Leggere le intercettazioni di Mafia Capitale non si può. In pubblico, poi: figurarsi. Qualcuno potrebbe offendersi o sentirsi in imbarazzo. E dove? A Roma? Ma siamo matti? Sembra una barzelletta, invece è davvero così: gli organizzatori del festival romano “L’isola del cinema” vogliono impedire al Fatto Quotidiano la lettura in pubblico delle telefonate di Buzzi, Carminati e sodali, che hanno portato alla luce gli intrecci tra i poteri criminali e politici che hanno governato la Città eterna negli ultimi anni.
Sabato 29 agosto il nostro giornale apre la sua festa romana sull’Isola Tiberina. Due giorni di incontri e spettacoli gratuiti, organizzati da tempo. Si parlerà di attualità, cultura, cinema e ovviamente politica e cronaca. Il programma è stato messo nero su bianco in una convenzione firmata in luglio con “L’isola del cinema”, il festival cinematografico a cui il Comune di Roma, dal 1995, affida l’organizzazione di una kermesse estiva sul Tevere, nel cuore della città.
Il Fatto aveva collaborato con “L’isola del cinema” anche l’anno scorso, con reciproca soddisfazione (e con un’intervista-show finale di Gigi Proietti con Marco Travaglio, che aveva raccolto una straordinaria partecipazione di pubblico).
Stavolta qualcosa non è piaciuto. A poco più di una settimana dalla festa del giornale, chi organizza l’Isola del Cinema ha avuto da ridire su uno degli eventi della nostra manifestazione. Alla direzione artistica del festival non piace quello di apertura, previsto per le 18.30 di sabato 29 agosto. Il titolo è Romanzo Capitale: il programma prevede la lettura e delle intercettazioni dell’inchiesta dei pm romani sul “Mondo di mezzo” affidata a un gruppo di attori.
L’argomento, peraltro, era stato anticipato tempestivamente agli organizzatori del festival. Inizialmente con l’idea di un dibattito con il procuratore Giuseppe Pignatone o con il commissario anticorruzione Raffaele Cantone, poi sfumato per l’indisponibilità dei due magistrati. Ora il tema non va più bene: il problema sono le intercettazioni. Sentir parlare di Roma come una “mucca da mungere” o dei politici (di ogni fazione) a libro paga dei poteri criminali potrebbe essere sconveniente, urtare sensibilità, portare alla memoria spiacevoli ricordi. Specie in uno spazio pubblico, affidato in gestione dal Comune, in un bel pomeriggio di fine estate.
Poco conta che queste conversazioni siano già pubbliche. Scritte e riscritte sui quotidiani, replicate nei telegiornali e nei programmi di approfondimento. Poco conta che saranno di nuovo lette e ascoltate nel maxi-processo con 59 imputati che inizia il 5 novembre. Poco conta, infine, che ogni eventuale responsabilità giuridica per il contenuto degli incontri in programma sull’Isola Tiberina sia comunque da attribuire al Fatto Quotidiano.
L’“Isola del Cinema” si impunta: non vuole che negli spazi del festival siano lette le telefonate della mafia romana. Punto.
Il direttore Giorgio Ginori ora minaccia di impedire al Fatto di svolgere la sua festa, ignorando la convenzione firmata a fine luglio (secondo la quale, tra l’altro, non è neppure previsto che gli argomenti scelti dal giornale siano concordati con gli organizzatori dell’Isola del cinema). O si cancella la lettura delle intercettazioni, magari sostituendola con un’intervista politica più “soft” con un assessore a sua scelta (di Ginori), oppure l’Isola Tiberina, per il nostro giornale, resterà chiusa.
Il primo pretesto addotto per giustificare il repentino cambio di atteggiamento degli organizzatori – a pochi giorni dalla festa – è stata la presunta mancanza di attinenza degli argomenti trattati con il tema della kermesse, ovvero il cinema. Motivazione curiosa, visto che le intercettazioni saranno lette da attori e che la due giorni del Fatto prevede – tra gli altri eventi – un’intervista di Marco Travaglio a Sabrina Ferilli (sabato sera) e un incontro moderato da Malcom Pagani con Elio Germano, Monica Guerritore e Ivano De Matteo sul film in uscita il 27 agosto “La bella gente” (domenica sera).
Intanto la direzione si ricorda, con appena un anno di ritardo, “dell’imbarazzo” provato l’anno scorso durante la conferenza di chiusura di Marco Travaglio sulle “schiforme istituzionali”, come se non fosse proprio questo il titolo del suo intervento indicato in cartellone. Imbarazzo rimasto sepolto nella memoria per 12 mesi.
Infine, viene fuori la vera ragione dell’inquietudine degli organizzatori: le intercettazioni, già pubbliche, demoliscono l’immagine di chi ha amministrato Roma negli ultimi anni.
da il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2015