Il prossimo 21 settembre, giorno del suo onomastico, Matteo Renzi rischia seriamente di dover affrontare il più volte rimandato pellegrinaggio a Monte Senario oggetto di una scommessa con Bruno Vespa. Il 13 marzo 2014, nel salotto di Porta a Porta, il premier aveva infatti promesso che si sarebbe sobbarcato l’ascesa al santuario toscano se i debiti della pubblica amministrazione non fossero stati pagati nell’arco di sei mesi. Ma il giorno della verità, nonostante mancasse all’appello ancora metà dei soldi che le aziende attendevano dallo Stato, si era giustificato attribuendo la colpa a Bruxelles. Ora è passato un anno e mezzo ma il problema è (ancora) tutt’altro che risolto: non solo circa un terzo dell’arretrato deve ancora essere saldato, ma a peggiorare la situazione c’è il fatto che il piano del governo per velocizzare i nuovi pagamenti fa acqua. E il primo ad ammettere la debàcle è stato lo stesso presidente del Consiglio, che il 18 luglio nella sua rubrica su L’Unità ha riconosciuto: “Sul pagamento dei debiti alle imprese abbiamo messo i soldi ma la procedura per riscuoterli è stata troppo complicata. Alla fine il colmo è che sono avanzati i soldi, ma non tutti sono ancora stati pagati”.

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Importi in migliaia di euro. Fonte: Tesoro

 

 

 

 

 

A dimostrare il flop sono i dati forniti dallo stesso ministero delle Finanze, che pochi giorni fa ha aggiornato (non lo faceva da gennaio) la sezione dedicata del sito. L’11 agosto i vecchi debiti pagati dalle pubbliche amministrazioni ai creditori ammontavano a 38,6 miliardi di euro sui quasi 57 stanziati tra 2013 e 2014 dai governi Monti, Letta e Renzi, a cui ora vanno aggiunti i 2,9 miliardi previsti dal decreto Enti locali. Un terzo della cifra che avrebbe dovuto essere saldata, dunque, è ancora congelato. Anche perché, come si legge sempre sul portale del Tesoro, di quelle risorse solo 44,6 miliardi sono effettivamente stati messi a disposizione degli enti debitori. Per esempio Regioni e Province autonome, a cui gli esecutivi che si sono succeduti hanno destinato in teoria 33,1 miliardi perché saldassero le proprie fatture, in realtà se ne sono visti versare 27,2. E a loro volta ne hanno girati alle aziende solo 23,3. Per capire a quanto ammonta la zavorra che ancora grava sui bilanci dei fornitori dello Stato basta consultare l’ultima Relazione annuale di Bankitalia, che ha stimato il debito commerciale complessivo accumulato dalla pa al 31 dicembre 2014 in 70 miliardi di cui circa la metà certi, scaduti ed esigibili.

risorse La corsa a ostacoli per la certificazione ha scoraggiato i creditori – A contribuire al ritardo è stata anche la macchinosità della procedura introdotta con il decreto 66/2014 (quello del bonus di 80 euro) per consentire alle aziende di cedere il proprio credito a una banca o a un intermediario finanziario, che si fanno carico della riscossione. L’impresa deve per prima cosa registrarsi su una piattaforma ad hoc di via XX Settembre, poi chiedere la certificazione del credito e attendere la risposta dell’amministrazione debitrice. Se questa non dà segni di vita, dopo 30 giorni il creditore “può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta utilizzando l’apposita funzionalità messa a disposizione dalla Piattaforma”. Ma non è raro che dall’ente debitore arrivi un diniego, con varie motivazioni. Insomma, l’iter è tutt’altro che snello. Lo sa bene lo stesso Renzi, che in una nota diffusa nel settembre 2014 per mettere a tacere chi contestava il mancato rispetto delle promesse scriveva: “In un mondo normale il pagamento dovrebbe essere automatico. Purtroppo l’assurdo meccanismo del passato e l’inefficienza di molti enti locali impone di usare questa procedura”. Che però ha scoraggiato molti creditori: tra l’aprile e il dicembre 2014 sono state presentate solo 91mila istanze per un controvalore di 9,8 miliardi di euro, nemmeno un quarto rispetto ai debiti complessivi. Peraltro ben 4.680 amministrazioni – aziende sanitarie e Comuni ma anche ministeri – al 29 dicembre 2014 avevano “istanze pendenti” a cui non avevano risposto nei termini fissati dalla legge. In questo quadro è servito a poco che nel luglio 2014 il Tesoro abbia chiesto bussato anche alla porta della Cassa depositi e prestiti, che ha messo a disposizione 10 miliardi per acquisire pacchetti di crediti incagliati da istituti o intermediari finanziari che li avessero a loro volta rilevati dalle aziende.

Nessuna svolta sui tempi di pagamento. Nonostante la fatturazione elettronica – Fin qui, comunque, si tratta di debiti pregressi. Il vero problema è che anche i nuovi pagamenti vanno a rilento. Visto che ogni mese la pa compra beni e servizi per circa 12 miliardi, il risultato è che mentre le vecchie fatture vengono (lentamente) smaltite se ne accumulano (rapidamente) di nuove. Complici tempi di pagamento che lo scorso anno, secondo lo European Payment Report 2015, si sono attestati in media a 144 giorni contro i 24 della Germania, costandoci una procedura di infrazione visto che una direttiva europea recepita già nel 2012 fissa il limite a 30 giorni. Anche su questo fronte che il governo Renzi aveva promesso di intervenire con decisione e in fretta. “Debiti Pa? Problema risolto dal 6 giugno con fatturazione elettronica a 60 gg”, garantiva il premier via Twitter il 28 marzo 2014, in vista dell’entrata in vigore dell’obbligo, per le imprese, di emettere le fatture nei confronti di ministeri, agenzie fiscali ed enti di previdenza attraverso una piattaforma informatica. Obiettivo, semplificare le procedure ma soprattutto facilitare la rendicontazione e la certificazione dei crediti, accorciando i tempi di pagamento.

enti registrati Gli enti pubblici nascondono i dati… – La vera svolta, in teoria, doveva essere rappresentata dall’allargamento dell’obbligo anche ai fornitori di tutti gli enti locali e delle altre amministrazioni centrali, comprese le asl. La “rivoluzione” è scattata lo scorso 31 marzo. Un “cambiamento epocale“, ha spiegato Renzi via Facebook, prefigurando “un rapporto più semplice e più trasparente, con il controllo della spesa da parte dello Stato e con la certezza dei tempi di pagamento per le aziende”. Si vedrà. I primi dati del monitoraggio condotto dal ministero di Pier Carlo Padoan sono doppiamente scoraggianti: su 20mila enti pubblici registrati (dagli enti locali alle scuole alle Camere di commercio) solo 5.500 sono “attivi” nella comunicazione dei dati di pagamento e il Tesoro ha ricevuto notizie sui tempi di pagamento di solo 2 milioni di fatture sugli 8 milioni registrati dall’1 luglio 2014 al 30 giugno 2015.

…e il Tesoro non insiste. “Informazioni complete? Entro il 2017” – Di conseguenza non è indicativo il fatto che paghino in media in 40 giorni: la stessa via XX Settembre ammette che “il tempo medio di pagamento effettivo del totale delle fatture è con ogni probabilità più lungo di quello registrato tra gli enti che comunicano i dati”, che si presume siano i più virtuosi. Ma quand’è che il governo conta di riuscire a disporre di tutte le informazioni, in modo, magari, da poter sanzionare chi sgarra? Con calma: l’obiettivo è di ottenere dati sul 60% delle fatture registrate entro la fine del 2015, sul 90% entro la fine del 2016 e sul 99% entro il 30 giugno 2017. Nel frattempo, Palazzo Chigi confida nell’effetto emulazione. E, anziché far sapere ai cittadini quali enti non rispettano la legge, pubblica la lista dei 100 che hanno i tempi di pagamento più brevi.

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