Avete presente la frase-tormentone pronunciata a ogni piè sospinto da Salvo Lima in “La mafia uccide solo d’estate”? “La Sicilia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno della Sicilia”. Ecco, fatte le dovute distinzioni di contesto e di persona, c’è una frase che ricorre da mesi e anni nelle cronache economiche: “La miglior tutela del consumatore è la concorrenza e la miglior politica industriale è l’estensione della concorrenza”. A pronunciarla invariabilmente in ogni contesto pubblico è il direttore generale della Banca d’Italia, nonché presidente dell’Ivass, Salvatore Rossi, uno che di concorrenza se ne intende occupandosi di due dei mercati italiani strutturalmente meno concorrenziali: banche e assicurazioni appunto.

In particolare queste ultime, come risulta dagli stessi dati Ivass, sono le più care d’Europa (e anche tra le meno efficienti, anche a causa del fatto che oltre il 70% del mercato è fatto dai primi cinque gruppi). La scusa per giustificare tariffe stratosferiche è sempre la stessa: in Italia le truffe alle assicurazioni hanno un’incidenza senza termini di paragone nel resto d’Europa ed è quindi inevitabile che i premi assicurativi siano più alti. Se volete pagare premi più bassi occorre dunque tagliare coperture e risarcimenti e aumentare le franchigie.

Finché a dire queste cose è l’Ania, l’associazione di categoria delle compagnie d’assicurazione, si può capire. Ma quando a sposare queste tesi sono direttamente il regolatore, cioè l’Ivass, e il governo, allora quella frase apparentemente di buon senso pronunciata da Rossi sulla concorrenza assume tutto un altro significato. Le nuove leggi e i regolamenti, infatti, non tutelano la parte debole (l’assicurato e gli aventi diritto), ma si curano piuttosto di garantire alle compagnie ulteriori benefici.

È il caso del ddl Concorrenza, che con l’approvazione dell’emendamento proposto dai due relatori del Pd, Silvia Fregolent e Andrea Martella, alle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera non solo confermerebbe il drastico taglio dei risarcimenti per danno biologico che si avranno con la nuova tabella nazionale, ma addirittura ne stabilirebbe la retroattività, sforbiciando così i contenziosi già in essere a tutto vantaggio dei conti economici delle assicurazioni. Conti peraltro floridi a dispetto delle lamentele sulle truffe e sulla scarsa predisposizione degli italiani ad assicurarsi: secondo il presidente dell’Ania, Aldo Minucci, il 2014 è stato un anno molto positivo per l’industria assicurativa che ha registrato complessivamente utili per 6 miliardi di euro con una redditività del capitale del 10%, tornata finalmente sui livelli medi europei.

Alla luce di quanto detto, non stupisce che le compagnie di assicurazioni continuino a lamentarsi delle frodi, ma non spingano per leggi volte a combatterle efficacemente: tanto guadagnano comunque. Anzi, le compagnie stesse tendono a rendersi complici di molte truffe perché denunciarle e aprire contenziosi legali con i presunti truffatori ha costi spesso superiori a quelli dei risarcimenti stessi e così ci si “viene incontro” per non intaccare la redditività del business. Del resto, con le leggi attuali, ai fini del risarcimento non è obbligatorio denunciare i sinistri se non entro il termine di due anni. E spesso capita che vengano richiesti e ottenuti risarcimenti per autovetture che i periti non possono nemmeno più visionare in quanto dal momento del presunto sinistro alla sua denuncia alla compagnia d’assicurazione la proprietà del veicolo è cambiata.

Su questo però il legislatore preferisce non intervenire, anche perché rischierebbe di colpire un discreto serbatoio elettorale fatto di avvocati, medici, periti, meccanici, carrozzieri e del loro indotto. Che, come dimostrano centinaia d’inchieste della magistratura, sulle truffe assicurative campano. Si preferisce invece incidere su tutti gli assicurati tagliando le prestazioni e garantendo alle compagnie di massimizzare i benefici economici. Quando si dice il coraggio delle riforme…

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