anche l’incertezza che aleggia sui centri per l’impiego, il braccio operativo delle politiche attive. La riforma costituzionale del ministro Maria Elena Boschi vuole riportare queste strutture, finora gestite da Province e Regioni, in mano allo Stato. Ma per portare a termine questa operazione, servirà un’intesa con i governatori. “Nel frattempo, si crea un vuoto – ragiona Tiraboschi – Questo decreto del Jobs act nasce come incostituzionale. L’accentramento delle competenze è contrario alla Carta: se il governo non trova un’intesa con le Regioni, si rischia l’intervento della Consulta”. E intanto i dipendenti dei centri per l’impiego rimangono nell’incertezza, mentre “il disoccupato si trova chiuso in un braccio di ferro istituzionale tra Regioni e Stato: l’interesse della politica passa sopra le esigenze della gente in carne e ossa”.
Lavoro & Precari
Jobs act, ‘su politiche attive poca sostanza. Cancellato contratto ricollocazione’
Per Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all'università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico del centro studi Adapt, il decreto che crea l'Agenzia per le politiche attive non è all'altezza delle promesse e cancella la dote economica ad hoc per tutti i disoccupati che cercano un nuovo impiego con l'assistenza di un tutor
“Un gigante dai piedi d’argilla”. Tutta forma, poca sostanza. L’Agenzia per le politiche attive del lavoro, tenuta a battesimo dagli ultimi decreti attuativi del Jobs act, doveva essere il cavallo di battaglia della riforma, facilitando il reinserimento lavorativo di quanti si ritrovano senza un’occupazione. Ma Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico del centro studi Adapt, non ritiene il progetto del governo all’altezza delle promesse. Anzi, sottolinea come il decreto cancelli uno strumento utile a trovare un nuovo lavoro ai disoccupati, cioè il contratto di ricollocazione.
Prima di addentrarsi nei commi del decreto, occorre precisare cosa siano le politiche attive, cioè quegli interventi che intendono favorire l’occupazione e il reinserimento lavorativo: si tratta del ruolo dei centri per l’impiego, dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, della formazione dei soggetti disoccupati, della presenza di punti di orientamento in scuole e università, degli incentivi per le assunzioni. L’obiettivo dichiarato del Jobs era sì di rendere più flessibile il mercato del lavoro (vedi licenziamenti più facili), ma dall’altro lato anche tutelare con questi strumenti chi avrebbe perso il posto. Eppure, secondo Tiraboschi, è proprio questo pezzo che manca. “Tutta la parte che serve ad avvicinare offerta e domanda di lavoro non c’è – spiega il giuslavorista – Il decreto è tutto orientato sulla struttura dell’agenzia, per decidere chi sarà il presidente, chi il direttore e così via. E invece c’è poca sostanza: senza le politiche, l’infrastruttura è un gigante dai piedi d’argilla”. Con l’effetto di tradire l’impianto originale con cui era stato lanciato il Jobs act: “Il governo parte dal tetto della casa, cioè smontare l’articolo 18, senza avere preparato le nuove tutele”.
A sostegno della sua tesi, il giuslavorista porta l’esempio del pasticcio sul contratto di ricollocazione. Nelle intenzioni del governo, doveva favorire il reinserimento lavorativo. Il disoccupato si sarebbe presentato al centro per l’impiego e ricevuto una dote economica per pagare un’agenzia per il lavoro: qui avrebbe firmato il vero e proprio contratto e, affiancato da un tutor, cercato una nuova occupazione. Buona parte dell’importo sarebbe stato erogato all’agenzia solo a risultato ottenuto, per incentivare la ricollocazione del lavoratore. Ebbene, la storia di questo strumento è stata stroncata sul nascere.
Il contratto di ricollocazione ha visto la luce il 24 dicembre scorso, con il decreto sulle tutele crescenti. Due mesi dopo è stato spostato nell’altro provvedimento, quello sui nuovi ammortizzatori sociali. E infine, il decreto sulle politiche attive lo cancellerà: al suo posto si introduce un “assegno di ricollocazione”. “Ma si tratta di uno strumento più debole e opaco – afferma il professore – Oggi il contratto di ricollocazione è un diritto per tutti i senza lavoro. Con il nuovo decreto, invece, varrà solo per i disoccupati da più di sei mesi. Ed è un errore, perché la ricollocazione si deve ricostruire il giorno dopo la perdita del lavoro. Non solo. E’ un diritto non diritto, perché la legge ora precisa che vale solo nei limiti delle risorse disponibili”. E sul piatto, sottolinea il docente, il governo ha messo, per ora, poco meno di 60 milioni di euro: “Queste risorse valgono per meno di 20mila persone a fronte dei 3,4 milioni di disoccupati in Italia. Una presa in giro”.
In questo quadro, si inserisce anche l’incertezza che aleggia sui centri per l’impiego, il braccio operativo delle politiche attive. La riforma costituzionale del ministro Maria Elena Boschi vuole riportare queste strutture, finora gestite da Province e Regioni, in mano allo Stato. Ma per portare a termine questa operazione, servirà un’intesa con i governatori. “Nel frattempo, si crea un vuoto – ragiona Tiraboschi – Questo decreto del Jobs act nasce come incostituzionale. L’accentramento delle competenze è contrario alla Carta: se il governo non trova un’intesa con le Regioni, si rischia l’intervento della Consulta”. E intanto i dipendenti dei centri per l’impiego rimangono nell’incertezza, mentre “il disoccupato si trova chiuso in un braccio di ferro istituzionale tra Regioni e Stato: l’interesse della politica passa sopra le esigenze della gente in carne e ossa”.
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Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - L'attacco israeliano nei pressi della città di Daraa, nel sud della Siria, ha ucciso due persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale siriana Sana.
"Due civili sono morti e altri 19 sono rimasti feriti in attacchi aerei israeliani alla periferia della città di Daraa", ha affermato l'agenzia di stampa, mentre l'esercito israeliano ha affermato di aver preso di mira "centri di comando e siti militari appartenenti al vecchio regime siriano".
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Le Idf hanno riferito che sono in corso attacchi aerei contro obiettivi militari nella Siria meridionale. I siti includono quartieri generali e altre strutture utilizzate per immagazzinare armi ed equipaggiamento appartenenti all'ex regime siriano, afferma l'esercito, aggiungendo di aver individuato tentativi da parte di gruppi non specificati di utilizzare tali armi. "La presenza di queste armi nella Siria meridionale è una minaccia per lo Stato di Israele. L'Idf non permetterà l'esistenza di una minaccia militare nella Siria meridionale e agirà contro di essa", ha aggiunto l'Idf.