Il tema dell’hate speech, ovvero dell’incriminabilità di determinate espressioni di stampo razzista o diffamatorio nei confronti di interi gruppi sociali variamente connotati in base alle loro caratteristiche “razziali”, etniche, di genere, relative alle preferenze sessuali, ecc. è oggetto di vivace dibattito all’interno della dottrina e della giurisprudenza sia in Europa che negli Stati Uniti.
Tale dibattito verte principalmente sul fondamento costituzionale di quella che può essere vista come una limitazione del principio di libertà di opinione. Così, negli Stati Uniti si dibatte sulla dialettica fra I e XIV emendamento, come in Italia sui possibili limiti all’art. 21 che potrebbero derivare da altre disposizioni o principi di livello costituzionale.
Dal punto di vista del diritto internazionale la situazione appare più semplice e più chiara. Infatti il paragrafo 3 dell’art.19 del Patto sui diritti civili e politici afferma che la libertà di pensiero contiene delle esplicite riserve, relative fra l’altro alla necessità di rispettare i diritti o la reputazione di altri. Va inoltre segnalato l’art. 20, par. 2, dello stesso Patto, che obbliga gli Stati membri a vietare l’istigazione all’odio nazionale, razziale e religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza. Lo scopo delle norme che tendono a mettere fuorilegge l’hate speech è del resto a sua volta abbastanza palese. Si tratta infatti di prevenire in modo efficace l’attuazione di vere e proprie campagne propagandistiche volte ad emarginare ulteriormente determinati gruppi sociali, sulla base di determinate presunte caratteristiche negative che tali gruppi presenterebbero, contribuendo così ad avallare preesistenti e a volte antichissime gerarchie sociali ovvero a facilitare, se non promuovere, l’esistenza di situazioni discriminatorie nei loro confronti.
Il tema ha assunto nuova e più ampia rilevanza alla luce della diffusione delle nuove tecnologie e dei cosiddetti social media, che consentono a chiunque di esprimere la propria opinione, potenziando notevolmente il principio di libera espressione del pensiero. Ma a costo di un anonimato che, secondo qualcuno, andrebbe abolito per permettere un più franco e rispettoso scambio di idee.
Ovviamente la materia presenta anche precise implicazioni politiche, specie alla luce della scelta di taluni raggruppamenti di rendersi popolari promuovendo campagne di questo tipo nei confronti di gruppi minoritari. Molteplici sono gli esempi che si possono prendere al riguardo. Da alcuni casi classici purtroppo culminati in veri e propri genocidi, come gli Ebrei nel Terzo Reich o prima ancora nell’Impero zarista ovvero gli Armeni nell’Impero Ottomano. A casi più recenti, come l’avversione diffusa nei confronti dei gay che si registra un po’ dovunque, ma particolarmente in Europa orientale, Russia compresa, e in molti Stati dell’Africa subsahariana. Ovvero, nell’Europa dei nostri giorni, e in particolare in Italia, le campagne contro gli “zingari” e i “clandestini” su cui vorrebbe fondare buona parte delle sue effimere fortune elettorali Matteo Salvini, con i suoi epigoni. Al punto che la destra italiana, per acchiappare i voti di qualche demunito o analfabeta di ritorno, si cimenta in una vera e propria sagra della crudeltà e della stupidità, dalle proposte di Forza Italia di introdurre i checkpoint contro gli immigrati sulle spiagge alle finte notizie secondo cui l’ex ministro dell’immigrazione Kyenge vorrebbe dare cani e gatti in pasto agli immigrati…
La repressione penale dell’hate speech costituisce uno strumento cui non si può rinunciare, come non si può rinunciare alla tutela dei singoli nei confronti delle diffamazioni di cui possono essere oggetto. Essa ovviamente però è insufficiente, se non si accompagna ad azioni positive specie nel campo educativo (anche e soprattutto degli adulti) che mirino a forgiare un’identità comune della cittadinanza che sia davvero universale e inclusiva.
Su questi temi di notevole importanza si sta svolgendo il progetto europeo PRISM, con la partecipazione dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR, dell’UNICRI, dell’ARCI che è capofila, di varie altre associazioni e realtà universitarie come l’Università di Barcellona. A Roma svolgeremo, a fine ottobre un seminario formativo aperto alla partecipazione di operatori del diritto e membri delle forze dell’ordine.