Non solo la “irreversibile inadeguatezza” dei genitori, ma anche l’intero contesto familiare ha pesato sulla richiesta di adottabilità che il pm della Procura dei minori di Milano, Annamaria Fiorillo, ha avanzato al tribunale minorile nei confronti del neonato di Martina Levato e Alexander Boettcher, condannati a 14 anni per aver sfregiato con l’acido l’ex fidanzato di lei, Pietro Barbini.
Soprattutto, i genitori di Boettcher non escono bene dagli atti processuali. La madre Patrizia Ravasi (da una sua protesta è nata la polemica) e il marito vengono descritti come genitori che avrebbero alimentato il narcisismo patologico del figlio proiettando su di lui un “super investimento” e difendendolo sempre, qualsiasi cosa facesse. Fiorillo, che ha dovuto prendere una decisione dolorosissima, quella di vietare a una madre, sia pure criminale, di vedere il figlio appena partorito, e ai nonni di poterlo avere in affidamento almeno temporaneo, si è basata molto sulle carte processuali.
Le psichiatre Erica Francesca Poli e Marina Carla Verga hanno escluso qualsiasi forma di incapacità di intendere e di volere, anche parziale, dei genitori del piccolo e descrivono Martina Levato come una donna dalla personalità con tratti borderline. È lei che avrebbe assunto il compito di lanciare l’acido contro Barbini, è lei che ha tentato di tagliare il pene a un altro suo ex. Per questo e altri episodi violenti sarà processata insieme al compagno e ad alcuni amici in settembre.
È sempre Martina, si legge tra le carte processuali, che compie atti di coprofagia. Ha pure inciso sulla faccia la A di Alexander, già scolpita sul corpo di diverse ex di Boettcher. Il ragazzo ci teneva molto, così come gli piaceva incidere il suo stesso corpo. Prevedibile la loro condanna anche nel processo che si celebrerà in autunno e, dunque, è possibile che i due resteranno in carcere una ventina d’anni. Anche questa prospettiva avrebbe pesato sulla richiesta della pm Fiorillo, che vorrebbe il bambino adottato da una famiglia scollegata dalla vicenda criminale e lontana dalle attenzioni mediatiche a tratti morbose. “Chiedo che il neonato venga dichiarato in stato di abbandono per totale e irreversibile incapacità e inadeguatezza del padre e della madre a svolgere funzioni genitoriali”. È questa l’essenza del provvedimento inviato al tribunale minorile.
Il piccolo, nato a Ferragosto, è stato riconosciuto formalmente ieri dalla madre con il nome di Achille, il padre non l’ha potuto fare perché è in carcere: dovrà andare da lui un messo comunale autorizzato.
Martina Levato, ricoverata alla clinica Mangiagalli, a pochi metri da dove si trova Achille, avrebbe detto al suo legale Stefano De Cesare di essere “disperata. Mi hanno distrutta”. Proprio oggi si svolgerà la camera di consiglio del tribunale dei minori che dovrebbe prendere almeno una decisione provvisoria sulla sorte del bimbo. E cioè dove stare e con chi in attesa di un provvedimento definitivo. Anche se, in astratto, il tribunale potrebbe già decidere, come ritiene Fiorillo, sull’adottabilità o sull’affido ai nonni, sentendo le parti.
La richiesta di adottabilità del piccolo senza alcuna possibilità di contatto con la famiglia biologica, ha scritto il magistrato, è stata avanzata affinché i giudici minorili “prendano le loro decisioni nell’assenza di condizionamenti derivanti da aspettative” da parte delle persone coinvolte. “Qualunque scelta fa male in un caso come questo, ha spiegato a voce la pm Fiorillo, ma la situazione sarebbe stata peggiore nel caso di un allontanamento successivo del bimbo dopo l’incontro con la madre su decisione del tribunale”.
Ma per l’avvocato della famiglia Levato, Laura Cossar, si tratta di un “provvedimento punitivo soprattutto nei confronti del bambino”. I giudici minorili, peraltro, potrebbero anche decidere che Achille resti con la madre in carcere per i primi tre anni di vita, caso controverso, per le possibili conseguenze psicologiche, previsto dalla legge.
da il Fatto Quotidiano del 18 agosto 2015