di Davide Bonsignorio*
Continua a suscitare polemiche la riforma in arrivo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, contenuta nell’art. 23 dello schema di decreto sulle semplificazioni approvato dal governo lo scorso 11 giugno in attuazione della delega contenuta nel Jobs Act, ancora all’esame delle Commissioni Parlamentari.
Che cosa dice(va) la norma dello Statuto che l’Esecutivo sta per modificare?
L’art. 4 Stat. Lav., nella formulazione che ha resistito per oltre 45 anni, vieta tassativamente al datore di lavoro di usare impianti audiovisivi e qualsiasi altro tipo di apparecchiatura la cui funzione sia quella di controllare a distanza come i propri dipendenti lavorano o si comportano durante l’orario di lavoro. Per quanto poi riguarda quegli impianti e quelle apparecchiature di controllo che sono invece richiesti da esigenze organizzative o produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali può derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, dispone che per procedere alla loro installazione è prima necessario raggiungere un accordo sul loro utilizzo con le rappresentanze sindacali dell’azienda oppure, in mancanza di queste (o di accordo con queste), ottenere l’autorizzazione da parte del servizio ispettivo della locale Direzione Territoriale del Lavoro; in questo modo, il sindacato o la Pubblica Amministrazione fungono da “contropotere” nei confronti del datore di lavoro, individuando con esso quelle modalità di utilizzo di questi impianti che consentano di minimizzare i rischi di controllo invasivo sull’attività lavorativa e di utilizzo illecito dei dati così ottenuti.
Il legislatore del 1970 ha inteso con queste previsioni proteggere i lavoratori dal rischio di essere sottoposti ad un controllo continuo, asfissiante ed “orwelliano”, e non a caso la norma è inserita nella prima parte dello Statuto, intitolata “Della libertà e dignità del lavoratore”; va altresì ricordato che i dati sul dipendente ottenuti dal datore di lavoro in violazione dell’art. 4 non possono essere utilizzati a fini disciplinari e quindi nemmeno per disporne il licenziamento.
L’art. 4, pur tra molti scontri nelle aule di Tribunale, ha tutto sommato dimostrato una buona adattabilità all’evolversi del mondo del lavoro e della tecnologia, tanto che la giurisprudenza ne ha riconosciuto l’applicabilità ai controlli effettuati sull’uso di internet, della posta elettronica e dei telefoni aziendali, ed è pacifica la sua applicazione anche ai rilevatori di posizione Gps utilizzati nelle flotte di automezzi aziendali.
Certo, si sono posti problemi interpretativi, tra i quali uno dei più dibattuti e che porta a conclusioni contrastanti riguarda l’applicabilità della norma anche nel caso dei cosiddetti “controlli difensivi”, ossia quelli che l’azienda effettua per scoprire la commissione di atti illeciti o lesivi del patrimonio o della sicurezza aziendale (uso di internet o della posta per fini personali, download illegale di file, esposizione del sistema informatico aziendale a virus, etc.), così però finendo di fatto col monitorare anche la prestazione lavorativa del dipendente.
Su questo quadro interviene ora lo schema di decreto delegato, che al primo comma non sembra innovare nulla per quanto riguarda gli strumenti necessari per esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale (quali le telecamere o i rilevatori di posizione Gps), che rimangono sottoposti alla stessa disciplina di divieti e di controlli di prima (con dei semplici aggiornamenti sui soggetti sindacali e della Pubblica Amministrazione cui competono gli accordi e i controlli).
La riforma dice però anche al secondo comma che i limiti di cui sopra non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, e precisa ulteriormente che le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (dunque, anche per le contestazioni disciplinari e i licenziamenti).
E’ dunque sorto il timore che la riforma apra la strada ad un controllo pressoché illimitato del dipendente tramite il computer e gli altri strumenti datigli in dotazione per lo svolgimento della prestazione, con conseguente rischio che possano essere intimati licenziamenti anche per le distrazioni o mancanze più lievi. Lo scorso 18 giugno il Ministero del Lavoro ha chiarito con un comunicato stampa che la “liberalizzazione” riguarda solo gli strumenti e i programmi informatici in sé dedicati allo svolgimento dell’attività lavorativa, mentre qualsiasi modificazione di tali strumenti volta al controllo del lavoratore (quale l’installazione di software di localizzazione o di filtraggio dei dati), sarà soggetta ai limiti di cui al primo comma.
Il chiarimento è apprezzabile anche perché anticipa come si muoveranno le Direzioni Territoriali del Lavoro nell’applicazione della riforma, ma – a parte il fatto che l’interpretazione del Ministero non è vincolante nelle aule di Tribunale – non considera che la maggior parte dei programmi informatici consente un controllo sull’attività dell’utente indipendentemente dall’uso di un software a ciò dedicato, e ciò tramite i log files.
In ogni caso a tutela del lavoratore vi sarà l’obbligo dell’azienda, previsto dallo schema di decreto, di rispettare comunque il D. Lgs. 196/2003 sulla privacy; quest’ultimo infatti contiene una serie di importanti principi sulla scorta dei quali il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha anche emanato nel 2007 le Linee Guida sull’utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e di internet.
E così, l’azienda deve trattare i dati personali derivanti dall’uso di internet e della posta elettronica (ma i principi sono trasponibili anche ad altri casi di raccolta tecnologica di dati) secondo liceità e correttezza, fornendo quindi al lavoratore (come infatti previsto anche dallo schema di riforma) un’informativa preventiva sulle regole previste per l’utilizzo lavorativo ed eventualmente personale di questi strumenti, e sulle modalità e i casi in cui potranno effettuarsi controlli.
Certo, posto che il lavoratore non avrà verosimilmente alcun potere di contrattazione sulle regole stabilite dall’azienda, il problema è soprattutto impedire che queste siano in sé illecite.
Anche sotto questo profilo, però, vi sono regole precise: in primo luogo, il principio di necessità nel trattamento dei dati, per il quale il datore di lavoro deve ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali nei sistemi informativi e nei programmi informatici, prediligendo ogni volta che sia possibile l’uso di dati anonimi (ad esempio, adottando password di accesso collettive), e poi il principio di pertinenza e non eccedenza, che a sua volta impone un uso il più possibile limitato dei dati personali, la conservazione degli stessi solo per il tempo strettamente necessario ad esigenze organizzative, produttive o di sicurezza ed in ogni caso vieta controlli prolungati, costanti o indiscriminati.
E, va ricordato, i dati ottenuti in violazione della normativa sul trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati dal datore di lavoro, e il lavoratore può chiederne il blocco, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima.
Questi principi dovranno continuare a considerarsi vigenti indipendentemente da quello che sarà il tenore del futuro art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche perché la dignità, la libertà e la riservatezza del lavoratore, che sarebbero violate da una totale liberalizzazione dei controlli tecnologici, sono valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione, nonché da altre importanti norme di legge ordinaria che impongono al datore di lavoro di tutelare la dignità e la personalità morale del dipendente.
* Giuslavorista, socio Agi (Associazione giuslavoristi italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte dei lavoratori e dei sindacati; ho collaborato con diverse riviste specializzate del settore. Vivo e lavoro a Milano.
Area pro labour
Giuristi per il lavoro
Lavoro & Precari - 1 Luglio 2015
Jobs Act: il controllo a distanza dei lavoratori e le regole (inderogabili) sulla privacy
di Davide Bonsignorio*
Continua a suscitare polemiche la riforma in arrivo dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, contenuta nell’art. 23 dello schema di decreto sulle semplificazioni approvato dal governo lo scorso 11 giugno in attuazione della delega contenuta nel Jobs Act, ancora all’esame delle Commissioni Parlamentari.
Che cosa dice(va) la norma dello Statuto che l’Esecutivo sta per modificare?
L’art. 4 Stat. Lav., nella formulazione che ha resistito per oltre 45 anni, vieta tassativamente al datore di lavoro di usare impianti audiovisivi e qualsiasi altro tipo di apparecchiatura la cui funzione sia quella di controllare a distanza come i propri dipendenti lavorano o si comportano durante l’orario di lavoro. Per quanto poi riguarda quegli impianti e quelle apparecchiature di controllo che sono invece richiesti da esigenze organizzative o produttive o dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali può derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, dispone che per procedere alla loro installazione è prima necessario raggiungere un accordo sul loro utilizzo con le rappresentanze sindacali dell’azienda oppure, in mancanza di queste (o di accordo con queste), ottenere l’autorizzazione da parte del servizio ispettivo della locale Direzione Territoriale del Lavoro; in questo modo, il sindacato o la Pubblica Amministrazione fungono da “contropotere” nei confronti del datore di lavoro, individuando con esso quelle modalità di utilizzo di questi impianti che consentano di minimizzare i rischi di controllo invasivo sull’attività lavorativa e di utilizzo illecito dei dati così ottenuti.
Il legislatore del 1970 ha inteso con queste previsioni proteggere i lavoratori dal rischio di essere sottoposti ad un controllo continuo, asfissiante ed “orwelliano”, e non a caso la norma è inserita nella prima parte dello Statuto, intitolata “Della libertà e dignità del lavoratore”; va altresì ricordato che i dati sul dipendente ottenuti dal datore di lavoro in violazione dell’art. 4 non possono essere utilizzati a fini disciplinari e quindi nemmeno per disporne il licenziamento.
L’art. 4, pur tra molti scontri nelle aule di Tribunale, ha tutto sommato dimostrato una buona adattabilità all’evolversi del mondo del lavoro e della tecnologia, tanto che la giurisprudenza ne ha riconosciuto l’applicabilità ai controlli effettuati sull’uso di internet, della posta elettronica e dei telefoni aziendali, ed è pacifica la sua applicazione anche ai rilevatori di posizione Gps utilizzati nelle flotte di automezzi aziendali.
Certo, si sono posti problemi interpretativi, tra i quali uno dei più dibattuti e che porta a conclusioni contrastanti riguarda l’applicabilità della norma anche nel caso dei cosiddetti “controlli difensivi”, ossia quelli che l’azienda effettua per scoprire la commissione di atti illeciti o lesivi del patrimonio o della sicurezza aziendale (uso di internet o della posta per fini personali, download illegale di file, esposizione del sistema informatico aziendale a virus, etc.), così però finendo di fatto col monitorare anche la prestazione lavorativa del dipendente.
Su questo quadro interviene ora lo schema di decreto delegato, che al primo comma non sembra innovare nulla per quanto riguarda gli strumenti necessari per esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale (quali le telecamere o i rilevatori di posizione Gps), che rimangono sottoposti alla stessa disciplina di divieti e di controlli di prima (con dei semplici aggiornamenti sui soggetti sindacali e della Pubblica Amministrazione cui competono gli accordi e i controlli).
La riforma dice però anche al secondo comma che i limiti di cui sopra non si applicano agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, e precisa ulteriormente che le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro (dunque, anche per le contestazioni disciplinari e i licenziamenti).
E’ dunque sorto il timore che la riforma apra la strada ad un controllo pressoché illimitato del dipendente tramite il computer e gli altri strumenti datigli in dotazione per lo svolgimento della prestazione, con conseguente rischio che possano essere intimati licenziamenti anche per le distrazioni o mancanze più lievi. Lo scorso 18 giugno il Ministero del Lavoro ha chiarito con un comunicato stampa che la “liberalizzazione” riguarda solo gli strumenti e i programmi informatici in sé dedicati allo svolgimento dell’attività lavorativa, mentre qualsiasi modificazione di tali strumenti volta al controllo del lavoratore (quale l’installazione di software di localizzazione o di filtraggio dei dati), sarà soggetta ai limiti di cui al primo comma.
Il chiarimento è apprezzabile anche perché anticipa come si muoveranno le Direzioni Territoriali del Lavoro nell’applicazione della riforma, ma – a parte il fatto che l’interpretazione del Ministero non è vincolante nelle aule di Tribunale – non considera che la maggior parte dei programmi informatici consente un controllo sull’attività dell’utente indipendentemente dall’uso di un software a ciò dedicato, e ciò tramite i log files.
In ogni caso a tutela del lavoratore vi sarà l’obbligo dell’azienda, previsto dallo schema di decreto, di rispettare comunque il D. Lgs. 196/2003 sulla privacy; quest’ultimo infatti contiene una serie di importanti principi sulla scorta dei quali il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha anche emanato nel 2007 le Linee Guida sull’utilizzo nel rapporto di lavoro della posta elettronica e di internet.
E così, l’azienda deve trattare i dati personali derivanti dall’uso di internet e della posta elettronica (ma i principi sono trasponibili anche ad altri casi di raccolta tecnologica di dati) secondo liceità e correttezza, fornendo quindi al lavoratore (come infatti previsto anche dallo schema di riforma) un’informativa preventiva sulle regole previste per l’utilizzo lavorativo ed eventualmente personale di questi strumenti, e sulle modalità e i casi in cui potranno effettuarsi controlli.
Certo, posto che il lavoratore non avrà verosimilmente alcun potere di contrattazione sulle regole stabilite dall’azienda, il problema è soprattutto impedire che queste siano in sé illecite.
Anche sotto questo profilo, però, vi sono regole precise: in primo luogo, il principio di necessità nel trattamento dei dati, per il quale il datore di lavoro deve ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali nei sistemi informativi e nei programmi informatici, prediligendo ogni volta che sia possibile l’uso di dati anonimi (ad esempio, adottando password di accesso collettive), e poi il principio di pertinenza e non eccedenza, che a sua volta impone un uso il più possibile limitato dei dati personali, la conservazione degli stessi solo per il tempo strettamente necessario ad esigenze organizzative, produttive o di sicurezza ed in ogni caso vieta controlli prolungati, costanti o indiscriminati.
E, va ricordato, i dati ottenuti in violazione della normativa sul trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati dal datore di lavoro, e il lavoratore può chiederne il blocco, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima.
Questi principi dovranno continuare a considerarsi vigenti indipendentemente da quello che sarà il tenore del futuro art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche perché la dignità, la libertà e la riservatezza del lavoratore, che sarebbero violate da una totale liberalizzazione dei controlli tecnologici, sono valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione, nonché da altre importanti norme di legge ordinaria che impongono al datore di lavoro di tutelare la dignità e la personalità morale del dipendente.
* Giuslavorista, socio Agi (Associazione giuslavoristi italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte dei lavoratori e dei sindacati; ho collaborato con diverse riviste specializzate del settore. Vivo e lavoro a Milano.
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Fdi riunisce la Direzione e lancia il sondaggio agli iscritti: “Volete la piazza anti-magistrati?”. Il dossier complottista del partito su Almasri
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Desidero esprimere la mia totale solidarietà al Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, professionista di comprovata competenza e integrità, recentemente bersaglio di un attacco inaccettabile da parte del Senatore Zaffini. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la Fondazione GIMBE svolge un ruolo essenziale nel garantire analisi indipendenti e basate su evidenze scientifiche nel settore della sanità pubblica. Analisi che non solo aiutano l’opinione pubblica a comprendere la realtà dei fatti, ma forniscono strumenti indispensabili proprio a noi parlamentari per svolgere il nostro lavoro con cognizione di causa". Lo scrive in una nota la senatrice del Pd Susanna Camusso.
Ma ormai chiunque osi dissentire con l’operato del Governo Meloni – scienziati, magistrati, professori, giornalisti – viene puntualmente delegittimato. Peccato che sia lo stesso Presidente Zaffini ad ammettere che su sei decreti attuativi promessi per smaltire le liste d’attesa, sia stato approvato solo quello sul funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio. La colpa? Dipende dal giorno: molto spesso è dei governi precedenti – nonostante la destra governi da tre anni – altre volte, come in questo caso, delle Regioni - nonostante la stessa destra stia spingendo per l’Autonomia. Mentre milioni di italiani non possono curarsi e il SSN è al collasso, il governo continua a giocare a scaricabarile, additando nemici immaginari e scaricando le colpe su chiunque tranne che su sé stesso”.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Dopo il record di 150.000 iscritti, Forza Italia rafforza il suo radicamento sul territorio con l’avvio della stagione dei Congressi Comunali e Circoscrizionali. Si parte da 9 regioni per eleggere i nuovi segretari comunali e circoscrizionali, in un percorso di partecipazione e crescita che coinvolgerà tutta Italia". Lo scrive Forza Italia sui suoi profili social.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Rispondo a chi ogni tanto ci accusa di non avere una visione. Certo che ce l'abbiamo, anche bella forte. Magari a qualcuno non piace, non sarà quello che si aspettavano dal Pd di prima, ma oggi il Pd è autodeterminato in questa direzione". In mezzo al dibattito su 'meglio presentarsi uniti o divisi per colpire uniti', innescato dalla proposta di Dario Franceschini, Elly Schlein continua a insistere sui temi piuttosto che sui tatticismi. E rilancia la visione del 'suo' Pd a fronte di perplessità, più o meno esplicite, avanzate nei suoi confronti nell'ultimo periodo.
"La giustizia sociale, la giustizia climatica, il lavoro dignitoso, l'innovazione, i diritti delle persone", elenca la segretaria dal palco della prima iniziativa col Terzo Settore (previste altre 4 a febbraio) a Monterotondo. Come aveva fatto la settimana scorsa davanti all'ospedale di Vicenza per parlare di sanità o con gli operai a Marghera o quelli della crisi Beko su lavoro e politiche industriali.
Alla questione aperta da Franceschini, Schlein ha però dato una risposta l'altra sera a Piazza Pulita dopo giorni di silenzi, conditi da freddezza dell'inner circle della segretaria. Andare divisi per colpire uniti? "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria", la risposta di Schlein. Insomma, nonostante al momento non vi siano passi avanti nella costruzione dell'alleanza, lo schema della segretaria non cambia. Resta 'testardamente unitario'. "Ce lo chiede la gente", la tesi di Schlein. Il sondaggio mandato in onda durante la trasmissione pare darle ragione con quasi l'80% degli elettori di centrosinistra a invocare un accordo tra le opposizioni.
Un accordo che però non c'è e la proposta di Franceschini ha avuto anche l'effetto di evidenziare ulteriormente le resistenze rispetto a un'alleanza organica. Basta leggere l'elenco di quelli che hanno promosso o quanto meno si sono detti interessati alla possibilità di 'marciare divisi, per poi colpire uniti' dopo il voto: da Carlo Calenda a Giuseppe Conte. Chi invece non è sembra interessato, è Romano Prodi che in una lunga intervista avverte: "Senza un programma condiviso non è politica, ma solo cinismo. Si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese”.
"Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni?", si chiede Prodi. "Potrebbe essere l'ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall'idea che non ci si può mettere d'accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni". L'Ulivo non è più riproponibile, aggiunge, "quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro".
Non basta solo criticare: "Politica è dire quel che serve all'Italia per la distribuzione del reddito, la sanità, la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità". Chi può riuscire a federare il campo delle opposizioni in ordine sparso? Per Prodi la risposta è aperta: "Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri".
Tel Aviv, 1 feb. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta valutando la possibilità di nominare il ministro degli Affari strategici Ron Dermer a capo del team negoziale di Israele per i colloqui sugli ostaggi con Hamas, secondo le notizie di Channel 12. Subentrerebbe al ruolo del capo del Mossad David Barnea. Secondo quanto riferito, Barnea resterebbe nella squadra insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar e all'uomo chiave per la presa degli ostaggi delle Idf Nitzan Alon, con Dermer a supervisionare i colloqui.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che Netanyahu riconosce che i negoziatori vogliono fare tutto il possibile per garantire che la seconda fase dell'accordo sulla restituzione degli ostaggi con Hamas abbia luogo, e il premier vuole mantenere aperte le sue opzioni. Secondo Channel 12, i funzionari del team di Netanyahu affermano che, poiché i colloqui principali si stanno svolgendo con l'amministrazione Trump, dovrebbero essere guidati da qualcuno con una formazione più diplomatica, che non nella sicurezza.
Sembra che l'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, abbia detto a Netanyahu che preferirebbe lavorare con Dermer e che ha delle riserve sulla collaborazione con l'attuale team negoziale. Witkoff e Netanyahu hanno parlato oggi, ha riferito Channel 12, aggiungendo che il primo ministro israeliano terrà un incontro stasera per decidere se inviare una delegazione di medio livello in Qatar questa settimana. In risposta, l'ufficio di Netanyahu ha affermato che "i resoconti non sono veri" e che "le decisioni sui negoziati saranno prese solo dopo il ritorno del primo ministro dagli Stati Uniti".
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro di dipendenti e dirigenti Rai a viale Mazzini. Lo storico palazzo, simbolo del Servizio Pubblico, che dagli anni 60 rappresenta la Rai, chiuderà per essere interessato da importanti ed ampi lavori di ristrutturazione". Lo dichiarano i componenti di Fratelli d’Italia della Commissione Vigilanza Rai.
"Interventi che consentiranno alla Rai di usufruire di una sede moderna, digitale e all’avanguardia, capace così di confrontarsi con un mercato televisivo sempre più competitivo. È un merito di questa dirigenza che oltre a garantire un sempre più ampio pluralismo, così come si pretende dal Servizio pubblico, un’offerta e una qualità nella programmazione, adesso garantirà alla Rai anche strutture di prim’ordine. Infatti, la sede di viale Mazzini si affiancherà al nuovo centro di produzione a Milano che sarà uno dei più avanzati in Europa. Al contempo va rivolto un vivo ringraziamento ai dipendenti Rai, che stanno affrontando con grande impegno e dedizione questo significativo momento di passaggio, che servirà a costruire il Servizio pubblico del futuro”.
Ramallah, 1 feb. (Adnkronos) - Le forze israeliane hanno arrestato due giornalisti palestinesi e sequestrato la loro attrezzatura nella città di Beit Ummar, a nord di Hebron, in Cisgiordania. Lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando il giornalista Ihab al-Alami, che ha riferito, dopo essere stato rilasciato, che "lui e il suo collega, Nidal al-Natsheh, sono stati arrestati dai soldati israeliani mentre documentavano i danni su terreni di proprietà palestinese vicino all'insediamento israeliano illegale di Karmei Tzur". I soldati hanno sequestrato tre telecamere prima di costringerli ad abbandonare la zona, ha aggiunto il reporter.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Roma si è svolta la Direzione Nazionale di Fratelli d'Italia, un momento di confronto interno al partito in vista del giro di boa della metà legislatura. Non si è trattato, evidentemente, di una seduta del Consiglio dei Ministri, un dettaglio che i deputati di Italia Viva, cui resta solo la polemica, potrebbero facilmente cogliere solo sfogliando un qualsiasi manuale di diritto costituzionale". Così Antonio Baldelli, deputato di Fratelli d'Italia, risponde alle polemiche sollevate da Italia Viva sull'assenza del Presidente del Consiglio all'assemblea di FdI e sulla presenza del capo della segreteria politica, Arianna Meloni.