Sono stati rapiti mentre si stavano dirigendo al complesso Eni di Mellitah, in un’area, quella delle coste della Tripolitania, in Libia, infestata da gruppi fondamentalisti che si fanno la guerra tra loro e con le tribù locali per la conquista del territorio. I quattro dipendenti italiani della ditta di costruzioni Bonatti, operante nel Paese, stavano raggiungendo il compound Eni, unica grande azienda petrolifera rimasta nel Paese dopo la chiusura dell’ambasciata italiana, quando sono finiti nelle mani dei sequestratori. In un territorio da sempre terreno di gruppi estremisti, il Gas & Oil Complex poteva continuare a fornire la maggior parte dell’energia necessaria allo Stato nordafricano e a esportare milioni di barili di petrolio e metri cubi di gas grazie ai rapporti che l’azienda era riuscita a stabilire con i gruppi e le tribù locali.
Un equilibrio messo in pericolo già a febbraio, quando lo Stato Islamico, che ha visto crescere la propria influenza nell’area costiera, indicò il complesso di Mellitah come un possibile obiettivo dei jihadisti. “Non siamo ancora in grado di fornire dettagli – fanno sapere da Eni – Abbiamo ricevuto la notizia in maniera indiretta, visto che le quattro persone rapite non erano nostri dipendenti”. Nessun commento, ma solo la conferma di quanto avvenuto da parte della ditta Bonatti, operante nel settore delle costruzioni, gestione e manutenzione di impianti energetici, ma quello che si sa è che i quattro impiegati stavano raggiungendo il complesso di Mellitah, uno dei più importanti compound Eni.
Talmente importante da giustificare la permanenza dell’azienda nel Paese anche dopo la chiusura dell’ambasciata d’Italia, il 15 febbraio, alla quale seguì l’invito della Farnesina per i connazionali ad abbandonare il Paese a causa della situazione di estremo pericolo. Eni a oggi ha deciso di lasciare nel complesso solo personale locale, rimpatriando gli italiani o trasferendoli sulle piattaforme offshore nel Mediterraneo. Da quel momento, la sicurezza sul territorio diventa di competenza esclusiva della Noc, compagnia nazionale libica partner di Eni, mentre con l’operazione militare “Mare Sicuro” l’esercito ha schierato navi e droni per garantire la sicurezza nel Mediterraneo, a largo delle coste libiche.
A metà febbraio, ad aumentare le preoccupazioni dell’azienda era arrivata anche la minaccia di attacco da parte dello Stato Islamico che aveva appena conquistato la città costiera di Sirte, dopo aver preso il controllo di Derna, e che adesso guardava a Mellitah come un obiettivo occidentale da colpire sul territorio. “Le onde ancora ci separano, ma questo è un mare piccolo, è una promessa al nostro Profeta: lo Stato Islamico arriverà a Roma”, scriveva l’autoproclamato califfato sotto a un’immagine del Colosseo con la bandiera nera di Isis. Non si sa però, visto che non c’è ancora stata alcuna rivendicazione, se il rapimento dei quattro dipendenti della Bonatti possa essere collegato alle minacce degli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi. Prima della comparsa dei terroristi di Isis, Mellitah non era stata interessata da gravi episodi legati al terrorismo.
Solo nel 2013 un gruppo di berberi attaccò il gasdotto Greenstream, forzandone la chiusura per protesta contro il governo. Eni, presente nel Paese dal 1959, era riuscita a stabilire rapporti di convivenza con gruppi e tribù locali che le permettevano di mantenere la propria presenza sul territorio in condizioni di relativa sicurezza. Basti pensare che, mentre grandi aziende come Total o Repsol hanno deciso di lasciare la Libia, l’Ente Nazionale Idrocarburi ha continuato a portare avanti il proprio lavoro in una zona in mano ad Alba Libia, una coalizione di forze islamiste che controlla la parte occidentale del Paese, a pochi chilometri da Sabratah, da sempre roccaforte del fondamentalismo che, negli ultimi mesi, sarebbe caduta in mano ai combattenti dello Stato Islamico, e vicina a un campo di addestramento gestito, prima, da Isis e, adesso, ad Ansar al Sharia.
Oltre ai rapporti instaurati tra l’azienda e le diverse realtà locali e a un alto livello di sicurezza mantenuto all’interno e nei pressi della centrale, a favorire la permanenza di Eni nel Paese c’era anche il ruolo fondamentale che questa svolgeva nella fornitura di energia a gran parte della Libia. Mellitah produce milioni di barili di petrolio e di metri cubi di gas al giorno. L’80% di questo gas, estratto nei giacimenti presenti nel deserto e sulle piattaforme offshore nel Mediterraneo, raggiunge l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream, ma un 20% rimane nel Paese, permettendogli, di fatto, di garantire una sufficiente fornitura energetica.
Twitter: @GianniRosini
Mondo
Italiani rapiti in Libia: l’Eni a Mellitah tra gas, petrolio, accordi con le tribù locali e la minaccia dell’Isis
L'Ente nazionale idrocarburi è l'unica grande azienda petrolifera rimasta nel Paese dopo la chiusura dell’ambasciata italiana. Il territorio è da sempre terreno di gruppi estremisti, anche perché il Gas & Oil Complex continua a fornire la maggior parte dell’energia necessaria allo Stato nordafricano e esporta milioni di barili di petrolio e metri cubi di gas grazie ai rapporti che l’azienda era riuscita a stabilire con i gruppi e le tribù locali. L'equilibrio, ora, potrebbe rompersi. A febbraio le minacce dello Stato islamico
Sono stati rapiti mentre si stavano dirigendo al complesso Eni di Mellitah, in un’area, quella delle coste della Tripolitania, in Libia, infestata da gruppi fondamentalisti che si fanno la guerra tra loro e con le tribù locali per la conquista del territorio. I quattro dipendenti italiani della ditta di costruzioni Bonatti, operante nel Paese, stavano raggiungendo il compound Eni, unica grande azienda petrolifera rimasta nel Paese dopo la chiusura dell’ambasciata italiana, quando sono finiti nelle mani dei sequestratori. In un territorio da sempre terreno di gruppi estremisti, il Gas & Oil Complex poteva continuare a fornire la maggior parte dell’energia necessaria allo Stato nordafricano e a esportare milioni di barili di petrolio e metri cubi di gas grazie ai rapporti che l’azienda era riuscita a stabilire con i gruppi e le tribù locali.
Un equilibrio messo in pericolo già a febbraio, quando lo Stato Islamico, che ha visto crescere la propria influenza nell’area costiera, indicò il complesso di Mellitah come un possibile obiettivo dei jihadisti. “Non siamo ancora in grado di fornire dettagli – fanno sapere da Eni – Abbiamo ricevuto la notizia in maniera indiretta, visto che le quattro persone rapite non erano nostri dipendenti”. Nessun commento, ma solo la conferma di quanto avvenuto da parte della ditta Bonatti, operante nel settore delle costruzioni, gestione e manutenzione di impianti energetici, ma quello che si sa è che i quattro impiegati stavano raggiungendo il complesso di Mellitah, uno dei più importanti compound Eni.
Talmente importante da giustificare la permanenza dell’azienda nel Paese anche dopo la chiusura dell’ambasciata d’Italia, il 15 febbraio, alla quale seguì l’invito della Farnesina per i connazionali ad abbandonare il Paese a causa della situazione di estremo pericolo. Eni a oggi ha deciso di lasciare nel complesso solo personale locale, rimpatriando gli italiani o trasferendoli sulle piattaforme offshore nel Mediterraneo. Da quel momento, la sicurezza sul territorio diventa di competenza esclusiva della Noc, compagnia nazionale libica partner di Eni, mentre con l’operazione militare “Mare Sicuro” l’esercito ha schierato navi e droni per garantire la sicurezza nel Mediterraneo, a largo delle coste libiche.
A metà febbraio, ad aumentare le preoccupazioni dell’azienda era arrivata anche la minaccia di attacco da parte dello Stato Islamico che aveva appena conquistato la città costiera di Sirte, dopo aver preso il controllo di Derna, e che adesso guardava a Mellitah come un obiettivo occidentale da colpire sul territorio. “Le onde ancora ci separano, ma questo è un mare piccolo, è una promessa al nostro Profeta: lo Stato Islamico arriverà a Roma”, scriveva l’autoproclamato califfato sotto a un’immagine del Colosseo con la bandiera nera di Isis. Non si sa però, visto che non c’è ancora stata alcuna rivendicazione, se il rapimento dei quattro dipendenti della Bonatti possa essere collegato alle minacce degli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi. Prima della comparsa dei terroristi di Isis, Mellitah non era stata interessata da gravi episodi legati al terrorismo.
Solo nel 2013 un gruppo di berberi attaccò il gasdotto Greenstream, forzandone la chiusura per protesta contro il governo. Eni, presente nel Paese dal 1959, era riuscita a stabilire rapporti di convivenza con gruppi e tribù locali che le permettevano di mantenere la propria presenza sul territorio in condizioni di relativa sicurezza. Basti pensare che, mentre grandi aziende come Total o Repsol hanno deciso di lasciare la Libia, l’Ente Nazionale Idrocarburi ha continuato a portare avanti il proprio lavoro in una zona in mano ad Alba Libia, una coalizione di forze islamiste che controlla la parte occidentale del Paese, a pochi chilometri da Sabratah, da sempre roccaforte del fondamentalismo che, negli ultimi mesi, sarebbe caduta in mano ai combattenti dello Stato Islamico, e vicina a un campo di addestramento gestito, prima, da Isis e, adesso, ad Ansar al Sharia.
Oltre ai rapporti instaurati tra l’azienda e le diverse realtà locali e a un alto livello di sicurezza mantenuto all’interno e nei pressi della centrale, a favorire la permanenza di Eni nel Paese c’era anche il ruolo fondamentale che questa svolgeva nella fornitura di energia a gran parte della Libia. Mellitah produce milioni di barili di petrolio e di metri cubi di gas al giorno. L’80% di questo gas, estratto nei giacimenti presenti nel deserto e sulle piattaforme offshore nel Mediterraneo, raggiunge l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream, ma un 20% rimane nel Paese, permettendogli, di fatto, di garantire una sufficiente fornitura energetica.
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Enigate
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Mondo
Gaza, niente accordo per estendere la prima fase del cessate il fuoco. Israele blocca gli aiuti umanitari
Buriram, 2 mar. (Adnkronos) - Altra doppietta dei fratelli Marquez nel Gp della Thailandia di MotoGp. Dopo la Sprint Race i fratelli spagnoli hanno occupato le prime due posizioni anche nella gara lunga, con la Ducati ufficiale di Marc Marquez che fa doppietta davanti ad Alex Marquez, con la Ducati del Team Gresini, terza anche in gara l'altra Ducati ufficiale di Pecco Bagnaia, per il tris di ducatisti sul podio, a seguire Franco Morbidelli, poi l'Aprilia del rookie Ai Ogura, e Marco Bezzecchi, mentre sono usciti Acosta e Mir e si è ritirato Fernandez.
Marc Marquez parte bene e guadagna subito la testa della gara ma a circa 19 giri al termine, un po' a sorpresa, Alex Marquez passa il fratello, che sembra aver deliberatamente rallentato per farsi passare e mettersi in scia del fratello, forse per un problema di pressione gomme. Dopo aver seguito a pochi decimi il fratello, a tre giri dal termine, Marc passa il fratello e scappa via verso la seconda vittoria consecutiva e la testa della classifica mondiale. (segue)
Gaza, 2 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas insiste sulla necessità di attuare la seconda fase del cessate il fuoco con Israele, dopo che Israele ha approvato un'estensione temporanea della fase iniziale.
"L'unico modo per raggiungere la stabilità nella regione e il ritorno dei prigionieri è completare l'attuazione dell'accordo, iniziando con l'attuazione della seconda fase", ha affermato il leader di Hamas Mahmoud Mardawi.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - "Fulco Pratesi ha saputo non solo denunciare i mali che affliggono l'ambiente ma ha saputo esercitare una grande funzione pedagogica di informazione e formazione sui temi ambientali. Personalmente ricordo il grande contributo di consigli e di indicazioni durante il periodo in cui sono stato ministro dell'Ambiente e in particolare per l'azione che condussi per la costituzione dei Parchi nazionali e per portare la superficie protetta del paese ad un livello più europeo. Ci mancherà molto". Lo afferma Valdo Spini, già ministro dell'Ambiente nei Governi Ciampi e Amato uno.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - "Le immagini che arrivano dalla città di Messina, dove si sono verificati scontri tra Forze dell'Ordine e manifestanti nel corso di una manifestazione no ponte, mi feriscono come messinese e come rappresentante delle istituzioni. Esprimo tutta la mia solidarietà alle Forze dell'Ordine e all'agente ferito, cui auguro una pronta guarigione, e condanno fermamente quanto accaduto. Esprimere il proprio dissenso non autorizza a trasformare una manifestazione in un esercizio di brutalità”. Lo afferma la senatrice di Fratelli d'Italia Ella Bucalo.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - “Inaccettabile quanto accaduto oggi a Messina in occasione del corteo contro la costruzione del Ponte sullo Stretto. Insulti, intolleranza, muri del centro imbrattati con scritte indegne, violenze contro le Forze dell’Ordine. È assurdo manifestare con simili metodi, coinvolgendo personaggi che nulla possono avere a che fare con il normale confronto democratico. Ferma condanna per quanto accaduto, e solidarietà alle Forze dell’Ordine che hanno gestito con grande professionalità i momenti più tesi della giornata”. Così Matilde Siracusano, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento e deputata messinese di Forza Italia.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - "Siamo orgogliosi della nostra Marina militare italiana che, con il Vespucci, ha portato nel mondo le eccellenze e i valori del nostro Paese. Bentornati a casa: la vostra impresa, che ho avuto la fortuna di poter vivere personalmente nella tappa di Tokyo, è motivo di vanto per ogni italiano. Grazie!” Così il capogruppo della Lega in commissione Difesa alla Camera Eugenio Zoffili.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - "Di fronte a quanto sta avvenendo nel mondo, agli stravolgimenti geopolitici e all’aggressione subita ieri alla Casa Bianca dal presidente ucraino, troviamo gravi e fuori luogo le considerazioni dei capigruppo di Fdi. Non è una questione di contabilità ma di rispetto verso il Parlamento. E in ogni caso la premier Meloni è venuta a riferire in Parlamento solo prima dei Consigli europei, come hanno fatto tutti gli altri suoi predecessori, perché era un suo dovere. E da oltre un anno e mezzo non risponde alle domande libere di un Premier time in Aula. Oggi siamo di fronte ad una gravissima crisi internazionale e alla vigilia di un Consiglio europeo che dovrà prendere decisioni importanti per l’Ucraina e per l’Europa. Dovrebbe essere la stessa Giorgia Meloni a sentire l’urgenza di venire in Aula per dire al Paese, in Parlamento, non con un video sui social, da che parte sta il Governo italiano e quale contributo vuole dare, in sede europea, per trovare una soluzione". Lo affermano i capigruppo del Pd al Senato, alla Camera e al Parlamento europeo Francesco Boccia, Chiara Braga e Nicola Zingaretti.
"Per questo -aggiungono- ribadiamo la nostra richiesta: è urgente e necessario che la presidente del Consiglio venga in Aula prima del Consiglio europeo del 6 marzo. Non si tratta di una concessione al Parlamento, che merita maggior rispetto da parte degli esponenti di Fdi e di Giorgia Meloni che continua a sottrarsi al confronto”.