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‘Egoisti, superficiali e assorbiti da se stessi’: 16 storie, tra ironia e sincerità, di chi ha scelto di non avere figli

La domanda che si sentono rivolgere è sempre la stessa: perché avete deciso di non avere bambini? Anche le occhiate di biasimo si ripetono, ogni volta che si tocca l'argomento. Per questo, per spiegare che una vita senza figli è possibile e "normale", un gruppo di autori ha scritto un libro. Come sottolinea Meghan Daum, scrittrice, editorialista del Los Angeles Times, e curatrice del volume, le donne sono le più stigmatizzate quando rifiutano di diventare madri. “Tutti ti dicono sempre che è questione di tempo”, che prima o poi la voglia di maternità arriverà

di Stefania Prandi

La domanda che si sentono rivolgere è sempre la stessa: perché avete deciso di non avere bambini? Anche le occhiate di biasimo si ripetono, ogni volta che si tocca l’argomento. Per spiegare che una vita senza figli è possibile e “normale”, 13 scrittrici e 3 scrittori americani hanno deciso di raccontare, in un libro intitolato provocatoriamente Egoisti, superficiali e assorbiti da se stessi, la propria storia di “genitori mancati” tra ironia, sconcerto, e sincerità, ripercorrendo episodi dell’infanzia e dell’età adulta. L’obiettivo del testo, appena pubblicato in inglese (Selfish, shallow and self- absorbed) da Picador è rompere i tabù che circondano chi sceglie di vivere consapevolmente senza “il bisogno di riprodursi”.

“La vergogna di essere poco femminili e incapaci di crescere qualcuno è l’emozione più dura da gestire per le donne che sono certe di non volere bambini” scrive la psicoterapeuta Jeanne Safer in uno dei saggi. Non è un caso che si riferisca proprio alle donne. Come sottolinea Meghan Daum, scrittrice, editorialista del Los Angeles Times, e curatrice del volume, le donne sono le più stigmatizzate quando rifiutano di diventare madri. “Tutti ti dicono sempre che è questione di tempo”, che prima o poi la voglia di maternità arriverà. E la pressione è così forse che a un certo punto “si vuole volere un figlio, anche se non si ha il desiderio” perché, ribadisce Sigrid Nunez, un’altra delle contributor della raccolta, “una donna che rifiuta questa possibilità è considerata innaturale e stramba”. Dal pampleth emerge che i pregiudizi riguardano anche gli uomini. I non padri vengono considerati incapaci di portare avanti relazioni e di volere prolungare l’adolescenza a oltranza. E di loro si pensa che forse potranno cambiare idea non appena troveranno la compagna adatta.

Sono svariate le ragioni che portano le persone a questa scelta. C’è chi, come racconta Michelle Huneven, è cresciuta in famiglie violente, anaffettive, con genitori con problemi di alcolismo e di droga e non vuole riproporre il meccanismo. Huneven sottolinea che questo non significa assolutamente che chi ha avuto famiglie problematiche diventi un cattivo genitore. Anzi: “ho amici con un passato difficile che sono madri e padri amorevoli, responsabili, sobri e che sono stati in grado di creare case sicure e serene”. Anna Holmes invece, spiega che, nonostante venga da una famiglia splendida, che l’ha amata e le ha insegnato a vivere con curiosità, spirito di immaginazione e integrità, non crede di potere fare le cose che vuole nella vita e nello stesso tempo essere una madre, né le va di scoprire se questa sua convinzione sia sbagliata.

Sono soprattutto le donne con un alto livello di educazione a essere childless. L’Atlantic, tra i primi giornali a recensire il libro, spiega che, negli Stati Uniti, “nel 1970 una donna su dieci raggiungeva la menopausa senza avere messo al mondo un bambino. Nel 2010, invece, la percentuale è salita a una donna su cinque, e a una su quattro per le donne con una laurea. Il che significa che un quarto delle donne americane con un’educazione elevata non avrà mai bambini”. Secondo Sigrid Nunez tutto dipende da quello che si vuole dalla vita. Alcuni tipi di lavori, come ad esempio scrivere libri, un’attività che richiede tempo per sé e isolamento, mal si conciliano con la maternità: “non si può ignorare che tutte le grandi scrittrici come Jane Austen, le sorelle Brontë, George Eliot, Viriginia Woolf, non hanno avuto figli. Colette, che scrisse con affetto e acume della propria madre, ebbe una figlia non voluta che trascurò. Doris Lessing dichiarò di non essere la migliore persona per crescere le figlie che lasciò quando si trasferì dal Sud Africa a Londra per seguire la carriera. Perché? Non c’è niente di più noioso per una donna intelligente che dedicare un’infinita quantità di tempo a dei bambini piccoli”.

Non avere figli non significa odiare i bambini, spiega Daum. “Resto sempre stupita dal fatto che questa convinzione sia così radicata. Molti di noi dedicano molto tempo ad arricchire le vite dei bambini di altri, così come loro arricchiscono le nostre”. C’è chi lavora come insegnante, chi tiene corsi di scrittura con adolescenti, chi è circondato da nipoti e figli di amici. “Non siamo noi gli egoisti” scrivono in molti, spiegando che c’è dell’egoismo anche nella scelta di mettere al mondo dei figli: il mondo è pieno di adulti frustrati, nervosi scontrosi e problematici che creano famiglie tutt’altro che serene e felici.

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