Cultura

Armadio della vergogna rimasto chiuso per metà. Uno studio: “400 fascicoli rimasti nella nebbia”

Secondo il lavoro di Isabella Insolvibile, solo 300 dei 695 faldoni, sono stati oggetto di indagini e hanno avuto uno sbocco giudiziario. Il resto è stato archiviato (anche con indagini frettolose) o non si è arrivati neanche a un'inchiesta

di Renzo Parodi

L’armadio della vergogna è stato aperto 21 anni fa, ma per metà dei fascicoli che si trovavano dentro è come se fosse stato rimasto chiuso: solo 300 dei 695 faldoni sono stati oggetto di indagini e hanno avuto uno sbocco giudiziario, con processi conclusi in genere con condanne all’ergastolo. Il resto, dopo indagini frettolose e incomplete, è tornato a galleggiare nelle nebbie. E’ questo il centro di uno studio, pubblicato dal Giornale di Storia contemporanea, di Isabella Insolvibile, studiosa di storia militare il cui nonno scampò fortunosamente al piombo tedesco sull’isola di Cefalonia.

Secondo il lavoro di ricostruzione della Insolvibile, dopo il ritrovamento dei fascicoli nei sotterranei di palazzo Cesi, sede della procura militare generale di Roma, centinaia di fascicoli relativi a delitti commessi all’estero da militari tedeschi furono consegnati all’archiviazione, nonostante contenessero indicazioni precise e preziose per risalire ai responsabili degli eccidi. Perché si preferì rinunciare? La ragione potrebbe essere anche politica. Nel 1960 come nel 1994 non era conveniente alimentare dissidi con la Germania, prima alleata contro l’Urss e, dopo la caduta del Muro di Berlino, partner fondamentale nell’Unione Europea. Ma c’è anche un risvolto schiettamente giudiziario.

Ilfattoquotidiano.it ha interpellato Antonino Intelisano, allora procuratore militare di Roma competente per le stragi avvenute all’estero che nella stragrande maggioranza dei casi esaminati aveva sollecitato, ottenendole, una selva di archiviazioni. “L’atteggiamento della Germania era cambiato nel 2002 dopo la visita del presidente tedesco Rau a Marzabotto, col presidente Ciampi. Prima la collaborazione era più apparente che reale” commenta Intelisano. “Il giudice – continua citando Piero Calamandrei – non può impiegare risorse a carico dello Stato quando si tratta di reati estinti (ad esempio per morte del reo) o per fini extragiudiziari (ad esempio fare la mosca cocchiera in vicende di grande impatto mediatico). Nel caso specifico, la ‘spiegazione’ del preteso ‘insabbiamento bis’, a cui ricorre il saggio citato, denota una inammissibile carenza di accuratezza tecnico-giuridica, sfociando in semplificazioni con effetti fuorvianti, relativamente ai reati che, per quanto gravi, come l’omicidio volontario, non sono soggetti a imprescrittibilità. Essa ricorre solo per i crimini connotati da premeditazione e da crudeltà. Negli altri casi s’impone la valutazione del decorso del tempo per dichiarare il non luogo a procedere o l’archiviazione, anche nei casi in cui risulti impossibile o inutile, per i motivi indicati, l’acquisizione di elementi probatori, in senso proprio sotto il profilo giudiziario”.

Intelisano, tuttavia, trascura il fatto che nella maggioranza dei casi esaminati dallo studio della Insolvibile si rintracciano precisamente quegli elementi di crudeltà che rendono i reati imprescrittibili. Inoltre negli anni Novanta, quando Intelisano ottenne le archiviazioni, molti dei presunti responsabili delle stragi erano ancora in vita e sarebbe stato possibile identificarli e perseguirli penalmente. L’intervento, anni dopo, all’inizio del Duemila, di altri pubblici ministeri militari (in prima fila Marco De Paolis) ha comunque portato a condannare all’ergastolo decine di ex militari tedeschi autori di stragi crudeli e immotivate. Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, sono due tra le tante.

Ma la Procura militare garantisce: “Nuove indagini sulle stragi di Kos e Leros, ma anche di Oradour sul Glane, in Francia”

E’ stato possibile rintracciare un colpevole persino per la strage di Cefalonia. Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, alcune migliaia di militari italiani della Divisione Acqui, al comando del generale Antonio Gandin, furono fucilati sull’isola greca di Cefalonia come traditori. Si erano rifiutati di arrendersi ai tedeschi e di consegnare le armi agli ex alleati. La corte penale di Monaco di Baviera, dopo le indagini effettuate in Germania, nel 2006 aveva archiviato tutto per prescrizione. Nel 2007 le indagini erano state riassunte dalla procura di Roma, sollecitata dagli articoli del giornalista dell’Espresso Franco Giustolisi (“padre” dell’espressione “armadio della vergogna”) e dalle pressioni di Marcella De Negri e Paola Fioretti, figlie di due ufficiali fucilati alla Casetta Rossa. Si era giunti alla incriminazione del sottotenente Otmar Mulhauser, poi deceduto. Il 18 ottobre 2013 la sentenza: condanna all’ergastolo dell’ex caporale della Wehrmacht, Alfred Stork, reo confesso di avere fucilato l’intero Stato maggiore della Acqui.

Cadute nell’oblio dell’archiviazione anche le stragi di Kos e Leros, due isole greche in cui rispettivamente 96 e 12 militari italiani furono passati per le armi. “Il pm Intelisano – scrive Insolvibile – aveva richiesto l’archiviazione già il 30 giugno 1995 ritenendo il reato prescritto. Nel febbraio 1996 però il gip aveva respinto la richiesta ricordando alla Procura che si trattava di reati imprescrittibili. E invitando il pm ad acquisire più esatte notizie circa la persona o le persone in ipotesi responsabile/i dei fatti ascritti e di verificare la loro/sua esistenza in vita”. Otto mesi dopo (ottobre 1996) Intelisano scrisse al ministro della Giustizia del Land Baden Wuerttenberg chiedendo di fornirgli notizie del generale Muller Franz Ferdinand, comandante delle truppe tedesche sull’isola. Il fascicolo riportava infatti un grossolano errore nella trascrizione del nome del generale. Disponendo delle generalità corrette del generale, Friedrich Wilhelm Muller, si sarebbe immediatamente appurato che costui era già stato fucilato per crimini di guerra in Grecia nel 1947.

De Paolis ha riaperto, in due distinti fascicoli, le indagini su Kos e Leros, anche su sollecitazione di alcuni familiari delle vittime che gli hanno indirizzato una lettera nella quale si rilevavano incongruenze nella decisione del gip, Carlo Paolella, che archiviò le due vicende nel 1999, su richiesta di Intelisano.

Nei campi di prigionia tedeschi di Treuenbrietzen e Hildesheim, infine, sarebbero stati uccisi rispettivamente almeno 10 e 132 prigionieri italiani. De Paolis ha riaperto anche queste indagini ed ex novo una inchiesta sulla strage di Oradour sur Glane, la più grave commessa dai tedeschi in Francia (642 vittime civili), nella quale perirono anche 8 italiani. “Non posso escludere – commenta De Paolis – che ci siano tuttora molti fascicoli nell’armadio cosiddetto della Vergogna che meritino di essere ripresi in esame”. De Paolis ha ottenuto 57 condanne all’ergastolo nei processi ad ex militari nazisti nei quali aveva retto l’accusa alla Spezia, a Verona e infine a Roma.

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