Exxon Mobil è, con ogni evidenza, una grande protagonista della fase di globalizzazione a guida statunitense che si va esaurendo, come ho notato qualche post fa, a beneficio di una più articolata governance della comunità internazionale basata sul multilateralismo. In effetti, uno dei tratti caratterizzanti di questa globalizzazione è la posizione di assoluto predominio conferita alle multinazionali private, che godono di un enorme privilegio: hanno poteri e risorse finanziarie sconfinati, si giovano della protezione diplomatica e militare dello Stato di riferimento, ma la possibilità di far valere le loro responsabilità, allo stato attuale di sviluppo dell’ordinamento internazionale, risulta estremamente limitata. Ne risulta una situazione assolutamente insoddisfacente anche se a volte le Corti nazionali riescono a far valere i diritti di coloro che risultano vittime delle loro azioni ed omissioni. Sempreché non intervengano, con la complicità del ceto politico, mediazioni al ribasso.

Corporate Watch ha dedicato un’ampia analisi a quelli che definisce i crimini di Exxon Mobil. Le compagnie petrolifere, per effetto della natura della loro attività e della smodata ricerca di profitti a tutti i costi che le rende spesso insensibili alla crescente esigenza di introdurre le idonee salvaguardie, sono del resto all’avanguardia nella violazione dei diritti ambientali. Basti pensare, per citare due casi tra tanti, all’incidente del Golfo del Messico che ha visto protagonista Bp nel caso Deepwater Horizon o alla controversia che oppone Texaco e Chevron allo Stato dell’Ecuador.

A volte, del resto, le violazioni commesse dalle multinazionali, forti della loro ricchezza, si estendono anche su altri piani. Ad esempio quello dell’ingerenza politica volta al rovesciamento dei governi che con maggiore coerenza si oppongono alle loro esose richieste e alle loro attività incontrollate. La storia degli ultimi secoli è piena di episodi di questo tipo. Basti pensare al ruolo della United Fruit rispetto al golpe in Guatemala nel 1954, a quello di Anaconda, Itt ed altre rispetto a quello del Cile nel 1973, o a quello dell’Anglo Iranian Oil Company (poi confluita all’interno di Bp) rispetto al rovesciamento di Mossadeq in Iran nel 1953. In tutti questi casi le multinazionali si sono avvalse della collaborazione dei servizi segreti occidentali, specie la Cia, come riconosciuto da quest’ultima nell’ultimo caso citato.

Ecco perché non può affatto sorprendere la denuncia del ruolo assunto da Exxon Mobil contro il governo venezuelano, espressa dal presidente Maduro di recente. Come negli altri casi che ho citato, ancora una volta, si tratta di finanziare una campagna politica volta a spodestare un governo che, a differenza di quelli che lo precedettero fino all’avvento di Chavez nel 1998, si è adoperato per recuperare le ricchezze naturali che spettano al popolo venezolano per utilizzarle a beneficio della popolazione in un’ottica di cooperazione internazionale con gli altri governi latinoamericani e del resto del mondo.

In questione, stavolta, anche i diritti di sovranità esistenti su di un’ampia zona frontaliera con la Guyana, il cosiddetto Esequibo, vasto 160.000 kmq e apparentemente ricco di risorse, specie petrolifere. L’atto internazionale cui riferirsi è l’Accordo stipulato fra Venezuela e Regno Unito stipulato il 17 febbraio 1966 in vista dell’allora prossimo conseguimento dell’indipendenza da parte della Guyana cosiddetta britannica. Tale Accordo prevedeva una risoluzione pacifica delle controversie esistenti rispetto alla definizione delle frontiere tra Venezuela e Guyana mediante una Commissione mista o, qualora quest’ultima non avesse potuto raggiungere un accordo, i mezzi pacifici previsti dall’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite. L’Accordo peraltro aggiunge, a scanso di ogni equivoco che ““ningún acto o actividad que se lleve a cabo mientras se halle en vigencia este acuerdo constituirá fundamento para hacer valer, apoyar o negar una reclamación de soberanía territorial en los territorios de Venezuela o la Guayana Británica, ni para crear derecho de soberanía en dichos territorios, excepto en cuanto tales actos o actividades sean resultado de cualquier convenio logrado por la comisión mixta y aceptado por escrito por el gobierno de Venezuela y el gobierno de Guayana”.

Va inoltre tenuto conto del principio giuridico internazionale detto dell’uti possidetis, applicabile in particolare all’area regionale dell’America Latina che prevede il rispetto delle frontiere coloniali preesistenti. E’ in attuazione di tale principio che l’art. 10 della Costituzione della Repubblica bolivariana del Venezuela stabilisce a chiare lettere che: “El territorio y demás espacios geográficos de la República son los que correspondían a la Capitanía General de Venezuela antes de la transformación política iniciada el 19 de abril de 1810, con las modificaciones resultantes de los tratados y laudos arbitrales no viciados de nulidad”.

Data tale situazione di diritto, pare evidente come ogni atto unilaterale volto ad appropriarsi delle risorse dell’Esequibo sia del tutto illecito dal punto di vista del diritto internazionale. Occorre quindi sperare con forza che il governo della Guyana, emancipandosi dalla tutela di Exxon Mobil, accetti la via di una soluzione negoziata che consenta uno sfruttamento delle notevoli risorse in questione a vantaggio di tutti i popoli coinvolti e dell’intera comunità regionale latinoamericana e dei Caraibi.

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