Non era solo, ma non è arrivato dal mare: bensì a bordo di un’utilitaria. Ma ora c’è un sospetto: che Seifeddine Rezgui, autore 24enne dell’attentato sulle spiagge di Sousse, in Tunisia, nei resort Imperial Marhaba Hotel e Soviva (38 morti), abbia lavorato non solo in alcune strutture turistiche della zona, ma addirittura in uno di quelli colpiti. Mentre alcune persone finiscono in carcere con l’accusa di essere legate a una cellula terroristica che faceva riferimento a Rezgui e il governo tunisino ha dispiegato una polizia “turistica” con circa mille agenti armati a protezione dei resort per prevenire nuovi attacchi, proseguono le indagini sull’attentato, alle quali collaborano anche 16 ufficiali di Scotland Yard.
Quello che emerge, innanzitutto, è che l’attacco terrorista di Sousse sarebbe potuto essere evitato se ci fosse stato un miglior coordinamento tra gli uomini della sicurezza dell’albergo e le forze dell’ordine. Il ministro dell’Interno tunisino Mohamed Najem Gharsalli ha ribadito anche che nella lotta antiterrorismo occorre un maggior coinvolgimento attivo della popolazione nel segnalare comportamenti o persone sospette.
Rezgui, secondo le prime indagini, è che l’autore della strage di Sousse era alla guida di una cellula terroristica di 5 persone delle quali una di ritorno dalla Siria e ancora attiva a Kairouan senza alcuna sorveglianza da parte delle autorità, come ha rivelato al sito Tunisienumerique la presidente dell’associazione sindacale studentesca dell’Union général des étudiants tunisiens, Ammani Sassi che ha affiancato Rezgui nella sua attività sindacale all’Università di Kairouan.
L’altro aspetto emerso dalle indagini è che Rezgui è arrivato in auto e non via mare. Ma quello su cui ci si concentra in queste ore è l’ipotesi secondo la quale Rezgui avrebbe lavorato in passato in resort della zona di Sousse e forse, addirittura, all’hotel Riu Imperial, quello della tragedia. Ipotesi che spiegherebbe perché sapesse muoversi così bene all’interno della struttura. In un’intervista al Corriere della Sera il ministro del Turismo Selma Elloumi Rekik conferma che Rezgui aveva lavorato come “stagionale” nelle strutture turistiche locali: “Quest’anno aveva appena ottenuto il suo master – ha detto il ministro – ma nelle estati passate aveva fatto l’animatore per i turisti. Era un ragazzo come tanti, non si presentava come un barbuto salafita: portava una collanina di perle nere di plastica, aveva un tatuaggio sulla spalla, faceva i bagni di mare, giocava sulla spiaggia”. Quanto al lavoro all’interno del Riu Imperial il ministro dice di non sapere con precisione, ma “è possibile” aggiunge. “Anche se non risulta che sia stato mai un dipendente dell’hotel. Però conosceva bene il suo interno: è salito fino al primo piano, dove c’è l’amministrazione, per inseguire chi cercava di mettersi in salvo. Può aver scelto quell’albergo perché l’accesso era facile, è il secondo che ha trovato arrivando”.
Mentre si continua a cercare di ricostruire l’esatta dinamica di quel venerdì di sangue, si viene anche a sapere che i morti britannici potrebbero essere trenta. Quelli accertati sono 15 ma, secondo la Bbc, potrebbero, in realtà, essere il doppio. La Gran Bretagna è quindi il Paese che ha perso più vite nell’attentato del 26 giugno, tanto che il governo ha deciso di inviare in Tunisia 28 esperti tra cui membri delle squadre di dispiegamento rapido del Foreign and Commonwealth Office (Fco), della Croce rossa britannica e del ministero della Difesa. Ma l’allerta è massima anche oltre la Manica: David Cameron ha infatti annunciato che in tutto il Paese la sicurezza “è stata rafforzata“ e ha aggiunto che la Gran Bretagna deve essere “unita nello shock e nel dolore”.
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Tunisia, attacco Sousse: “Non escluso che l’attentatore avesse lavorato nel resort”
Secondo le prime indagini Rezgui non è arrivato via mare, ma con un'utilitaria e per il governo è possibile che in passato avesse fatto l'animatore in alcune strutture della zona
Non era solo, ma non è arrivato dal mare: bensì a bordo di un’utilitaria. Ma ora c’è un sospetto: che Seifeddine Rezgui, autore 24enne dell’attentato sulle spiagge di Sousse, in Tunisia, nei resort Imperial Marhaba Hotel e Soviva (38 morti), abbia lavorato non solo in alcune strutture turistiche della zona, ma addirittura in uno di quelli colpiti. Mentre alcune persone finiscono in carcere con l’accusa di essere legate a una cellula terroristica che faceva riferimento a Rezgui e il governo tunisino ha dispiegato una polizia “turistica” con circa mille agenti armati a protezione dei resort per prevenire nuovi attacchi, proseguono le indagini sull’attentato, alle quali collaborano anche 16 ufficiali di Scotland Yard.
Quello che emerge, innanzitutto, è che l’attacco terrorista di Sousse sarebbe potuto essere evitato se ci fosse stato un miglior coordinamento tra gli uomini della sicurezza dell’albergo e le forze dell’ordine. Il ministro dell’Interno tunisino Mohamed Najem Gharsalli ha ribadito anche che nella lotta antiterrorismo occorre un maggior coinvolgimento attivo della popolazione nel segnalare comportamenti o persone sospette.
Rezgui, secondo le prime indagini, è che l’autore della strage di Sousse era alla guida di una cellula terroristica di 5 persone delle quali una di ritorno dalla Siria e ancora attiva a Kairouan senza alcuna sorveglianza da parte delle autorità, come ha rivelato al sito Tunisienumerique la presidente dell’associazione sindacale studentesca dell’Union général des étudiants tunisiens, Ammani Sassi che ha affiancato Rezgui nella sua attività sindacale all’Università di Kairouan.
L’altro aspetto emerso dalle indagini è che Rezgui è arrivato in auto e non via mare. Ma quello su cui ci si concentra in queste ore è l’ipotesi secondo la quale Rezgui avrebbe lavorato in passato in resort della zona di Sousse e forse, addirittura, all’hotel Riu Imperial, quello della tragedia. Ipotesi che spiegherebbe perché sapesse muoversi così bene all’interno della struttura. In un’intervista al Corriere della Sera il ministro del Turismo Selma Elloumi Rekik conferma che Rezgui aveva lavorato come “stagionale” nelle strutture turistiche locali: “Quest’anno aveva appena ottenuto il suo master – ha detto il ministro – ma nelle estati passate aveva fatto l’animatore per i turisti. Era un ragazzo come tanti, non si presentava come un barbuto salafita: portava una collanina di perle nere di plastica, aveva un tatuaggio sulla spalla, faceva i bagni di mare, giocava sulla spiaggia”. Quanto al lavoro all’interno del Riu Imperial il ministro dice di non sapere con precisione, ma “è possibile” aggiunge. “Anche se non risulta che sia stato mai un dipendente dell’hotel. Però conosceva bene il suo interno: è salito fino al primo piano, dove c’è l’amministrazione, per inseguire chi cercava di mettersi in salvo. Può aver scelto quell’albergo perché l’accesso era facile, è il secondo che ha trovato arrivando”.
Mentre si continua a cercare di ricostruire l’esatta dinamica di quel venerdì di sangue, si viene anche a sapere che i morti britannici potrebbero essere trenta. Quelli accertati sono 15 ma, secondo la Bbc, potrebbero, in realtà, essere il doppio. La Gran Bretagna è quindi il Paese che ha perso più vite nell’attentato del 26 giugno, tanto che il governo ha deciso di inviare in Tunisia 28 esperti tra cui membri delle squadre di dispiegamento rapido del Foreign and Commonwealth Office (Fco), della Croce rossa britannica e del ministero della Difesa. Ma l’allerta è massima anche oltre la Manica: David Cameron ha infatti annunciato che in tutto il Paese la sicurezza “è stata rafforzata“ e ha aggiunto che la Gran Bretagna deve essere “unita nello shock e nel dolore”.
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Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "È quello che abbiamo chiesto. Ma capire è una parola inutile. Io non capisco niente e chi ci capisce è bravo. Si chiede, si fa e si combatte per ottenere rispetto. Capire no, mi spiace. Magari, capire qualcosa mi piacerebbe". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono se la giornalista potrà avere altre visite da parte dell'ambasciata.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nella telefonata di ieri "avrei preferito notizie più rassicuranti da parte sua e invece le domande che ho fatto... glielo ho chiesto io, non me lo stava dicendo, le ho chiesto se ha un cuscino pulito su cui appoggiare la testa e mi ha detto 'mamma, non ho un cuscino, né un materasso'". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "No, dopo ieri nessun'altra telefonata". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, ai cronisti dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni. "Le telefonate non sono frequenti. E' stata la seconda dopo la prima in cui mi ha detto che era stata arrestata, poi c'è stato l'incontro con l'ambasciatrice, ieri è stato proprio un regalo inaspettato. Arrivano così inaspettate" le telefonate "quando vogliono loro. Quindi io sono lì solo ad aspettare".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Questo incontro mi ha fatto bene, mi ha aiutato, avevo bisogno di guardarsi negli occhi, anche tra mamme, su cose di questo genere...". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, lasciando palazzo Chigi dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Cerca di essere un soldato Cecilia, cerco di esserlo io. Però le condizioni carcerarie per una ragazza di 29 anni, che non ha compiuto nulla, devono essere quelle che non la possano segnare per tutta la vita". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
"Poi se pensiamo a giorni o altro... io rispetto i tempi che mi diranno, ma le condizioni devono essere quelle di non segnare una ragazza che è solo un'eccellenza italiana, non lo sono solo il vino e i cotechini". Le hanno detto qualcosa sui tempi? "Qualche cosa - ha risposto -, ma cose molto generiche, su cui adesso certo attendo notizie più precise".
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "La prima cosa sono condizioni più dignitose di vita carceraria e poi decisioni importanti e di forza del nostro Paese per ragionare sul rientro in Italia, di cui io non piango, non frigno e non chiedo tempi, perché sono realtà molto particolari". Lo ha detto Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala, dopo l'incontro a palazzo Chigi con la premier Giorgia Meloni.
Roma, 2 gen. (Adnkronos) - "Adesso, assolutamente, le condizioni carcerarie di mia figlia". Lo dice Elisabetta Vernoni, madre di Cecilia Sala, dopo l'incontro con la premier Giorgia Meloni a palazzo Chigi ai cronisti che le chiedono quali siano le sua maggiori preoccupazioni. "Lì non esistono le celle singole, esistono le celle di detenzione per i detenuti comuni e poi le celle di punizione, diciamo, e lei è in una di queste evidentemente: se uno dorme per terra, fa pensare che sia così...".