Un’avocazione inaspettata, un’indagine scippata che spacca ulteriormente la procura di Palermo. L’ultima crepa nel palazzo dei Veleni si è aperta a sorpresa. A provocarla, infatti, è stata la decisione del procuratore generale Roberto Scarpinato di avocare a sé l’indagine sull’omicidio di Nino Agostino, l’agente di polizia ucciso il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie, Ida Castelluccio. Un omicidio mai risolto, collegato al fallito attentato dell’Addaura, e sul quale da anni stavano indagando i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. È per questo motivo che l’avocazione di Scarpinato è un atto doppiamente inedito: intanto perché accade molto raramente che una procura generale avochi a sé le indagini ai colleghi inquirenti; ma soprattutto perché per giustificare l’avocazione nel decreto si parla d’inerzia dei magistrati di primo grado.
L’avocazione di Scarpinato in pratica viene letta come in una bocciatura per la condotta di Del Bene e Di Matteo, i pm che da più tempo sono titolari dell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia, naturale prosecuzione di Sistemi Criminali, l’indagine ideata dall’attuale procuratore generale di Palermo alla fine degli anni ’90. Il procedimento oggi in corso all’aula bunker del carcere Ucciardone è in pratica un’evoluzione dell’intuizione investigativa avuta da Scarpinato quand’era il procuratore aggiunto di Gian Carlo Caselli. Ma non solo: perché i punti di vicinanza tra i due pm del pool Stato mafia e Scarpinato non si esauriscono qui. Il procuratore generale infatti ha scelto di seguire personalmente il processo d’appello a Mario Mori e Mauro Obinu, i due ufficiali dei carabinieri accusati di non aver volontariamente arrestato Bernardo Provenzano, già assolti in primo grado, quando la pubblica accusa era rappresentata proprio dai pm Di Matteo e Del Bene (oltre all’ormai ex magistrato Antonio Ingroia).
In questo senso la richiesta di avocazione, firmata anche dal sostituto pg Luigi Patronaggio, apre un capitolo nuovo nei rapporti tra magistrati che fino ad oggi sembravano condividere le medesime tesi accusatorie: dalla procura generale sottolineano però di non aver mosso alcuna critica nei confronti dell’attività di Del Bene e Di Matteo. Adesso invece i pm della procura considerano il provvedimento di Scarpinato errato in “diritto e in fatto”: al procuratore generale della Cassazione è già arrivato il reclamo del procuratore capo palermitano Francesco Lo Voi.
Di Matteo e Del Bene avevano di recente depositato la richiesta d’archiviazione per l’indagine Agostino, dato che non pensavano di avere prove a sufficienza per portare a processo i due indagati, i boss mafiosi Antonino Madonia e Gaetano Scotto: il gip Maria Pino ha però bocciato l’istanza dell’accusa ordinando alla procura una serie di approfondimenti. Adesso è arrivata la richiesta di avocazione di Scarpinato: un atto che nei corridoi del palazzo di giustizia palermitano nessuno vuole commentare.
Dopo l’avocazione le indagini sul caso Agostino saranno affidate ai sostituti procuratori generali Nico Gozzo e Umberto De Giglio. Sia Scarpinato che Gozzo indagarono in passato sulla morte del poliziotto. Un’esecuzione mai chiarita, collegata alla scomparsa di Emanuele Piazza, agente della mobile svanito nel nulla nel marzo del 1990. Una pista investigativa, battuta da Di Matteo e Del Bene, collega i due agenti di polizia al mancato attentato dell’Addaura, quando il 21 giugno del 1989 venne ritrovato un borsone con 58 candelotti di tritolo, sulle scogliere della borgata marinara, a pochi metri dalla villa presa in affitto per le vacanze dal giudice Giovanni Falcone. “Io a quel ragazzo gli devo la vita“, è la frase che, secondo alcuni testimoni, venne pronunciata da Falcone al funerale di Agostino.
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