Oskar Lafontaine per catalizzare i nemici della Cdu, James Galbraith per progettare sviluppo senza altri dazi sui poveri, Paul Krugman e Joseph Stiglitz per consulenze alla voce “lotta all’austerità”. E’ la potenziale squadra, tra posizioni alla luce del sole ed altre più defilate, dell’ex ministro delle finanze di Atene Yanis Varoufakis che, dopo essere stato messo da parte dal premier Alexis Tsipras, si è reso conto che in Europa c’è molto spazio per le sue teorie. E, come anticipato da ilfattoquotidiano.it nelle scorse settimane, non avrebbe alcuna intenzione di trascorrere i prossimi anni a tenere conferenze internazionali seppur lautamente pagate. Pensa dunque a un passo in avanti in quella politica che lo ha espulso, tanto a Bruxelles quanto in Grecia.
E, complice il terremoto in Syriza che avrà conseguenze notevoli tanto sull’elettorato di sinistra quando in quello moderato deluso dalle promesse di Tsipras, punta ad un rassemblement di matrice europea che si richiami ai principi dei padri fondatori dell’Ue. Qualcuno arriva a ipotizzare già un nome, Alleanza Europea, pronto per le eventuali elezioni elleniche del prossimo autunno ma con lo sguardo fermamente rivolto all’Unione e a quella Commissione che l’estroso professore vorrebbe profondamente riformare, Wolfgang Schaeuble permettendo.
Nello stile di Varoufakis, infatti, spicca la sua ambiguità creativa che lo ha portato dalle colonne di Der Spiegel prima a escludere un evento in stile americano e poi, sottovoce, ad ammettere che l’idea di un partito c’è e si sta muovendo. L’obiettivo secondo l’economista dal passaporto greco e australiano è “rigenerare” la democrazia facendo riferimento a “un punto di incontro per tutti coloro che pensano europeo”. Come dire che al bando sono gli antieuropeisti tout court, come Le Pen, Salvini e Orban, ma ciò non toglie che questa Ue sarà criticata a dovere per procedere al modello che Varoufakis ha in testa e che tra l’altro sta mettendo nero su bianco in un pamphlet che vedrà le stampe entro l’anno, dal titolo “Perché le crisi sono pagate dai poveri”. La stessa traccia seguita da Papa Francesco che, sulla strada di ritorno dal viaggio in Venezuela, proprio mentre in Grecia impazzava il toto-troika con il voto parlamentare al memorandum, disse: “Non è giusto quel modello di società dove le crisi solo solo sulle spalle dei più deboli”.
Il movimento di Varoufakis non sarà né di destra né di sinistra, ammette a bassa voce un dirigente di Syriza in passato tra le file socialiste del Pasok, ma punterà a scardinare il sistema in necrosi che ha condotto prima alla follia del buco strutturale ellenico e poi alla grande illusione syrizea del 2015, con la roboante marcia indietro di Tsipras che, di fatto, ha portato a casa un piano ben peggiore di quello proposto dai creditori. Per cui dopo la grande visibilità internazionale che questi primi duecento giorni di governo Tsipras hanno dato a Varoufakis, ecco che il giocatore di azzardo, così come è stato ribattezzato dalle cancellerie europee “indignate per modi e sfottò”, gioca la carta dell’impegno in prima persona.