Un presidente in carica che incontra uomini legati alla mafia, clan criminali che finanziano le campagne elettorali dei partiti politici, figli di boss che lavorano in ambasciata su indicazione di ex ministri. Sembra la storia del rapporto mafia – politica nello Stivale, pillole di un perverso legame vecchio almeno quanto l’Unità d’Italia e mai del tutto reciso. E invece non siamo in Italia e nemmeno a Palermo, non si parla di Giulio Andreotti e neanche di Totò Riina, non c’è Marcello Dell’Utri e non esistono le inchieste (poi sempre archiviate) su Silvio Berlusconi. Perché il fil rouge che collega mafia e politica c’è anche dall’altra parte del globo, in Australia, dove da qualche tempo hanno scoperto la ‘ndrangheta.
Australia calibro ‘ndrangheta: gemellati con Platì
Merito di un’inchiesta giornalista condotta da due televisioni australiane, la Broadcasting Corporation e la Fairfax. Un lavoro giornalistico lungo un anno che alla fine ha portato a ricostruire l’infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese nella politica australiana. Un percorso cominciato negli anni ’70: è il 1974 quando il ministro dell’Immigrazione australiano Al Grassby si reca in Calabria, per sancire il gemellaggio della città di Griffith con Platì, storicamente considerata la culla della ‘ndrangheta. Al suo ritorno Grassby concederà il permesso di soggiorno a Domenico Barbaro, dell’omonimo clan, espulso dall’Australia nel 1957 per alcuni reati commessi ad Adelaide.
Le cene dell’ex premier: il caso Andreotti in salsa australiana
Sono parecchi i finanziamenti che le famiglie mafiose indirizzano ai due principali partiti politici australiani, laburisti e liberali. Uomini legati alle ‘ndrine avrebbero addirittura partecipato a cene elettorali con esponenti di entrambi i partiti. Secondo l’inchiesta giornalistica delle due emittenti australiane, nel 2000 un uomo con “profondi legami mafiosi” avrebbe incontrato ad una cena elettorale l’ex premier John Howard (nella foto con Silvio Berlusconi): una sorta di caso Andreotti in salsa australiana, ma non c’è alcuna prova che Howard fosse a conoscenza della reale identità del suo commensale.
Nessun riscontro anche sul fatto che Amanda Vanstone, ex ambasciatrice d’Australia in Italia, fosse a conoscenza del fatto che il figlio di un boss lavorasse presso l’ambasciata australiana a Roma. Da ministro dell’Immigrazione – come raccontano Antonio Gratteri e Antonio Nicaso nel libro Oro bianco (Mondadori) – Vanstone annullò il decreto di espulsione per Francesco Madafferi, partito con un visto turistico mai rinnovato da Oppido Mamertina, in Calabria, alla fine degli anni ’80. Madafferi riesce a farsi annullare il decreto di espulsione grazie al suo cattivo stato di salute mentale: l’italo australiano però è tutt’altro che un malato di mente. E infatti nel 2008 finisce in manette perché accusato di aver organizzato il più massiccio traffico di ecstasy mai scoperto: più di 15 milioni di pasticche nascosti in un mercantile che veniva dall’Italia. Un affare che avrebbe arricchito a dismisura le ‘ndrine australiane.
Lo sbarco a Melbourne nel 1922
D’altra parte la presenza della ‘ndrangheta nel continente oceanico non è certo una novità: l’ex presidente della commissione parlamentare Antimafia Francesco Forgione nel suo saggio Mafie Export (Baldini Castoldi Dalai) aveva messo per primo nero su bianco la presenza dei tentacoli delle ‘ndrine fino all’Australia. Una presenza che vuol dire violenza anche contro esponenti dello Stato: in Italia Cosa nostra ha appena assassinato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino quando in Australia la ‘ndrangheta elimina con un pacco esplosivo Geoffrey Bowen, sergente della National Crime Authority, alla vigilia di un processo per spaccio di stupefacenti che vede imputati Francesco e Antonio Perre. Ma già nel 1979, quando Cosa nostra uccideva a Palermo il poliziotto Boris Giuliano, la ‘ndrangheta alzava il tiro dall’altra parte del mondo: il 15 luglio del 1979 sparisce nel nulla Bruce Mackay, attivista politico che ha denunciato una mega piantagione di marijuana.
Negli anni ’70 la ‘ndrangheta in Australia è quindi già una presenza forte. L’arrivo delle ‘ndrine nel “nuovissimo Continente” viene fatto risalire addirittura al 18 dicembre del 1922: quel giorno al porto di Melbourne attracca il piroscafo Re d’Italia, dal quale sbarcano Antonio Barbaro e Domenico Strano. Secondo un rapporto stilato negli anni ’60 dall’Asio, i servizi segreti australiani, sono quei due migranti con la valigia di cartone, scappati dall’Italia mentre Benito Mussolini sta instaurando il suo regime ad esportare la ‘ndrangheta nel continente dei canguri. Da lì in poi saranno centinaia i calabresi che si trasferiranno in Australia, fino a dividersi il territorio chirurgicamente. Negli anni ’80 il sud dell’Australia era appannaggio di Giuseppe Carbone, Domenico, Pasquale e Giuseppe Alvaro si dividevano il Nuovo Galles del Sud, la città di Adelaide e la capitale, Canberra, Peter Callipari regnava a Griffith, mentre Melbourne era territorio esclusivo di Pasquale Barbaro. Spaccio di stupefacenti, racket delle estorsioni e un legame a doppio filo con la politica di qualsiasi colore, purché fosse capace di elargire favori: sembra di essere in Italia e invece è la lontanissima Australia.