E’ caos politico in Grecia: il governo è “con le gambe all’aria” scrivono oggi alcuni quotidiani greci. Alexis Tsipras conquista il sì del Parlamento al terzo memorandum della crisi, già molto gradito a Bruxelles, ma di fatto cambia la maggioranza che lo sostiene aprendo a scenari nuovi: 32 deputati – tra destrorsi di Anel alleati al governo e syrizei duri e puri – non lo votano, mentre ben 100 sì giungono dai banchi delle opposizioni. Fonti del partito lasciano intendere che ci potrebbero essere anche dimissioni di alcuni ministri contrari all’austerità, prima combattuta nel famoso programma di Salonicco e in campagna elettorale “e ora accettata supinamente nonostante il no al referendum”.
Hanno risposto paròn (presente) 17 deputati di Syriza su 149 alla votazione, ufficialmente astenendosi (in totale sono 32) ma di fatto aprendo una questione politica in seno alla maggioranza di governo. Oltre all’ex ministro Yanis Varoufakis, al sole dell’isola di Egina per un weekend con moglie e figlia, ci sono i fedelissimi come il capo del correntone di Iskra Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e uomo di raccordo con Mosca, la presidente della Camera Zoì Kostantopoulou (assieme a Dimitris Stratoulis, Costas Lapavitsas, Stathis Leoutsakos) che in questa sorta di voto di fiducia sul governo stanno dalla parte opposta a quella del premier. Il partito è per la prima volta in subbuglio. Il ragionamento che si fa al sesto piano della sede di Koumoundourou è che se il mandato elettorale dello scorso gennaio e ancor più quello del referendum di appena sei giorni fa erano contro nuove forme di austerità, come giustificare oggi un altro piano lacrime e sangue, con aumenti di Iva, Imu sugli immobili e tasse di vario genere?
E’quasi l’alba quando Tsipras dirama una nota in cui sottolinea che il Parlamento ha dato al governo un mandato forte per completare i negoziati e raggiungere un “accordo economicamente sostenibile e socialmente giusto”. Quest’ultimo è il punto controverso, su cui il dibattito interno a Syriza è montato sin dalle settimane precedenti al referendum e sui cui, alla fine, si è poi consumata anche la rottura (politica e umana) con Varoufakis.
Poco prima ecco la bordata di Lafazanis: “Ho espresso la mia opposizione profonda e inequivocabile a una proposta che minaccia di estendere la custodia esterna del mio Paese. Io sostengo il governo, ma sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato non farà altro che aggravare il circolo vizioso di recessione, povertà e miseria”. Una dichiarazione di sfiducia piena al piano che invece è stato votato da 100 deputati centristi, socialisti e conservatori dell’opposizione (in totale 251 favorevoli, 32 contrari, 8 astenuti). Prima del voto c’è stato anche un documento siglato da quattro deputati di Syriza (Dimitris Kodela, Vassilis Kiriakakis, Eleni Sotiriou e Claus Chatzilamprou) in cui scrivono che il governo ha chiesto il loro appoggio per “un terzo memorandum preparato su richiesta della Troika”.
Se le critiche al piano appena votato dovessero realmente trasformarsi in passo indietro di alcuni ministri, ecco che Tsipras sarebbe costretto ad un rimpasto di governo, ma aprendo necessariamente a chi gli ha consentito di tornare a trattare con i creditori: i centristi di Potami, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia. Che, a quel punto, su sponda del presidente della Repubblica, pretenderebbero un nuovo esecutivo di larghe intese con tutti dentro, sognando addirittura un nuovo frontman (il giornalista Stavros Theodorakis, capo del Potami). “Ma se siamo stati eletti per cambiare tutto – si chiedeva ad alta voce un dirigente di Syriza prima dell’ennesimo caffè – come potremo adesso fare un governo con gli amici della troika che hanno governato dal 2011 a ieri?”.