Cultura

Arte nel cuore, la prima accademia teatrale per disabili compie 10 anni: “Ci servono fondi per poter accettare più allievi”

E' aperta alle persone con disabilità fisiche e intellettive e a ottobre compie dieci anni. Conta 150 allievi. Dai sei anni in su. Sono persone non vedenti, in carrozzina, con la sindrome di Down, di Asperger, con la distrofia muscolare, o deficit mentali: "Le lezioni sono solo al pomeriggio, quattro ore, da lunedì al venerdì. Ma non sono abbastanza, servono anche al mattino, chi paga però gli insegnanti?"

di Chiara Daina

Roma. Nelle aule ci entri attraverso una porticina grigio bianca. Incollato alla porticina c’è un cartello non tanto grosso con scritto “Arte nel cuore”. Siamo immersi tra palazzi residenziali, in via Ugo Amaldi 7, dove il quartiere Garbatella si perde in quello Ostiense. Qui sorge la prima accademia di teatro al mondo aperta alle persone con disabilità fisiche e intellettive, che a ottobre compie dieci anni. Conta 150 allievi. Dai sei anni in su. Sono persone non vedenti, in carrozzina, con la sindrome di Down, di Asperger, con la distrofia muscolare, o deficit mentali, che studiano insieme ad altre normodotate, una cinquantina. Lo scambio è reciproco. Chi è più spontaneo nelle emozioni aiuta chi è troppo rigido a sciogliersi.

Alla hall c’è Maurizia, ha 25 anni, sta per laurearsi in Archeologia e al pomeriggio segue i corsi di canto e recitazione. Ha una voce bellissima. “Tante mie qualità le ho scoperte qui dentro. Non sapevo di essere portata per il canto lirico e i musical”. Lavorare con chi è diverso da lei è stata prima di tutto una scelta. “Ho iniziato a frequentare l’accademia con mia sorella Giorgia, che ha la sindrome di Down. Io tratto tutti allo stesso modo. Quindi se non mi va bene qualcosa lo faccio presente. Qui siamo tutti uguali”. L’Arte nel cuore propone 20 corsi. C’è quello di recitazione, di canto, di danza, di musica, di regia, di trucco e parrucco, e dal prossimo anche quello per deejay. Per accedere si fa un’audizione.

“Non escludiamo nessuno – specifica Daniela Alleruzzo, presidente e fondatrice -. Ci serve per capire quale percorso è più indicato per l’allievo, quello scolastico, più leggero, con pochi compiti, o quello accademico, molto più impegnativo, che dura quattro anno più uno di specializzazione”. L’obiettivo in questo caso è formare artisti professionisti. Dodici i contratti già firmati per la fiction di Rai Uno “Una grande famiglia 3”. Le riprese sul set sono durate da luglio a dicembre 2014. Ogni anno vengono portati in scena due nuovi spettacoli e si fanno tournée in tutta Italia.

Gli attori di arte nel cuore si sono esibiti al teatro Eflo Puccini di Milano e ogni volta calcano il palco dell’Olimpico di Roma e del Vascello. Hanno girato anche due cortometraggi. “In cantiere abbiamo un film per il cinema da proporre alla Rai ma ci servono dei fondi”. Ecco, i soldi, sempre troppo pochi, sono il vero problema. L’accademia è col freno amano tirato ogni santo giorno. Alleruzzo si sfoga: “Le lezioni sono solo al pomeriggio, quattro ore, da lunedì al venerdì. Ma non sono abbastanza, servono anche al mattino, chi paga però gli insegnanti? Spendiamo 150mila euro l’anno, di cui 80mila euro circa arrivano dagli sponsor, soprattutto L’Oréal, Poste italiane, Sisal e il Comune di Roma, il resto lo recuperiamo con la quota che chiediamo alle famiglie. Ogni corso costa 50 euro al mese”. Gli insegnati sono una ventina.

C’è una costumista interna che confeziona abiti su misura. E un team di psicologi che si relaziona con i parenti e segue i ragazzi per ogni evenienza. Decine e decine le richieste di iscrizione che l’accademia deve rifiutare ogni volta per mancanza di risorse. Eppure una struttura così è unica nel suo genere. “Le domande provengono da tutta Italia. Ma poi dove li sistemiamo i ragazzi? Per adesso riesce a frequentare i corsi chi abita nel Lazio. Un pulmino parte anche da Foggia due giorni la settimana. Il mio sogno è realizzare un college dell’artista diversamente abile. Magari, magari”. Intanto hanno attivato un corso di resilienza per i top manager di L’Oréal. Altra esperienza più unica che rara. “Sono tre/quattro appuntamenti durante l’anno in cui i ragazzi disabili insegnano ai manager come si fa a stare a galla nelle situazioni difficili, a digerirle senza scivolare nel panico. La disabilità ti costringe ogni giorno a fare i conti con ostacoli esterni e interni”.

Il teatro è molto più di una passione. È un percorso alla scoperta di un copione, il nostro, con le parti che abbiamo recitato nel passato, quelle che abbiamo scelto per il presente e quelle che potremo avere nel futuro. È un piacevole viaggio dentro e fuori di sé. Che vale per tutti, grandi e piccoli, normodotati e disabili. Da questa consapevolezza è nata questa accademia. Marta Iacopini insegna recitazione: “Lo scopo del teatro è aprire finestre di consapevolezza sulla nostra identità, sui nostri limiti e risorse – spiega -. Il teatro favorisce il contatto con i lati della personalità ancora sconosciuti, ci mette in ascolto con noi stessi e con gli altri diversi da noi.

Il disabile di solito è più genuino, il suo stato d’animo non è condizionato da sovrastrutture mentali, mentre il normodotato è legato al risultato, al giudizio esterno, alle aspettative della società. Il primo aiuta il secondo e migliora le sue capacità relazionali, la sua espressione vocale, sente di avere un ruolo. Così nasce un dialogo tra le diversità”. I progressi sono a vista d’occhio. “Il primo anno fanno fatica a dire la battuta, alcuni hanno attacchi di ansia prima di salire sul palco. Ma ce l’hanno sempre fatta tutti. Gli affidiamo parti più semplici, quello che devono imparare è stare in mezzo al gruppo. Poi durante il percorso accademico insegniamo loro ad analizzare il personaggio, con tutte le sue fragilità, i suoi punti forti, e alle fine dei cinque anni lo riescono a interpretare a tutto tondo”. Micaela Guaglione è la mamma di Alessandro, 22 anni, soffre di un disturbo dell’attenzione e di apprendimento. A settembre inizia il quinto anno all’accademia. Segue recitazione, dizione, danza, canto, mimica e regia. “L’accademia è un’oasi felice – commenta la mamma -. Mio figlio ha fatto passi da gigante. Una volta era chiuso, irrequieto, non parlava quasi mai, non aveva amici. Oggi ha qualcosa da raccontare a tavola. Ci fa il punto delle lezioni, ripete la parte, va al cinema con i compagni di corso. È soddisfatto e più tranquillo. Non è mica poco, anzi è un sollievo per tutta la famiglia”.

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