Otto per mille, arieccoci: è il solito caos. Ai primi di luglio il ministero dell’Economia ha reso nota la ripartizione delle donazioni effettuate dai contribuenti italiani nel 2011 ma che verranno erogate, coi soliti quattro anni di ritardo, proprio nel 2015: un miliardo alla Chiesa cattolica, 195 milioni allo Stato italiano, 40 ai valdesi, e spiccioli vari a buddisti, evangelici, luterani e altre confessioni religiose. Ma c’è chi è in clamoroso ritardo sul ritardo: la Presidenza del Consiglio. «Siamo a luglio, il tempo per presentare la dichiarazione dei redditi 2014 è scaduto e il premier Matteo Renzi non ha ancora reso nota la ripartizione dei 170 milioni dell’8 per 1000 versato dai contribuenti allo Stato nell’anno 2010», denuncia Raffaele Carcano, segretario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar).

Sul sito di Palazzo Chigi nessuno, infatti, ha ancora spiegato cosa intende fare il governo coi soldi devoluti dai contribuenti allo Stato ben cinque anni fa. L’ultimo decreto pubblicato riguarda la ripartizione, fatta da Enrico Letta nel 2013, dei fondi 2009. E questo è un problema. Grosso. Come da articolo 48 della legge istitutiva, la 222/85, l’8 per 1000 a diretta gestione statale dovrebbe avere «scopi di interesse sociale o di carattere umanitario»: lotta alla fame nel mondo, assistenza ai rifugiati,  conservazione dei beni culturali, aiuti alle vittime di calamità naturali. Ma ad attendere con ansia la ripartizione ci sono stavolta anche presidi e insegnanti, visto che dal 2014 può beneficiarne anche l’edilizia scolastica, e sa il cielo quanto le scuole italiane avrebbero bisogno di interventi e manutenzione.

Non sarebbe il caso, perciò, di essere un po’ più rapidi nell’elargire i soldi? E, magari, anche più trasparenti nell’illustrare ai contribuenti come viene usato un tesoro che vale oltre un miliardo all’anno? E’ una cifra oltretutto in costante aumento: nel novembre 2014 la Corte dei Conti ha rilevato come i fondi dell’8 per 1000, grazie al meccanismo che li lega a una pressione fiscale in continua crescita, siano «gli unici che, nell’attuale contingenza di fortissima riduzione della spesa pubblica in ogni campo, si sono notevolmente e costantemente incrementati». L’8 per mille non ha subito il taglio di un solo centesimo. Anzi, «nel corso del tempo, il flusso di denaro si è rivelato così consistente da garantire l’utilizzo di ingenti somme per finalità diverse», dando così vita «a un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana».

Di questo tesoro allo Stato vanno solo le briciole, almeno per il momento. In Vaticano, infatti, girano voci allarmatissime sulla prossima legge di stabilità, in cui Renzi avrebbe intenzione di infilare una riforma dell’8 per 1000 a maggiore vantaggio delle casse della Repubblica. Il meccanismo di attribuzione del fondo è per ora troppo sbilanciato a favore del Vaticano, come denuncia la stessa Corte dei Conti: neanche la metà dei contribuenti esercita infatti il suo diritto di opzione, ma l’8 per mille di chi non ha fatto nessuna scelta viene ripartito in base alle scelte degli altri. Su 41.320.548 pagatori di tasse, per esempio, nel 2011 solo in 15 milioni (manco il 37 per cento) hanno firmato per la chiesa cattolica, eppure il Vaticano si è portato a casa 1.013 milioni, come se a sceglierlo fosse stato l’80 per cento dei contribuenti. In quello stesso anno, hanno destinato il loro 8 per mille allo Stato 2.904.884 contribuenti: solo 7 su 100.

Ma perchè tanta sfiducia nei confronti della Repubblica? Innanzitutto perchè «lo Stato è l’unico competitor che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie», accusa Carcano. Il Vaticano, giusto per fare un paragone, solo nel 2013 ha investito 3,5 milioni di euro in spot sulla Rai. I valdesi si sono limitati a 30 mila euro di pubblicità. Lo Stato, invece, in 30 anni non si è mai dato alcuna pena di far conoscere agli italiani ciò che fa coi loro soldini, manifestando «un disinteresse che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore».

Non solo. In anni di particolari vacche magre il governo non ha esitato a derubare se stesso, saccheggiando la propria quota 8×1000. Con la finanziaria 2004 Berlusconi si è appropriato di 80 milioni di euro, usando addirittura parte dei soldi per la missione militare in Iraq. Idem con la finanziaria 2005 (arraffati 86 milioni) e con la finanziaria 2008: Prodi aveva promesso la restituzione di 60 milioni, il Cavaliere se li è ripresi per coprire l’abolizione dell’Ici che gli aveva permesso di vincere le elezioni.

E avanti così. Nel 2010 il governo B. si è tenuto 7,5 milioni, nel 2011 addirittura 145 (ne ha usati 57 per l’adeguamento, il potenziamento e la messa a norma delle infrastrutture penitenziarie, e altri 64 per la flotta aerea antincendio della Protezione civile).  Nel 2013 Letta ha destinato agli scopi previsti dalla legge solo 404.771 euro: eppure «sulla base delle scelte dei contribuenti la quota dell’8 per 1000 di pertinenza statale risulta pari a 169.899.025 euro», spiegava un dossier del Servizio Studi di Montecitorio. E per il 2012? L’intera quota «è risultata interamente decurtata per effetto di successivi provvedimenti legislativi, per la gran parte legati ad esigenze di protezione civile».

Insomma: tra guerre, carceri, copertura di promesse elettorali dell’ultim’ora, spese ordinarie di tutti i tipi da coprire, i contribuenti più laici, e più sensibili ai temi etici, non si sentono particolarmente motivati ad affidare al governo il loro 8 per mille. E la Corte dei conti gli dà ragione, censurando lo Stato su ogni fronte: «Mancanza di controllo sulla correttezza degli intermediari» (Caf et similia) in fase di scelta dei destinatario dell’ 8×1000, «carenza di controllo sui rendiconti» dei beneficiari, poca o nessuna trasparenza sul sito di Palazzo Chigi, «assenza di promozione e di pubblicità» sulle iniziative statali, «carenza degli impieghi e della pubblicizzazione dei risultati raggiunti», «completo disinteresse per la quota di propria competenza»…

Mettiamoci pure, oggi, il silenzio di tomba da Palazzo Chigi sulla ripartizione 2014. E il dubbio è servito: non è che anche stavolta c’è un altro saccheggio in arrivo?

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