Quando ho saputo delle minacce, ho avuto una sola idea: continuare a fare il mio mestiere, con lo stesso impegno. Nulla più. Penso ai cronisti che lavorano nei territori divorati dalle mafie, non solo al Mezzogiorno, spesso sottopagati e precari. Non subiscono solamente intimidazioni, ma querele temerarie e richieste di risarcimenti. Il combinato delle minacce e delle querele rappresenta una nuova mordacchia, un macigno sulla libertà d’informazione.

Tutto ciò che possiamo fare – ripeto – è lavorare con passione. Le borghesie mafiose e le organizzazioni criminali in genere sono una zavorra insopportabile per il sud e per l’intero Paese. Un’emergenza che dura da troppi anni.

Per combattere le mafie e la zona grigia del potere serve il contributo di tutti. I giornalisti hanno una responsabilità fondamentale: ce ne sono tanti che raccontano i fatti di mafia, i processi dove sfilano i politici conniventi e gli imprenditori contigui al potere criminale; che denunciano l’affarismo che porta a investire fuori dalle Regioni a tradizionale presenza mafiosa attraverso teste di legno e prestanome.

Ma anche la politica può e deve fare molto. La solidarietà fa piacere, ma senza un impegno concreto diventa stucchevole. Troppo spesso nella composizione delle liste elettorali non si sceglie la strada dell’etica pubblica, ma si seleziona la classe dirigente sulla base dei pacchetti di voti, ignorando contiguità e vicinanze.

Da cittadino campano per me è ancora più importante continuare a denunciare gli affari del potere criminale anche nel grande business delle bonifiche che si muove attorno ad alcune aree martoriate della mia Regione, dove negli anni sono state smaltite tonnellate di rifiuti tossici.

Continuerò a fare il mio lavoro come prima, ma serve davvero la partecipazione di tutti. Non sono accettate deleghe: si vincono le mafie solo con il contributo di ognuno di noi, attraverso il proprio lavoro quotidiano.

Il Fatto Quotidiano, 9 luglio 2015

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