L’attacco, tradotto in euro, suona durissimo. Privatizzare le ferrovie così come sono “rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie), che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi”. Lo Stato, per fare cassa in fretta, ma anche per un’altra ragione inconfessabile che vedremo più avanti, rischia dunque di buttare 7 miliardi. Rinunciando in via del tutto eccezionale a un linguaggio abitualmente misurato, il presidente delle Fs, Marcello Messori, ha deciso di mettere nero su bianco la parola svendita in un documento che da qualche giorno giace sulla scrivania dell’attonito ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, economista come lui, 65enne come lui e vecchio amico. Un testo tagliente e asciutto: sette cartelle, una per miliardo buttato.
Il gioco si fa duro, dopo mesi di tensione. Poco più di un anno fa il governo Renzi ha piazzato Messori al vertice delle Fs insieme all’amministratore Michele Elia, ferroviere di lungo corso, delfino di Mauro Moretti passato a Finmeccanica dopo otto anni al comando. La convivenza tra i due è apparsa subito complicata proprio sul tema della privatizzazione che il governo voleva realizzare a passo di carica. Messori, a cui era stata affidata la delega per il coordinamento della complessa operazione, ha fatto capire fin dal primo giorno la sua linea: prima di privatizzare, il corpaccione ferroviario aveva bisogno di una drastica ristrutturazione con il duplice scopo di proporre ai risparmiatori le azioni di un’azienda più efficiente e di far ottenere allo Stato un introito più soddisfacente. Elia gli ha contrapposto una visione più funzionale ai desideri del governo: non toccare niente, e mettere rapidamente in vendita il 40 per cento delle azioni della holding Fs.
Meno di sei mesi dopo Messori ha rimesso la delega per la privatizzazione che Padoan ha girato al volo a Elia. Ma lo scontro non si è esaurito, fino al momento in cui da Palazzo Chigi e dal ministero di via XX settembre (che è l’azionista diretto di Fs) non si sono cominciate a far circolare le voci di un imminente azzeramento del vertice ferroviario a causa della litigiosità di Elia e Messori. Il problema è però più serio e, per non lasciare la scena ai pettegolezzi, Messori si è risolto a scrivere una memoria che spalanca scenari inquietanti. Per Messori c’è un solo modo ragionevole di privatizzare le Fs. Primo: riunire in un’unica società controllata, la Sistemi Urbani, “tutto il patrimonio immobiliare oggi disperso in una miriade di società del gruppo” per metterlo in vendita. Secondo: vendere alla svelta la rete elettrica (a Terna), la rete di telecomunicazioni, “il temporaneo diritto a gestire gli spazi commerciali presenti nelle stazioni” e quelle società controllate che “erogano servizi per la holding” a prezzi superiori a quelli di mercato.
Questo insieme di dismissioni potrebbero per Messori “produrre per Fs incassi fra i 4,5 e i 5 miliardi di euro (…) in un orizzonte temporale di 15 mesi”. Terzo: trasformare Trenitalia in una subholding con tre controllate (Alta velocità e treni sul mercato; trasporto locale e sovvenzionato; trasporto merci) e quotarla in Borsa vendendone il 40 per cento. Poi razionalizzare e/o vendere le numerose società che svolgono servizi collaterali rispetto al trasporto ferroviario. Quarto: attraverso una scissione societaria, riportare Rfi, cioè la rete ferroviaria, sotto il diretto controllo del Tesoro, e a quel punto quotare in Borsa anche la holding Fs. In tutto, le privatizzazioni societarie potrebbero consegnare alle casse dello Stato, secondo Messori, tra i 5,5 e i 6 miliardi, che aggiunti ai 4,5-5 indicati prima, porterebbero il totale a 10-11 miliardi, contro i 3,5-4 della privatizzazione “pochi, maledetti e subito” inseguita da Padoan ed Elia.
Il passaggio più velenoso del documento di Messori è rivolto alla Vandea ferroviaria di cui Elia è l’alfiere: il modello di privatizzazione a stadi, “se appropriatamente comunicato, non dovrebbe incontrare alcuna resistenza se non da parte di quanti oggi godono di posizioni di rendita proprio grazie alla configurazione di Fs”. Come dire che la fretta del governo si è saldata con la ferma volontà dei ferrovieri di difendere lo status quo dell’inefficienza. Mentre Messori sostiene che la privatizzazione è una grande occasione per migliorare i servizi, “anche quelli fino a oggi sacrificati all’alta velocità”.
Il punto di maggior frizione riguarda la rete, che nel bilancio Fs vale 30 miliardi. Se non la si toglie dall’oggetto in vendita si finirà per proporre al mercato a 4 miliardi per il 40 per cento (cioè per 10 miliardi di valore totale) un’azienda che ha un capitale investito di 43,7 miliardi in tutto.
Una svendita che coprirebbe la realtà dell’inefficienza: la redditività del capitale investito di Fs, in gergo il ROI, è dell’1,5 per cento, quello di Telecom Italia (giusto per fare il confronto con un’azienda che rende poco a causa dell’alto indebitamento) è del 9,3 per cento. È evidente che le ferrovie per loro natura non possono rendere come una fabbrica di microchip o una società di telefonini, ma proprio per questo sorge spontanea la domanda: perché chiedere ai risparmiatori miliardi di euro in cambio di azioni Fs che non renderanno mai niente?
di Alessandro Ferrucci e Giorgio Meletti
da Il Fatto Quotidiano del 29 luglio 2015
Economia
Ferrovie, l’accusa del presidente Messori a Padoan: “La svendita costa 7 miliardi”
In un documento interno il numero uno delle Fs denuncia le manovre per cedere in tutta fretta il 40% della società controllata dal Tesoro. Unico obbiettivo fare cassa
L’attacco, tradotto in euro, suona durissimo. Privatizzare le ferrovie così come sono “rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie), che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi”. Lo Stato, per fare cassa in fretta, ma anche per un’altra ragione inconfessabile che vedremo più avanti, rischia dunque di buttare 7 miliardi. Rinunciando in via del tutto eccezionale a un linguaggio abitualmente misurato, il presidente delle Fs, Marcello Messori, ha deciso di mettere nero su bianco la parola svendita in un documento che da qualche giorno giace sulla scrivania dell’attonito ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, economista come lui, 65enne come lui e vecchio amico. Un testo tagliente e asciutto: sette cartelle, una per miliardo buttato.
Il gioco si fa duro, dopo mesi di tensione. Poco più di un anno fa il governo Renzi ha piazzato Messori al vertice delle Fs insieme all’amministratore Michele Elia, ferroviere di lungo corso, delfino di Mauro Moretti passato a Finmeccanica dopo otto anni al comando. La convivenza tra i due è apparsa subito complicata proprio sul tema della privatizzazione che il governo voleva realizzare a passo di carica. Messori, a cui era stata affidata la delega per il coordinamento della complessa operazione, ha fatto capire fin dal primo giorno la sua linea: prima di privatizzare, il corpaccione ferroviario aveva bisogno di una drastica ristrutturazione con il duplice scopo di proporre ai risparmiatori le azioni di un’azienda più efficiente e di far ottenere allo Stato un introito più soddisfacente. Elia gli ha contrapposto una visione più funzionale ai desideri del governo: non toccare niente, e mettere rapidamente in vendita il 40 per cento delle azioni della holding Fs.
Meno di sei mesi dopo Messori ha rimesso la delega per la privatizzazione che Padoan ha girato al volo a Elia. Ma lo scontro non si è esaurito, fino al momento in cui da Palazzo Chigi e dal ministero di via XX settembre (che è l’azionista diretto di Fs) non si sono cominciate a far circolare le voci di un imminente azzeramento del vertice ferroviario a causa della litigiosità di Elia e Messori. Il problema è però più serio e, per non lasciare la scena ai pettegolezzi, Messori si è risolto a scrivere una memoria che spalanca scenari inquietanti. Per Messori c’è un solo modo ragionevole di privatizzare le Fs. Primo: riunire in un’unica società controllata, la Sistemi Urbani, “tutto il patrimonio immobiliare oggi disperso in una miriade di società del gruppo” per metterlo in vendita. Secondo: vendere alla svelta la rete elettrica (a Terna), la rete di telecomunicazioni, “il temporaneo diritto a gestire gli spazi commerciali presenti nelle stazioni” e quelle società controllate che “erogano servizi per la holding” a prezzi superiori a quelli di mercato.
Questo insieme di dismissioni potrebbero per Messori “produrre per Fs incassi fra i 4,5 e i 5 miliardi di euro (…) in un orizzonte temporale di 15 mesi”. Terzo: trasformare Trenitalia in una subholding con tre controllate (Alta velocità e treni sul mercato; trasporto locale e sovvenzionato; trasporto merci) e quotarla in Borsa vendendone il 40 per cento. Poi razionalizzare e/o vendere le numerose società che svolgono servizi collaterali rispetto al trasporto ferroviario. Quarto: attraverso una scissione societaria, riportare Rfi, cioè la rete ferroviaria, sotto il diretto controllo del Tesoro, e a quel punto quotare in Borsa anche la holding Fs. In tutto, le privatizzazioni societarie potrebbero consegnare alle casse dello Stato, secondo Messori, tra i 5,5 e i 6 miliardi, che aggiunti ai 4,5-5 indicati prima, porterebbero il totale a 10-11 miliardi, contro i 3,5-4 della privatizzazione “pochi, maledetti e subito” inseguita da Padoan ed Elia.
Il passaggio più velenoso del documento di Messori è rivolto alla Vandea ferroviaria di cui Elia è l’alfiere: il modello di privatizzazione a stadi, “se appropriatamente comunicato, non dovrebbe incontrare alcuna resistenza se non da parte di quanti oggi godono di posizioni di rendita proprio grazie alla configurazione di Fs”. Come dire che la fretta del governo si è saldata con la ferma volontà dei ferrovieri di difendere lo status quo dell’inefficienza. Mentre Messori sostiene che la privatizzazione è una grande occasione per migliorare i servizi, “anche quelli fino a oggi sacrificati all’alta velocità”.
Il punto di maggior frizione riguarda la rete, che nel bilancio Fs vale 30 miliardi. Se non la si toglie dall’oggetto in vendita si finirà per proporre al mercato a 4 miliardi per il 40 per cento (cioè per 10 miliardi di valore totale) un’azienda che ha un capitale investito di 43,7 miliardi in tutto.
Una svendita che coprirebbe la realtà dell’inefficienza: la redditività del capitale investito di Fs, in gergo il ROI, è dell’1,5 per cento, quello di Telecom Italia (giusto per fare il confronto con un’azienda che rende poco a causa dell’alto indebitamento) è del 9,3 per cento. È evidente che le ferrovie per loro natura non possono rendere come una fabbrica di microchip o una società di telefonini, ma proprio per questo sorge spontanea la domanda: perché chiedere ai risparmiatori miliardi di euro in cambio di azioni Fs che non renderanno mai niente?
di Alessandro Ferrucci e Giorgio Meletti
da Il Fatto Quotidiano del 29 luglio 2015
Scippo di Stato
di Daniele Martini 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Mondo
Ucraina, telefonata Rubio-Lavrov. Zelensky: “testato” e “utilizzato” il Long Neptune, missile con gittata di 1000 km. Può colpire Mosca
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Ecco perché il Piano di ripresa ancora non è decollato: il catalogo dei ritardi. Mancano 15 mesi al traguardo ma solo un quarto dei progetti avviati è completato
Cronaca
Papa Francesco: “Sto affrontando un periodo di prova”. Bambini in preghiera sul piazzale del Gemelli
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".