Tagliare le tasse sulla prima casa non è la strada giusta per alimentare la crescita dell’economia italiana. Per liberare risorse con cui far aumentare la domanda e il prodotto interno lordo il governo Renzi dovrebbe seguire le raccomandazioni del Consiglio europeo all’Italia datate 13 giugno 2015: ridurre la tassazione sul reddito da lavoro e spostare il peso dell’imposizione sul patrimonio. Per esempio aumentando l’imposta sulla plusvalenza incassata dalla vendita di azioni, obbligazioni o di aziende e le tasse su patente, auto, successioni, donazioni, energia elettrica, gas metano e persino sull’acqua minerale. Ma anche riformando finalmente il catasto. E’ la ricetta descritta in un recente e inedito studio della ricercatrice Istat Monica Montella, che fa il punto sulla pressione fiscale e tributaria seguendo il filo conduttore delineato da Bruxelles. Che ha già bocciato in via preventiva l’eliminazione di Tasi e Imu sull’abitazione principale e non sembra disponibile a concedere all’Italia ulteriori spazi di flessibilità sul deficit,
Montella parte proprio dal documento di giugno, in cui la Ue avverte che Roma riuscirà a liberare risorse finalizzate a sostenere l’economia solo aumentando la pressione tributaria sulla ricchezza posseduta dagli italiani. “Il Consiglio europeo suggerisce di tassare la proprietà immobiliare perché meno dannosa per la crescita economica”, spiega la ricercatrice. “Incrementare “di poco” le tasse sul patrimonio di fatto potrebbe avere un effetto benefico sulla crescita e inoltre potrebbe garantire un gettito fiscale permanente e strutturale non legato al ciclo economico ma alla ricchezza del paese”. In Italia le imposte che colpiscono il reddito ammontano infatti a poco più di 399 miliardi, pari al 25% del prodotto interno lordo. Quelle che invece insistono sul patrimonio sono equivalenti a 86 miliardi, corrispondenti al 5 per cento del Pil. Supponendo quindi che il governo Renzi decidesse di alzare dal 5 al 10% la pressione tributaria sul patrimonio, ci sarebbe a disposizione un tesoretto da circa 86 miliardi aggiuntivi per sostenere il reddito. In parallelo, Bruxelles indicava la necessità di una “revisione delle agevolazioni fiscali, dei valori catastali e delle misure per migliorare il rispetto della normativa tributaria”.
Le imposte che colpiscono il reddito ammontano a 399 miliardi, il 25% del pil. Quelle sul patrimonio valgono invece 86 miliardi
Che cosa significa tutto questo per le tasche degli italiani? Nei desiderata dell’Unione, l’aumento dell’imposta sul patrimonio si traduce in un ritocco all’insù dell’Iva agevolata e in una riforma del catasto che porti a un maggiore prelievo sulle seconde case. Bruxelles “suggerisce di ampliare la base imponibile dell’imposizione immobiliare a parità di prestazioni sociali in natura corrisposte dallo Stato e a parità di detrazioni e deduzioni sul reddito riconosciute ai contribuenti”, ricorda nel suo studio la ricercatrice Istat. Nella raccomandazione di giugno infatti il Consiglio lamenta i ritardi nella riforma del catasto e nella revisione degli estimi catastali, che Renzi ha rimandato alle calende greche perché rischia di essere estremamente impopolare. Basti pensare che oggi le abitazioni in Italia valgono 6mila miliardi, una cifra pari a tre volte il debito del Paese. Questo patrimonio è tassato poco meno dello 0,4 per cento, per un valore complessivo di 22 miliardi. Se l’aliquota venisse portata all’1%, si otterrebbero 60 miliardi da spendere a favore della crescita. Anche volendo escludere la casa, poi, la strada per aumentare le imposte sulla ricchezza c’è: una patrimoniale sui grandi capitali.
L’alternativa che Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan hanno a disposizione è cercare i soldi nelle altre voci del patrimonio che, con diversi pesi, è tassato attraverso un enorme coacervo di imposte. Dall’assicurazione sulla vita e sulla previdenza a quelle sulle obbligazioni e sugli utili distribuiti. Per arrivare fino all’addizionale sull’energia elettrica di Comuni e province, all’imposta di registro, a quella sulle ipoteche, sul Pubblico registro automobilistico, sui diritti speciali sulle acque da tavola, sulle telecomunicazioni e persino sulla Rai.
“L’attuale presidente del Consiglio promette una riduzione di 50 miliardi di tasse in 5 anni”, conclude Montella. “Ma come vuole raggiungere questo obiettivo? Secondo alcuni studi il solo taglio delle tasse non è una maniera sicuramente efficace per accelerare la crescita economica. Anzi bisogna essere cauti sull’abuso delle tasse come strumento per la crescita economica. L’Italia è un paese privo di materie prime e di piccola estensione. Per favorire la crescita e anche la produttività bisogna agire sulla riduzione mirata dei costi; ad esempio agire sul cuneo fiscale e contributivo o abbattere l’Irap sulle imprese che investono sulla innovazione tecnologica, come ad esempio chi investe sulla banda larga, per facilitare i servizi come la domotica, la telemedicina, la teleassistenza, la sanità digitale e tutte quelle applicazioni a supporto delle piccole e medie imprese. Bisogna agire sulla riduzione del cuneo fiscale per le imprese e famiglie che investono e utilizzano le energie rinnovabili. La leva fiscale, se usata in maniera virtuosa, può dare frutti straordinari”. Detto in altri termini, la strada per far ripartire la crescita passa attraverso un aumento delle imposte sulla ricchezza. Sta al governo decidere se il peso debba ricadere sui grandi patrimoni e sulla casa o se invece debba essere distribuito su tutti i cittadini con un’infinità di piccoli aumenti.