“E’ fuori di dubbio che il debito della Grecia vada alleggerito“. Stavolta a dirlo, sposando apertamente la linea dell’amministrazione Obama, è stato il presidente della Bce Mario Draghi. Che in conferenza stampa da Francoforte ha anticipato: “Ci concentreremo nelle prossime settimane” sulle modalità per farlo. Poi un riferimento al ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, l’irriducibile falco che ancora giovedì mattina, dopo il via libera del Parlamento greco alle riforme imposte dall’intesa di lunedì scorso, è tornato a ripetere che una temporanea uscita dall’euro “sarebbe per la Grecia la via migliore” e ha messo in dubbio le possibilità di successo del terzo programma di salvataggio. Salvo poi sostenere che venerdì, al Bundestag, voterà “con piena convinzione” in favore dei nuovi aiuti. “Non farò commenti sulle affermazioni di uomini politici. Per noi la Grecia è e resta nell’euro”, ha tagliato corto Draghi, che sabato scorso ha avuto un duro scontro con lo stesso Schaeuble nel corso dell’Eurogruppo. Il numero uno dell’Eurotower non ha poi risparmiato critiche all’architettura europea, di cui mai come in queste settimane sono state evidenti tutte le crepe. L’Unione? “Imperfetta e fragile“, ha detto l’uomo che ne guida una delle istituzioni chiave. Spiegando che “non porta i benefici che potrebbe avere se fosse completata”.
Una debolezza intrinseca, dunque, resa solo più evidente dalle discussioni sull’uscita della Grecia dall’euro, che pure “ci sono state”. Ma ora il nodo cruciale, più politico che finanziario, è quello del debito. Attestando senza mezzi termini che la zavorra da quasi 320 miliardi che pesa sull’economia ellenica è troppo pesante, l’ex governatore di Bankitalia ha espresso una posizione identica a quella messa nero su bianco lunedì, in un memo indirizzato ai capi di Stato dell’area euro, dal Fondo monetario internazionale. Che è poi la posizione del governo Usa, il cui segretario al Tesoro Jacob Lew è in Europa in questi giorni proprio per far pesare il punto di vista degli Stati Uniti nei giorni chiave della crisi ellenica. Mercoledì Lew ha incontrato Draghi e giovedì è approdato a Berlino. Dove Schaeuble e la cancelliera Angela Merkel di taglio del valore nominale del debito non vogliono sentire parlare.
Le differenze però si assottigliano se il concetto di “alleggerimento” si interpreta nel senso di un allungamento dei tempi di rimborso e del “periodo di grazia“, cioè quello durante il quale il Paese non paga nulla: una discussione su questi punti è esplicitamente prevista, pur se solo come possibilità e non nel breve periodo, dal documento firmato lunedì nel corso dell’Eurosummit. La partita si gioca dunque anche sul filo dell’ambiguità: il paper dell’istituzione di Washington spiega che la sua partecipazione al nuovo programma dipende dal fatto che il debito sia reso sostenibile, ma non individua come unica strada un taglio netto. E la direttrice Christine Lagarde, in un’intervista alla Cnn, ha detto di avere “un po’ di speranza” nella possibilità che i Paesi europei accettino “una ristrutturazione”, “non importa in che forma”: andrebbero bene anche “un ritardo delle scadenze, l’estensione del periodo di grazia e la compressione dei tassi di interesse”.
La Bce aumenta da 89 a 90 miliardi i fondi per le banche. Draghi: “Ora rimuovere controllo dei capitali” – Draghi ha annunciato anche che la Bce ha aumentato la liquidità di emergenza (Ela) a disposizione delle banche elleniche, che il 6 luglio era stata congelata a 89 miliardi. Il varo delle misure su Iva e pensioni – vittoria di Pirro incassata mercoledì notte da Alexis Tsipras al prezzo della dissoluzione del suo governo – ha infatti “cambiato le cose”. Di conseguenza il consiglio direttivo dell’Eurotower ha deciso (non all’unanimità) di concedere altri 900 milioni. La cifra aggiuntiva corrisponde “all’incirca quanto richiesto dalla Banca centrale di Atene”. Dopo l’annuncio fonti elleniche hanno fatto sapere che gli istituti, chiusi da 18 giorni, riapriranno lunedì. Ma rimarranno in vigore il tetto ai prelievi bancomat e il divieto di effettuare bonifici verso l’estero, introdotti per evitare un’ulteriore emorragia di capitali visto che i depositi sono calati a meno di 120 miliardi di euro dai 160 del dicembre 2014. Quei paletti, ha detto Draghi, sono stati decisi “per evitare un panico bancario e difendere i correntisti“, ma “pesano sulla crescita economica”. Per questo ora “è nell’interesse dell’economia greca di rimuovere il più rapidamente possibile il controllo dei capitali”, anche se bisogna “farlo in modo prudente” per “evitare il rischio di un panico bancario che colpirebbe i piccoli correntisti”.
Grecia tra i beneficiari del quantitative easing solo dopo “revisione dei progressi” – Il numero uno della Bce ha poi difeso le scelte del direttivo, che nelle scorse settimane è stato accusato di aver chiuso i rubinetti senza motivo. “Contesto chi dice che non abbiamo fornito abbastanza liquidità”, ha detto, perché l’Ela “in base alle nostre regole non è stata concepita per essere illimitata e senza condizioni”, è regolata da accordi “che fanno esplicito riferimento a una precisa quantità collaterale” e Francoforte ha agito “con criteri proporzionali“. Per di più l’esposizione totale della Bce verso Atene è di 130 miliardi di euro, che la rendono “il più grande depositante”. Poi Draghi ha aperto alla possibilità che, una volta entrata nel programma di sostegno triennale gestito dall’Esm, la Grecia possa essere ammessa nella platea degli Stati che beneficiano del programma di acquisto di titoli di Stato (quantitative easing) partito a marzo. Prima occorre però che si concluda con successo la “revisione” dei progressi fatti dal Paese sulla base dell’accordo con i partner Ue.
Via libera della Ue al prestito ponte. Rischi tutti a carico dell’Eurozona – Giovedì mattina l’Unione europea ha intanto preso atto dell’approvazione “in modo tempestivo e nel complesso soddisfacente” delle riforme previste dall’intesa firmata di lunedì scorso tra la Grecia e i creditori. E da Bruxelles è arrivato il via libera al prestito ponte da 7 miliardi necessario al Paese per far fronte alle prossime scadenze finanziarie, in attesa che si trovi un accordo sul piano di salvataggio a carico del fondo salva Stati Esm. L’avvio dei negoziati è stato autorizzato dall’Eurogruppo, ma ci vorranno diverse settimane. In un comunicato, i ministri di Economia e Finanze della zona euro scrivono che il prestito da 7 miliardi è a favore della “stabilità della Grecia” ed “è condizionato a quello che succederà nei diversi processi nazionali”. I soldi, come previsto, arriveranno dal vecchio fondo di stabilità finanziaria Efsm, a cui contribuiscono tutti gli Stati membri della Ue e non solo i 19 che hanno adottato la moneta unica. La Gran Bretagna, che nei giorni scorsi si era messa di traverso, ha sciolto le riserve dopo aver ricevuto “garanzie“. In particolare saranno utilizzati i profitti sui bond greci detenuti dalla Bce. Secondo fonti diplomatiche sentite dall’agenzia Efe, se la Grecia non dovesse restituire i soldi sarà solo l’Eurozona a farsi carico della perdita. Una soluzione che ha permesso di superare anche i dubbi espressi da Svezia e Danimarca.