LA PIERRE-SAINT-MARTIN – Nessun pietà per Quintana. Per Contador. Per Nibali. Per Van Garderen. La maglia gialla Chris Froome li ha disintegrati. E’ stato devastante. Ha vinto la tappa della prima vera salita per kappao. Ha suonato gli avversari, con uppercut che lasceranno il segno: li ha tramortiti non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Ha corso da spietato uomo solo al comando che non ammette compagni d’avventura, salvo i fidi e devoti scherani della Sky. Questo team ha fatto irruzione nel mondo del ciclismo, rivoluzionandolo con budget calcistici. Oltre 25 milioni di euro l’anno di base, quando la media arriva a stento a 10-12 milioni. Il colore nero alla Batman è un tocco british. Meccanici e direttori sportivi viaggiano in Jaguar, i suoi pullman sono i più costosi ed attrezzati.
Aspettavamo un sussulto d’orgoglio di Vincenzo Nibali, il siciliano è arrivato ventunesimo, stremato, distrutto. Stavolta la squadra non c’entra, anzi. E’ lui che è stato un disastro: “E’ vero, ho avuto un giorno difficile. Non avevo forza nelle gambe, non riuscivo nemmeno a seguire i compagni. All’inizio della salita ho cercato di resistere, inutilmente”. Addio sogni di gloria. L’impresa l’ha fatta Froome, con furore impressionante: ha imposto la sua leadership sulle gerarchie del ciclismo mondiale. Mi ha ricordato Eddy Merckx, che non concedeva nulla agli altri, salvo quando la forma non era al meglio. Froome ha cannibalizzato questo Tour de France. L’unica incertezza è: continuerà a questo livello? “Sono felice”, ha detto, finalmente ritornando umano, dopo essere stato dio. “Ho fatto il mio meglio, ho imparato a rimediare agli errori del passato, adesso il lavoro di gruppo è perfetto, ogni dettaglio è importante, dal lavoro dei meccanici a quello della logistica. Vincere il Tour è l’obiettivo per il quale ci siamo focalizzati. Mi sento molto bene, la mia forma è meravigliosa”.
Su Twitter @chrisfroome ha postato la foto che lo ritrae a braccia sollevate, con un sorriso così fanciullesco che mai gli avevamo visto sinora, “happiness is…” ha scritto aggiungendo uno smile in tono con il suo euforico stato d’animo. Ebbene, abbiamo applaudito la stupefacente progressione in salita del britannico, coi francesi che gridavano “chapeau!” e una folla sterminata in delirio, perché certe emozioni non hanno né confini né nazionalità: la parrocchia del ciclismo capisce subito chi è il più forte, chi insomma è il padrone incontrastato del Tour. L’anno scorso era Nibali. Quest’anno è lui. Nairo Quintana ha tentato di dispiegare le ali da “condor delle Ande”, ma l’altro aveva già spiccato il volo con la forza di un’aquila reale. Il colombiano ha provato ad inseguire, ma ha capito che ci sarebbe voluto un motorino. Alla fine è stato superato da Richie Porte, che al Giro d’Italia beccava minuti a palate e invece si allenava per puntellare il potere assoluto di Froome: “Siamo primo e secondo oggi, è stato magnifico, non si è trattato di rifilare secondi, ma minuti. Chris è stato super!”, ha detto il luogotenente della maglia gialla. I Pirenei hanno distrutto ogni residua speranza di Vincenzo che si ritrova decimo in classifica a 6 minuti e 57 secondi da Froome, uno sprofondo, e siamo alla prima vera arrampicata, dopo nove tappe di avvicinamento alle montagne delle leggende ciclistiche.
Domani e dopodomani si replica: altre salite, altri dolori. Chris ha matato pure Alberto Contador, che adesso accusa 4 minuti e 4 secondi di ritardo dalla feroce maglia gialla: pure per lui addio alla “doppietta Giro-Tour”. Ci ha provato, o meglio, ha detto di volerci provare. Le parole tuttavia non bastano a spingere i pedali. A futura memoria, racconteremo che il Tour 2015 di Vincenzo Nibali è virtualmente finito a dieci chilometri e 600 metri dall’arrivo alla Pierre-Saint-Martin, quota 1610, nella vallata di Barétous, un mammellone dei Pirenei atlantici francesi dove d’inverno si scia e d’estate si lasciano pascolare mandrie e greggi. A Oloron Sainte Marie, che è il centro più importante, il 5 settembre andrà in scena il 23esimo campionato del mondo della Garburade. Col ciclismo non c’entra nulla, poiché si tratta di minestrone di verdura con (abbastanza) grasso e carne d’oca. Da queste parti la cucina (di ispirazione basca) è rustica assai, e non molto varia: formaggi di pecora, maiale nero di Bigorre, vinelli rossi fruttati dell’Ossau-Iraty (formaggi della stessa denominazione d’origine sono per palati forti).
Ad Arette ho visto un cartello ironico che indicava una deviazione “E.P.O.”: un bistrot di montagna, aperitivi e pastis, degustazioni gratuite di armagnac… Possiamo crudelmente precisare anche quando il siciliano è andato in bambola. La “cotta” l’ha aggredito alle 16 e 32 di un pomeriggio di sole e di grande festa popolare – c’erano almeno centomila persone sgranate lungo i venti chilometri finali – quando è scattato l’olandese Robert Gesink che andava a riprendere Pierrick Fedrigo, in fuga per quasi tutta la tappa (lunga 167 chilometri) assieme al belga Kenneth Van Bilsen. I due avevano raggiunto un vantaggio record di quasi quindici minuti, Van Bilsen si era arreso un paio di chilometri prima, all’inizio della prima vera salita di questa edizione, 15,3 chilometri con una pendenza media del 7,9 per cento, ma all’inizio con lunghi strappi oltre il 9 e il 10 per cento. Gesink è il leader della Lotto Jumbo. Davanti tiravano gli uomini della Movistar di Nairo Quintana e i Tinkoff di Alberto Contador. La Sky della maglia gialla Chris Froome era subito dietro, tre uomini a coprire il capitano. Il loro direttore sportivo, Nicolas Portal, vive a Pau, conosce queste strade come le sue tasche. Ha predisposto un piano d’attacco violento, per dare uno scossone tombale alla classifica. Il piano ha funzionato meglio di quanto avesse sperato.
Il bello è che l’aveva annunciato, dunque i rivali della maglia gialla erano stati avvertiti… Quando Gesink ha allungato, Nibali ha iniziato a perdere contatto coi migliori. Aveva già perso un boccheggiante Michele Scarponi, di nuovo in annaspo. Gli restavano a fianco Jakob Fuglsang e Tanel Kangert. Il siciliano sudava come una fontana e questo era un brutto segno. La sua pedalata, lenta, spossata. Da quel momento, è cominciato il calvario di Vincenzo. Davanti, i migliori avevano innescato la quarta. Ed era la resa dei conti. Poco per volta, tornante dopo tornante, il gruppetto dei primi infatti si sfilacciava. Uno stillicidio. Il distacco di Nibali aumentava progressivamente. A vederlo, si provava tanta pena. Ecco perché ieri ci è sembrato mogio, spento, e il suo sguardo era quello di colui che ha smarrito certezze, energia e morale. La Movistar giocava la carta di Alejandro Valverde, col compito di spezzare il ritmo, di scombussolare il gruppetto in testa. Vanamente. Van Garderen teneva duro, stupiva l’inglese Adam Yates, e la decorosa tenuta dei francesi Pierre Rolland e Tony Gallopin. Quintana marcava stretto Froome, mentre Contador andava in balla. Barcollava, persino, e quasi finiva addosso ad un altro corridore. Poi, lentamente, si staccava dai primi. Meno imballato di Nibali, certo, ma pur sempre sconfitto.
A sei chilometri e mezzo dal traguardo, lo scatto perentorio di Froome. Il britannico rompeva gli indugi. S’inarcava sui pedali, spingeva il rapportino minimo che esalta la sua agilità, moltiplicava i giri della pedaliera, con quella frenesia che lo ha reso unico nel mondo delle due ruote. Fatto sta che lascia stecchito Tejay Van Garderen. Quintana resta fulminato. Guarda impotente Froome scappar via. Reagisce, ormai però è troppo tardi. La progressione di Chris è irresistibile. A cinque chilometri dal traguardo ha già 25 secondi sul colombiano, 53 su Van Garderen e Porte, un minuto e 19” su Contador, 2’32” su Nibali. A quattro, Quintana ha perso altri dieci secondi, Contador sei e Nibali venti. A tre, come un fatale metronomo, i distacchi aumentano: ora Quintana insegue a 50 secondi, Contador a 2’02”, Nibali a 3’44”. Al traguardo Porte è secondo, a 59” dal capitano. Quintana busca un minuto e 4”. Gesink è quarto davanti a Valverde. Thomas Geraint, altro Sky, è sesto, precede Yates e i due francesi Rolland e Gallopin. Van Garderen è decimo, subito dopo a 2’51” passa Contador. Tredicesimo è Fulgsang, che ha avuto il via libero da Nibali. Il compagno del siciliano segna un ritardo da Froome di 3’09”, Nibali, ventunesimo, dietro Kangert, accusa 4’25”. Più che tempi, sentenze. Stasera, a Pau, per il 14 luglio – festa sacra dei francesi che celebrano la Rivoluzione del 1789 – canta Johnny Halliday. Un tuffo nel passato. Il suo primo disco è del 1960. L’anno del Tour di Gastone Nencini.