È morto stroncato da un infarto, ieri, mentre raccoglieva pomodori, sotto il sole dell’ora di punta, quello delle 13. Si chiamava Mohamed, aveva 47 anni e veniva dal Sudan. Nel Salento era arrivato da due giorni per un’altra stagione da schiavo. “È omicidio colposo”, secondo la Procura di Lecce. Il pm Paola Guglielmi ha iscritto oggi tre persone nel registro degli indagati: la responsabile dell’azienda agricola in cui lavorava; il titolare di fatto, cioè suo marito; il presunto caporale, anche lui sudanese, che avrebbe coperto il ruolo di intermediario tra gli stagionali e gli imprenditori.
Non è la prima volta che accade. Ma il paradosso più crudo è che il proprietario dei campi, Giuseppe Mariano, era già stato coinvolto nell’inchiesta sullo sfruttamento della manodopera nella raccolta delle angurie. È la prova di quanto nulla sia cambiato a Nardò, in provincia di Lecce, nonostante gli scandali, le denunce, le retate eseguite in tutta Italia. Venerdì, sarà l’autopsia ad accertare se il decesso di Mohamed sia avvenuto in seguito a patologie pregresse o se sia riconducibile ad altro, ad esempio la disidratazione. Quello che è certo è che l’uomo aveva già accusato un malore, nella mattinata, ma non era stato condotto al pronto soccorso. Lo avevano fatto stendere sotto un albero, all’ombra, per provare ad attenuare la morsa dell’afa.
E l’imprenditore agricolo? “Non poteva non saperlo, era lì ogni giorno”, riferiscono gli inquirenti. Ecco perché la prima ipotesi di reato formulata è di omicidio. Il quadro, tuttavia, è destinato a complicarsi: dalle indagini, delegate ai carabinieri della compagnia di Campi Salentina, stanno emergendo gravi violazioni della legge contro il caporalato e di quella relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Nessun dispositivo di tutela sarebbe mai stato adottato né alcuna visita medica eseguita, stando a quanto emerge dai primi rilievi dello Spesal.
Due braccianti sono già stati ascoltati dagli investigatori. E hanno confermato le condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare: raccolta incessante, dall’alba al tramonto, per un guadagno che non supera 6 euro all’ora, stando alla cifra dichiarata. Anche loro, come Mohamed, non avevano regolare contratto di lavoro, nonostante il permesso di soggiorno in tasca. L’impiego di altri 28 stagionali nella stessa azienda era stato invece dichiarato all’ufficio di collocamento. I controlli ora saranno serrati presso Inail e Ispettorato del Lavoro: sotto sequestro è già finita l’agenda del presunto caporale, alcuni telefoni cellulari e i documenti in possesso dei consulenti della società.
“Questa morte non può restare un fatto di cronaca estiva, è un atto di accusa verso un mercato del lavoro agricolo colpito in modo forte dalla piaga dello sfruttamento”, ha detto Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil. È l’unica sigla sindacale che ha sempre denunciato il sistema di caporalato a Nardò. Lo aveva fatto anche qualche giorno fa, con un appello al prefetto di Lecce, Claudio Palomba. L’indifferenza, finora, è stata però totale.