“So solo che, qualunque sia la verità sul caso Crocetta, questa vicenda sarà usata per delegittimare lo strumento delle intercettazioni”. Il Pm Nino Di Matteo lo dice senza mezzi termini in un’intervista al sito Fanpage. E mette nero su bianco quello che ormai appare evidente a molti: per il governo sarà più facile una stretta sulle intercettazioni dopo la trascrizione da parte dall’Espresso in cui il medico personale di Crocetta, Matteo Tutino, arrestato a fine giugno, dice al governatore che Lucia Borsellino, ex assessore alla Sanità, “va fatta fuori come suo padre”.

Un’intercettazione della quale la Procura di Palermo ha negato anche l’esistenza. Ieri il Guardasigilli, Andrea Orlando, ha annunciato di aver avviato su questo caso “le verifiche preliminari come avviene ogni volta che c’è una diffusione impropria di informazioni processuali”. Anche se ci ha tenuto a dire che “non c’è una specificità, è quasi un automatismo”, la questione è più che delicata.

Il caso più eclatante è quello siciliano, ma in realtà al premier, Matteo Renzi, e ai suoi ha dato molto più fastidio la pubblicazione da parte del Fatto Quotidiano dell’intercettazione in cui Renzi, parlando col generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, dava dell’ “incapace” a Enrico Letta, un mese prima di defenestrarlo e prendere il suo posto a Palazzo Chigi.

La linea ufficiale del Pd (e del governo) è chiara: se la Procura di Palermo dice che l’intercettazione di Tutino non esiste, non esiste. I casi da evitare sono invece quelli simili alla telefonata Renzi-Adinolfi. E allora, si lavora a trovare quella che ufficialmente chiamano “disciplina”, ma che sarà una stretta. Le intercettazioni arrivano in Aula alla Camera lunedì prossimo, all’interno della legge delega sul processo penale. Da sottolineare, in primo luogo, che si tratta di una delega: il governo avrà un’indicazione e poi potrà procedere affinando. E modificando. Non è un provvedimento contingentato, quindi non è detto si arrivi a un’approvazione prima della pausa estiva.

Il punto non è nei tempi, ma nei contenuti. Nel testo all’esame di Montecitorio “si prevede una revisione della disciplina delle intercettazioni telefoniche o telematiche” che possa assicurare una maggiore tutela dei diritti alla riservatezza dei “terzi estranei”, dei “soggetti soltanto casualmente intercettati” e delle conversazioni “del tutto estranee all’oggetto dell’accertamento e quindi del tutto irrilevanti”. Formulazione vaga: tutto dipende da come vengono valutate la non rilevanza delle conversazioni e il non coinvolgimento dei soggetti. “Ci sarà un’udienza filtro”, spiega la presidente della Commissione Giustizia a Montecitorio, Donatella Ferranti.

Come verrà disciplinata? Non si sa ancora. Ma un punto di partenza esiste: è il ddl Alfano-Bongiorno della scorsa legislatura. Per capire di cosa stiamo parlando, basta ricordare che la Bongiorno, relatrice, si dimise proprio dopo l’approvazione in Commissione Giustizia di due emendamenti che prevedevano il carcere per i giornalisti che pubblicano intercettazioni “irrilevanti” e vietavano la pubblicazione delle intercettazioni fino alla cosiddetta udienza filtro. Usò parole durissime: “Non si saprà più nulla.

Tutte le intercettazioni che nel corso del tempo verranno conosciute anche dalla difesa, non solo non potranno essere pubblicate nel testo, e questo va bene, ma non se ne potrà nemmeno dare notizia”. Perché “se c’è un’ordinanza di custodia cautelare che può arrivare anche dopo un anno di indagini e in questa ordinanza ci sono delle intercettazioni che hanno magari rilievo, non solo non si può pubblicare il testo, ma proprio non si può dare notizia del fatto storico di queste intercettazioni”.

da il Fatto Quotidiano del 24 luglio 2015

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