Quaranta miliardi di tagli in sette anni. Gli enti locali, tra 2008 e 2015, si sono visti ridurre i trasferimenti statali di 22 miliardi e hanno subito un calo dei finanziamenti per la sanità di 17,5 miliardi. Sforbiciate a cui i Comuni, in particolare, hanno fatto fronte nel solito modo: ritoccando all’insù in modo generalizzato le aliquote dell’ex Ici prima e dell’Imu poi. In una parola, aumentando le tasse. Le Regioni, invece, per far quadrare i conti hanno ridotto gli investimenti. A metterlo nero su bianco è la Corte dei Conti, che nella relazione sugli andamenti della finanza territoriale evidenzia come i tentativi di spending review a livello nazionale si siano tradotti, di fatto, in maggiori esborsi fiscali o minori servizi per i cittadini.
Un brutto viatico nei giorni in cui il governo, ponendo la questione di fiducia, ha ottenuto l’ok al decreto Enti locali che contiene anche le norme sui nuovi tagli al sistema sanitario.
Non solo: secondo la Corte le norme da cui dovrebbe derivare “buona parte del recupero di efficienza e dei risparmi di spesa attesi per gli enti locali” sono inefficaci: “Non sembra che dai più recenti interventi normativi derivi significativo impulso al progetto di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, né a quello di attuazione delle Gestioni associate obbligatorie (Gao) per l’esercizio delle funzioni fondamentali”, scrive la magistratura contabile.
I magistrati scrivono senza mezzi termini che dalla riduzione dei trasferimenti dello Stato “è derivato, per gli enti locali, un inasprimento della pressione fiscale e per le Regioni”, a causa di una diversa disciplina del Patto di stabilità interno, “una compressione delle funzioni extra-sanitarie, con flessione, soprattutto, delle spese di investimento”. I Comuni, a causa del “permanere di diffuse tensioni di cassa conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie”, hanno spinto l’acceleratore delle entrate fiscali. Gli introiti dalle tasse sulla casa (Ici-Imu-Tasi) hanno registrato “aumenti generalizzati”, con gli incassi passati dai 9,6 miliardi di euro circa dell’Ici 2011 ai circa 15,3 miliardi di euro del 2014.
La magistratura contabile sottolinea che il gettito della Tasi ha avuto, di fatto, un “effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle ‘prime case'”, in quanto, con 3,2 miliardi circa, “ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all’esenzione dell’imposta per l’abitazione principale”. E’ invece rimasto “marginale” il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo e beneficio (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all’accertamento dei tributi statali). Ed è stato un flop il tentativo di finalizzare i prelievi allo sviluppo: quel che risulta dai numeri è che “la spesa corrente diminuisce, prevalentemente, nei settori nei quali i vincoli di legge sono ineludibili (spesa per il personale e per l’acquisto dei beni), mentre aumenta per le prestazioni di servizi”.
Nel 2014 i vincoli del Patto di stabilità sono stati rispettati da tutte le Regioni a eccezione del Lazio, che ha superato il proprio tetto di spesa di 977 milioni “nell’intento dichiarato di favorire il più sollecito pagamento dei debiti pregressi e la ripresa economica e produttiva del territorio”. Degli oltre 5.600 Comuni sottoposti al Patto 95 risultano inadempienti: sono l’1,7% del totale, rispetto al 2,2% del 2013, per la maggior parte situati nel Sud e con meno di 5mila abitanti. Ma quelli che hanno rispettato il Patto presentano, in genere, ampi scostamenti rispetto agli obiettivi, per effetto soprattutto di un anomalo prolungamento dell’esercizio provvisorio, che ha compromesso la capacità di programmazione dei Comuni. “A tale situazione non sembra pongano rimedio i nuovi meccanismi di determinazione degli obiettivi del Patto 2015”, sottolinea la Corte. Il quadro complessivo che emerge dalle analisi effettuate sui dati di cassa del comparto Regioni e Province autonome evidenzia “il permanere di una sofferenza di liquidità, pur in presenza della consistente quantità di risorse (circa 20 miliardi) immessa in via straordinaria” per il pagamento dei debiti pregressi.