di Davide Bonsignorio*
Continua a suscitare polemiche la riforma in arrivo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, contenuta nell’art. 23 dello schema di decreto sulle semplificazioni approvato dal governo lo scorso 11 giugno in attuazione della delega contenuta nel Jobs Act, ancora all’esame delle Commissioni Parlamentari.
Che cosa dice(va) la norma dello Statuto che l’Esecutivo sta per modificare?
L’art. 4 Stat. Lav., nella formulazione che ha resistito per oltre 45 anni, vieta tassativamente al datore di lavoro di usare impianti audiovisivi e qualsiasi altro tipo di apparecchiatura la cui funzione sia quella di controllare a distanza come i propri dipendenti lavorano o si comportano durante l’orario di lavoro. Per quanto poi riguarda quegli impianti e quelle apparecchiature di controllo che sono invece richiesti da esigenze organizzative o produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali può derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, dispone che per procedere alla loro installazione è prima necessario raggiungere un accordo sul loro utilizzo con le rappresentanze sindacali dell’azienda oppure, in mancanza di queste (o di accordo con queste), ottenere l’autorizzazione da parte del servizio ispettivo della locale Direzione Territoriale del Lavoro; in questo modo, il sindacato o la Pubblica Amministrazione fungono da “contropotere” nei confronti del datore di lavoro, individuando con esso quelle modalità di utilizzo di questi impianti che consentano di minimizzare i rischi di controllo invasivo sull’attività lavorativa e di utilizzo illecito dei dati così ottenuti.
Il legislatore del 1970 ha inteso con queste previsioni proteggere i lavoratori dal rischio di essere sottoposti ad un controllo continuo, asfissiante ed “orwelliano”, e non a caso la norma è inserita nella prima parte dello Statuto, intitolata “Della libertà e dignità del lavoratore”; va altresì ricordato che i dati sul dipendente ottenuti dal datore di lavoro in violazione dell’art. 4 non possono essere utilizzati a fini disciplinari e quindi nemmeno per disporne il licenziamento.
L’art. 4, pur tra molti scontri nelle aule di Tribunale, ha tutto sommato dimostrato una buona adattabilità all’evolversi del mondo del lavoro e della tecnologia, tanto che la giurisprudenza ne ha riconosciuto l’applicabilità ai controlli effettuati sull’uso di internet, della posta elettronica e dei telefoni aziendali, ed è pacifica la sua applicazione anche ai rilevatori di posizione Gps utilizzati nelle flotte di automezzi aziendali.
Certo, si sono posti problemi interpretativi, tra i quali uno dei più dibattuti e che porta a conclusioni contrastanti riguarda l’applicabilità della norma anche nel caso dei cosiddetti “controlli difensivi”, ossia quelli che l’azienda effettua per scoprire la commissione di atti illeciti o lesivi del patrimonio o della sicurezza aziendale (uso di internet o della posta per fini personali, download illegale di file, esposizione del sistema informatico aziendale a virus, etc.), così però finendo di fatto col monitorare anche la prestazione lavorativa del dipendente.
Su questo quadro interviene ora lo schema di decreto delegato, che al primo comma non sembra innovare nulla per quanto riguarda gli strumenti necessari per esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale (quali le telecamere o i rilevatori di posizione Gps), che rimangono sottoposti alla stessa disciplina di divieti e di controlli di prima (con dei semplici aggiornamenti sui soggetti sindacali e della Pubblica Amministrazione cui competono gli accordi e i controlli).
La riforma dice però anche al secondo comma che i limiti di cui sopra non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, e precisa ulteriormente che le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (dunque, anche per le contestazioni disciplinari e i licenziamenti).
E’ dunque sorto il timore che la riforma apra la strada ad un controllo pressoché illimitato del dipendente tramite il computer e gli altri strumenti datigli in dotazione per lo svolgimento della prestazione, con conseguente rischio che possano essere intimati licenziamenti anche per le distrazioni o mancanze più lievi. Lo scorso 18 giugno il Ministero del Lavoro ha chiarito con un comunicato stampa che la “liberalizzazione” riguarda solo gli strumenti e i programmi informatici in sé dedicati allo svolgimento dell’attività lavorativa, mentre qualsiasi modificazione di tali strumenti volta al controllo del lavoratore (quale l’installazione di software di localizzazione o di filtraggio dei dati), sarà soggetta ai limiti di cui al primo comma.
Il chiarimento è apprezzabile anche perché anticipa come si muoveranno le Direzioni Territoriali del Lavoro nell’applicazione della riforma, ma – a parte il fatto che l’interpretazione del Ministero non è vincolante nelle aule di Tribunale – non considera che la maggior parte dei programmi informatici consente un controllo sull’attività dell’utente indipendentemente dall’uso di un software a ciò dedicato, e ciò tramite i log files.
In ogni caso a tutela del lavoratore vi sarà l’obbligo dell’azienda, previsto dallo schema di decreto, di rispettare comunque il D. Lgs. 196/2003 sulla privacy; quest’ultimo infatti contiene una serie di importanti principi sulla scorta dei quali il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha anche emanato nel 2007 le Linee Guida sull’utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e di internet.
E così, l’azienda deve trattare i dati personali derivanti dall’uso di internet e della posta elettronica (ma i principi sono trasponibili anche ad altri casi di raccolta tecnologica di dati) secondo liceità e correttezza, fornendo quindi al lavoratore (come infatti previsto anche dallo schema di riforma) un’informativa preventiva sulle regole previste per l’utilizzo lavorativo ed eventualmente personale di questi strumenti, e sulle modalità e i casi in cui potranno effettuarsi controlli.
Certo, posto che il lavoratore non avrà verosimilmente alcun potere di contrattazione sulle regole stabilite dall’azienda, il problema è soprattutto impedire che queste siano in sé illecite.
Anche sotto questo profilo, però, vi sono regole precise: in primo luogo, il principio di necessità nel trattamento dei dati, per il quale il datore di lavoro deve ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali nei sistemi informativi e nei programmi informatici, prediligendo ogni volta che sia possibile l’uso di dati anonimi (ad esempio, adottando password di accesso collettive), e poi il principio di pertinenza e non eccedenza, che a sua volta impone un uso il più possibile limitato dei dati personali, la conservazione degli stessi solo per il tempo strettamente necessario ad esigenze organizzative, produttive o di sicurezza ed in ogni caso vieta controlli prolungati, costanti o indiscriminati.
E, va ricordato, i dati ottenuti in violazione della normativa sul trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati dal datore di lavoro, e il lavoratore può chiederne il blocco, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima.
Questi principi dovranno continuare a considerarsi vigenti indipendentemente da quello che sarà il tenore del futuro art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche perché la dignità, la libertà e la riservatezza del lavoratore, che sarebbero violate da una totale liberalizzazione dei controlli tecnologici, sono valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione, nonché da altre importanti norme di legge ordinaria che impongono al datore di lavoro di tutelare la dignità e la personalità morale del dipendente.
* Giuslavorista, socio Agi (Associazione giuslavoristi italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte dei lavoratori e dei sindacati; ho collaborato con diverse riviste specializzate del settore. Vivo e lavoro a Milano.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 1 Luglio 2015
Jobs Act: il controllo a distanza dei lavoratori e le regole (inderogabili) sulla privacy
di Davide Bonsignorio*
Continua a suscitare polemiche la riforma in arrivo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, contenuta nell’art. 23 dello schema di decreto sulle semplificazioni approvato dal governo lo scorso 11 giugno in attuazione della delega contenuta nel Jobs Act, ancora all’esame delle Commissioni Parlamentari.
Che cosa dice(va) la norma dello Statuto che l’Esecutivo sta per modificare?
L’art. 4 Stat. Lav., nella formulazione che ha resistito per oltre 45 anni, vieta tassativamente al datore di lavoro di usare impianti audiovisivi e qualsiasi altro tipo di apparecchiatura la cui funzione sia quella di controllare a distanza come i propri dipendenti lavorano o si comportano durante l’orario di lavoro. Per quanto poi riguarda quegli impianti e quelle apparecchiature di controllo che sono invece richiesti da esigenze organizzative o produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali può derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, dispone che per procedere alla loro installazione è prima necessario raggiungere un accordo sul loro utilizzo con le rappresentanze sindacali dell’azienda oppure, in mancanza di queste (o di accordo con queste), ottenere l’autorizzazione da parte del servizio ispettivo della locale Direzione Territoriale del Lavoro; in questo modo, il sindacato o la Pubblica Amministrazione fungono da “contropotere” nei confronti del datore di lavoro, individuando con esso quelle modalità di utilizzo di questi impianti che consentano di minimizzare i rischi di controllo invasivo sull’attività lavorativa e di utilizzo illecito dei dati così ottenuti.
Il legislatore del 1970 ha inteso con queste previsioni proteggere i lavoratori dal rischio di essere sottoposti ad un controllo continuo, asfissiante ed “orwelliano”, e non a caso la norma è inserita nella prima parte dello Statuto, intitolata “Della libertà e dignità del lavoratore”; va altresì ricordato che i dati sul dipendente ottenuti dal datore di lavoro in violazione dell’art. 4 non possono essere utilizzati a fini disciplinari e quindi nemmeno per disporne il licenziamento.
L’art. 4, pur tra molti scontri nelle aule di Tribunale, ha tutto sommato dimostrato una buona adattabilità all’evolversi del mondo del lavoro e della tecnologia, tanto che la giurisprudenza ne ha riconosciuto l’applicabilità ai controlli effettuati sull’uso di internet, della posta elettronica e dei telefoni aziendali, ed è pacifica la sua applicazione anche ai rilevatori di posizione Gps utilizzati nelle flotte di automezzi aziendali.
Certo, si sono posti problemi interpretativi, tra i quali uno dei più dibattuti e che porta a conclusioni contrastanti riguarda l’applicabilità della norma anche nel caso dei cosiddetti “controlli difensivi”, ossia quelli che l’azienda effettua per scoprire la commissione di atti illeciti o lesivi del patrimonio o della sicurezza aziendale (uso di internet o della posta per fini personali, download illegale di file, esposizione del sistema informatico aziendale a virus, etc.), così però finendo di fatto col monitorare anche la prestazione lavorativa del dipendente.
Su questo quadro interviene ora lo schema di decreto delegato, che al primo comma non sembra innovare nulla per quanto riguarda gli strumenti necessari per esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale (quali le telecamere o i rilevatori di posizione Gps), che rimangono sottoposti alla stessa disciplina di divieti e di controlli di prima (con dei semplici aggiornamenti sui soggetti sindacali e della Pubblica Amministrazione cui competono gli accordi e i controlli).
La riforma dice però anche al secondo comma che i limiti di cui sopra non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, e precisa ulteriormente che le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (dunque, anche per le contestazioni disciplinari e i licenziamenti).
E’ dunque sorto il timore che la riforma apra la strada ad un controllo pressoché illimitato del dipendente tramite il computer e gli altri strumenti datigli in dotazione per lo svolgimento della prestazione, con conseguente rischio che possano essere intimati licenziamenti anche per le distrazioni o mancanze più lievi. Lo scorso 18 giugno il Ministero del Lavoro ha chiarito con un comunicato stampa che la “liberalizzazione” riguarda solo gli strumenti e i programmi informatici in sé dedicati allo svolgimento dell’attività lavorativa, mentre qualsiasi modificazione di tali strumenti volta al controllo del lavoratore (quale l’installazione di software di localizzazione o di filtraggio dei dati), sarà soggetta ai limiti di cui al primo comma.
Il chiarimento è apprezzabile anche perché anticipa come si muoveranno le Direzioni Territoriali del Lavoro nell’applicazione della riforma, ma – a parte il fatto che l’interpretazione del Ministero non è vincolante nelle aule di Tribunale – non considera che la maggior parte dei programmi informatici consente un controllo sull’attività dell’utente indipendentemente dall’uso di un software a ciò dedicato, e ciò tramite i log files.
In ogni caso a tutela del lavoratore vi sarà l’obbligo dell’azienda, previsto dallo schema di decreto, di rispettare comunque il D. Lgs. 196/2003 sulla privacy; quest’ultimo infatti contiene una serie di importanti principi sulla scorta dei quali il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha anche emanato nel 2007 le Linee Guida sull’utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e di internet.
E così, l’azienda deve trattare i dati personali derivanti dall’uso di internet e della posta elettronica (ma i principi sono trasponibili anche ad altri casi di raccolta tecnologica di dati) secondo liceità e correttezza, fornendo quindi al lavoratore (come infatti previsto anche dallo schema di riforma) un’informativa preventiva sulle regole previste per l’utilizzo lavorativo ed eventualmente personale di questi strumenti, e sulle modalità e i casi in cui potranno effettuarsi controlli.
Certo, posto che il lavoratore non avrà verosimilmente alcun potere di contrattazione sulle regole stabilite dall’azienda, il problema è soprattutto impedire che queste siano in sé illecite.
Anche sotto questo profilo, però, vi sono regole precise: in primo luogo, il principio di necessità nel trattamento dei dati, per il quale il datore di lavoro deve ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali nei sistemi informativi e nei programmi informatici, prediligendo ogni volta che sia possibile l’uso di dati anonimi (ad esempio, adottando password di accesso collettive), e poi il principio di pertinenza e non eccedenza, che a sua volta impone un uso il più possibile limitato dei dati personali, la conservazione degli stessi solo per il tempo strettamente necessario ad esigenze organizzative, produttive o di sicurezza ed in ogni caso vieta controlli prolungati, costanti o indiscriminati.
E, va ricordato, i dati ottenuti in violazione della normativa sul trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati dal datore di lavoro, e il lavoratore può chiederne il blocco, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima.
Questi principi dovranno continuare a considerarsi vigenti indipendentemente da quello che sarà il tenore del futuro art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche perché la dignità, la libertà e la riservatezza del lavoratore, che sarebbero violate da una totale liberalizzazione dei controlli tecnologici, sono valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione, nonché da altre importanti norme di legge ordinaria che impongono al datore di lavoro di tutelare la dignità e la personalità morale del dipendente.
* Giuslavorista, socio Agi (Associazione giuslavoristi italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte dei lavoratori e dei sindacati; ho collaborato con diverse riviste specializzate del settore. Vivo e lavoro a Milano.
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L’ex eurodeputata Luisa Morgantini e l’inviato del Sole Bongiorni arrestati e poi rilasciati da Israele
Milano, 30 gen. (Adnkronos) - L'orario, il luogo e un'immagine "rilevante". La consulenza dell'esperto informatico Marco Tinti, incaricato dalla procura di Milano, rafforza la credibilità di Omar T., il giovane testimone dell'incidente in cui ha perso la vita Ramy Elgaml. Davanti agli inquirenti aveva raccontato di aver assistito e registrato con il cellulare quanto accaduto, la sera del 24 novembre scorso, all'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta dove lo scooter guidato da Fares Bouzidi, su cui viaggiava anche la vittima, si è scontrato con un'auto dei carabinieri, dopo che il T Max non si era fermato all'alt e aveva proseguito la fuga per venti minuti.
Il testimone aveva raccontato di essere stato costretto da altri due carabinieri, indagati per favoreggiamento e depistaggio, a cancellare un video. Se l'esame del cellulare, voluto dalla procura, non ha restituito nessun video di quella notte, "tuttavia, dall'analisi della timeline è emersa la presenza una miniatura, presumibilmente di un video, di possibile interesse". La miniatura è un'immagine di anteprima, di piccole dimensioni, generata automaticamente dal cellulare. Il frame mostra - confrontando anche con la geolocalizzazione del cellulare - un incrocio cittadino, probabilmente quello dove, intorno alle ore 4, avviene l'incidente mortale. "La rilevanza della miniatura è attribuibile sia alia data e all'ora dell'ultima modifica, sia agli elementi visivi che essa presenta" si legge nella relazione.
"La data di ultima modifica associata al file risale al giorno 24 novembre 2024 ore 4:05:07. Inoltre, comparando la miniatura con le immagini dell'incrocio stradale fornite da Google Streei View, è possibile affermare con un ragionevole grado di certezza come il file ritragga una strada cittadina compatibile con via Ripamonti a Milano. L'inquadratura sembra essere in direzione nord verso via Ripamonti, dall'angolo sud-est dell'incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta". Che si tratta di un fotogramma di un video, e non di una semplice foto, il consulente lo deduce dalla dimensione del file, "tipico della maggior parte dei video registrati dal dispositivo e tuttora salvati su di esso". Inoltre, dalla cronologia di navigazione web di quella sera si evidenziano ricerche ripetute su Google 'come recuperare video da cestino' a partire dalle ore 4.38.
Palermo, 30 gen. (Adnkronos) - La ragazza di 17anni accusata di avere ucciso, nel febbraio 2024, insieme con il padre e una coppia di amici dei genitori, la madre e due fratelli, "è imputabile e capace di intendere e di volere". Lo ha deciso il gip del tribunale per i minorenni Nicola Aiello in seguito alla perizia di un neuropsichiatra infantile di Roma che ha valutato la capacità della ragazza. Il gip ha disposto l'inizio della requisitoria per il prossimo 6 marzo. La giovane è imputata per omicidio plurimo aggravato e soppressione di cadavere.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Luisa Morgantini è stata rilasciata insieme al giornalista de Il Sole 24 Ore dopo essere stati fermati in Cisgiordania dalle truppe israeliane . È una buona notizia che tuttavia non cancella la vergogna dei metodi usati contro attivisti e giornalisti stranieri dalle autorità israeliane". Lo dicono Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, di Avs, quest’ultimo ha parlato poco fa direttamente con Morgantini che insieme a Roberto Bongiorni è in attesa che le autorità israeliane liberino i due accompagnatori palestinesi ancora in stato di fermo.
"I fermi, le prevaricazioni e le infinite attese per fare qualsiasi cosa sono il loro modo di agire per scoraggiare chiunque chieda diritti per il popolo palestinese. Ringraziamo i funzionari della Farnesina e il personale diplomatico italiano in Israele che si è impegnata in tutte queste ore per il loro rilascio. Luisa non si è mai fermata - concludono - e non lo farà neanche stavolta. Nemmeno noi".
Milano, 30 gen. (Adnkronos) - In un'informativa della Guardia di finanza di Milano, tra gli atti che fanno parte del fascicolo del processo contro Chiara Ferragni - imputata per truffa continuata e aggravata in relazione alle operazioni commerciali 'Pandoro Balocco Pink Christmas, Limited Edition Chiara Ferragni' (Natale 2022) e 'Uova di Pasqua Chiara Ferragni - sosteniamo i Bambini delle Fate (Pasqua 2021 e 2022) - emergono una serie di mail in cui si evince il malumore su come il team dell'imprenditrice digitale sembra voler gestire la comunicazione sugli accordi commerciali raggiunti. In una mail dell'azienda dolciaria di Cerealitalia si evidenzia come la dicitura 'acquistate l'uovo per sostenere' sarebbe "fuorviante in quanto passerebbe l'errato concetto che acquistando l'uovo si sostiene la causa benefica", mentre in realtà il numero dei prodotti venduti nulla c'entra con la somma destinata all'ente di sostegno per bambini.
Ancora più esplicite le mail in casa Balocco dopo il contrasto con il team di Chiara Ferragni è esplicito. "Mi verrebbe da rispondere 'in realtà le vendite servono per pagare il vostro cachet esorbitante...'" scrive una dipendente all'amministratrice delegata Alessandra Balocco (indagata) che replica: "Hai perfettamente ragione. Si attribuiscono meriti che non hanno, ma il buon Dio ne terrà conto al momento opportuno". E chi cura la comunicazione mette in allarme l'azienda dolciaria di Cuneo. "Chiara Ferragni si sta prendendo tutto il bello di questa iniziativa e voi tutto il brutto. (...) Alla faccia del nuovo Natale rosa e stiloso, insomma. Fate molta attenzione".
E le paure diventano realtà quando le denunce portano all'apertura di un fascicolo in procura e alla perquisizione della Guardia di finanza nelle aziende Ferragni. Nell'informativa viene evidenziato un messaggio Whatsapp inviato al personale: "Avviso importante. Fabio (Damato ex braccio destro dell'imprenditrice digitale, ndr) mi ha chiesto di avvisarvi di non andare in ufficio in Tbs, sia noi dell'ufficio sia chi aveva meeting con lui. C'è la Guardia di finanza e stanno interrogando parte del team". E ancora: "Ragazzi anche chi sta andando in Fenice non andate in ufficio. Sono arrivati anche li, Fabio non vuole che inizino a interrogare tutti".
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Sono un garantista, non ho mai chiesto dimissioni. Sull'opportunità è una scelta che spetta alla ministra Santanchè, alla sua sensibilità, non devo dirglielo io". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Santanchè.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "C'è molta propaganda politica, legittima, da parte della segretaria del Pd. La sinistra non può dare lezioni, ripresero loro Ocalan con rullo di tamburi all'aeroporto". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Almasri.
Roma, 30 gen. (Adnkronos) - "Non vorrei ci fosse un attacco politico anche con il sostengo di qualcun'altro, all'estero. Non va bene, si fa anche un danno di immagine al nostro Paese, finire su tutti i giornali stranieri come se metà dei membri del governo fossero dei pericolosi criminali indagati". Lo ha detto Antonio Tajani a 'Dritto e rovescio' sul caso Almasri.