«Le indagini vanno avanti», ma la svolta tanto attesa dai familiari delle vittime dell’affaire Ustica di sicuro non c’è. A piazzale Clodio, fonti della procura di Roma, spiegano a ilfattoquotidiano.it che l’ultimo fascicolo penale sulla strage del 27 giugno 1980, che costò la vita ai 77 passeggeri e ai 4 membri dell’equipaggio del volo Itavia, per ora non sarà archiviato, pur non vedendo iscritti nel registro degli indagati e non registrando significativi passi in avanti, ad eccezione di alcune conferme ottenute durante una missione in Francia. Si indaga ancora, dunque, anche se, a distanza di 35 anni, le speranze di arrivare alla verità si fanno sempre più flebili. Ma quali piste stanno seguendo ancora gli inquirenti?
L’ULTIMA DI COSSIGA L’inchiesta, aperta 8 anni fa dai pm Amelio e Monteleone raccogliendo le dichiarazioni con le quali Francesco Cossiga tornò a tirare in ballo i francesi per l’abbattimento del nostro Dc-9, ipotizza il reato di strage, riprendendo il filo dell’istruttoria del giudice Rosario Priore che 16 anni fa portò sul banco degli imputati gli allora vertici dell’Aeronautica militare italiana, con l’accusa di aver depistato e ostacolato la verità (poi tutti assolti in via definitiva). Priore non riuscì a contestare la strage ma solo a mettere a fuoco lo scenario di guerra di cui il Dc-9 rimase vittima. Colpito da un missile, lanciato da uno dei 21 aerei “senza nome” che quella notte erano in volo, o a causa di una “near collision”, una quasi collisione, con uno di essi.
SENTENZE CIVILI Sono sei i procedimenti civili avviati nel frattempo, con i quali i familiari delle vittime, gli eredi del proprietario dell’Itavia, Aldo Davanzali, e i liquidatori della stessa compagnia, hanno ottenuto, o stanno per ottenere, significati risarcimenti contestando ai ministeri della Difesa e dei Trasporti la responsabilità di non aver sorvegliato adeguatamente l’aerovia percorsa dal Dc-9. Una responsabilità certificata dalle conclusioni dell’inchiesta Priore e in particolare dall’analisi del tracciato radar di Ciampino che mostrava l’intrusione di almeno un aereo militare lungo quella stessa rotta.
SILENZIO ALLEATO L’amarezza di chi indaga ancora è palpabile quando si vanno, inevitabilmente, a toccare le implicazioni internazionali, il ruolo dei governi e il silenzio di Francia, Stati Uniti e Libia sull’affaire Ustica. La procura sembra avere le mani legate, perché quell’insieme di sospetti, certezze e mezze conferme messe insieme sino ad oggi seppure tra tante difficoltà, senza una adeguata iniziativa della diplomazia non basta per attribuire un nome, una sigla, all’aereo, o agli aerei, che causarono la caduta del Dc-9. Non fu una bomba né un cedimento strutturale, queste le uniche verità incontestabili, ma gli inquirenti non sono comunque in grado di affermare definitivamente cosa accadde.
IPOTESI COLLISIONE La procura non crede alla tesi del missile, piuttosto propende per la “quasi collisione”, sposando le conclusioni di due consulenti tecnici, Carlo Casarosa e Manfred Held, che consegnarono a Priore una perizia che concludeva che il Dc-9 precipitò a causa di un’operazione di intercettazione di un velivolo militare che volava “nascosto” sotto di esso (questa è la “near collision”). Un Mig 23 libico inseguito da due caccia, poi abbattuto sulla Calabria, dove del resto un aereo di Gheddafi fu trovato, che per sfuggire avrebbe virato violentemente investendo il Dc-9. Il volo Itavia, dunque, si sarebbe trovato casualmente coinvolto, come lo stesso Cossiga affermò, parlando però di un missile.
ROTTA FRANCESE Gli inquirenti sono andati in Francia a interrogare una quindicina di avieri che nell’80 erano in servizio nella base còrsa di Solenzara per trovare conferme alle parole di un importante testimone del caso Ustica, il generale dei carabinieri, braccio destro di Dalla Chiesa, Nicolò Bozzo. L’alto ufficiale raccontò che quel 27 giugno pernottò vicino alla base dell’Armée de l’air di Solenzara non riuscendo a dormire perché decollavano e atterravano Mirage francesi e altri aerei militari. La Francia, rispondendo alle varie rogatorie, aveva sempre detto che quell’aeroporto chiudeva alle 17, cioè ben quattro ore prima del disastro. A distanza di anni i militari francesi ascoltati dal pm Amelio lo hanno ribadito, aggiungendo, tuttavia, che a volte capitava che l’attività proseguisse ben oltre l’imbrunire.
GIALLO PORTAEREI Le ultime domande rivolte a Parigi non riguardavano però solo Solenzara, ma anche la posizione delle due portaerei, la Foche e la Clemenceau. La risposta ufficiale fornita al pm Amelio le localizza nella rada del porto di Tolone, nonostante i tracciati mostrino diverse presenze di aerei che si spengono a nord della Corsica. Una circostanza che lascia spazio a una sola ipotesi, dettata dalla logica, e cioè che quei caccia avessero una portaerei a disposizione in mare aperto.
IMBARAZZO AMERICANO La chiave del mistero resta comunque la Toscana. E’ lì che il velivolo “ospite” iniziò a sfruttare l’ombra del volo Itavia. E tutto questo avvenne sotto gli occhi di un aereo radar, un Awacs, che quella notte, in funzione di “guida caccia”, volava sull’Appennino Tosco-Emiliano. Per anni si è sostenuto che fosse della Nato ma fonti investigative ribadiscono di aver ricevuto, lo scorso anno, conferma dalla stessa Alleanza atlantica che l’Awacs era americano. Gli inquirenti hanno cercato sgombrare ogni dubbio percorrendo sino in fondo anche questa pista. Ma gli Stati Uniti non hanno risposto alle domande inoltrate. Così, anche per questo, dopo 35 anni, il mistero sulla strage di Ustica continua a restare impenetrabile.