I treni bloccati non fermano i migranti e i profughi in Ungheria. In centinaia in queste ore stanno rifiutando la loro registrazione nei centri d’accoglienza magiari e si stanno mettendo in cammino verso Germania e Austria (in particolare Vienna, distante 240 chilometri). Budapest registra il record di afflussi (oltre 3mila in un giorno) e mentre l’afflusso lungo la cosiddetta “rotta balcanica” continua: 4mila sono arrivati in Serbia, altri 5600 in Macedonia. Così ora il governo di Viktor Orban ha dichiarato lo stato d’emergenza e il Parlamento ha approvato (anche con i voti dell’estrema destra) un pacchetto di leggi restrittive. E alla fine della giornata Budapest ha anche annunciato che metterà a disposizione degli autobus per portare le centinaia di migranti in marcia in autostrada al confine con l’Austria: “la sicurezza della rete autostradale ungherese non può essere messa a rischio” hanno spiegato. Tutto questo mentre da una parte l’Unione europea ha annunciato un piano di distribuzione di profughi nell’ordine di 120mila unità ma l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu ha già detto che non sarà sufficiente e si dovrà salire fino a 200mila. Non solo: i governi della Repubblica Ceca e della Slovacchia hanno già dichiarato le quote di migranti da distribuire tra i 28 membri dell’Unione “inaccettabili” e quindi le respingeranno. L’Italia, con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, rinnova la richiesta di rivedere le norme le regole della convenzione di Dublino sul diritto d’asilo.
Fugge sui binari a Bickse: muore un pakistano di 50 anni
Tre i gruppi di migranti che sono sfuggiti al controllo delle autorità ungheresi. Oltre agli oltre 500 che si sono incamminati a piedi dalla stazione di Budapest verso ovest dopo che è stato loro impedito di salire sui treni, in circa 300 sono scappati dalla stazione di Bicske, dove un uomo di nazionalità pakistana di 50 anni è morto fuggendo sui binari: sarebbe caduto sui binari e avrebbe sbattuto la testa. Un gruppo di migranti che si era asserragliato da ieri a bordo di un treno fermo nello scalo ha accettato di scendere volontariamente: le famiglie vengono trasferite nel campo profughi della cittadina dalla polizia. Da un’altra struttura nei pressi di Bicske sono fuggite 64 persone. In precedenza oggi 300 migranti erano scappati da un centro di accoglienza di Roszke al confine con la Serbia scontrandosi con la polizia, ma sono stati in gran parte individuati e riportati nella struttura. Altri 2.300 circa ore fa avevano annunciato un ultimatum di due ore alla polizia, minacciando di fuggire anch’essi se le autorità non avessero accontentato le loro richieste.
La polizia serba non esclude un cambio di rotta lungo i Balcani
L’inasprimento dei controlli alle frontiere dell’Ungheria potrebbe determinare un cambio di itinerario da parte dei migranti e profughi in marcia lungo la “rotta balcanica” e diretti in Germania, Austria e altri paesi del Nord Europa. A prospettarlo è il capo della polizia di frontiera serba Mitar Djuraskovic ha detto di ritenere che i migranti potrebbero aggirare Serbia e Ungheria seguendo l’itinerario da Istanbul verso Bulgaria, Grecia, Albania e da lì verso i Paesi Ue. Il premier ungherese Viktor Orban, che ha già ordinato la costruzione di una barriera “difensiva” metallica e di filo spinato alla frontiera con la Serbia, ha fatto approvare dal Parlamento alcuni provvedimenti come l’istituzione di zone di transito sul confine per bloccare gli arrivi, l’accelerazione della procedura di riconoscimento del diritto asilo e l’inasprimento dei criteri per rilasciarlo. Slitta per il momento l’invio di militari sul confine: è mancata la maggioranza di due terzi nell’ambito delle procedure di voto d’urgenza. La stragrande maggioranza dei profughi si rifiuta di andare nel centro, dove le autorità chiedono che vengano registrati. La maggior parte punta infatti ad arrivare in Germania perché non vuole chiedere asilo in un Paese economicamente depresso. La polizia ha offerto ai rifugiati acqua, frutta e dolci ma loro hanno rifiutato, gridando “No cibo, no cibo” in segno di protesta.
A Lesbo scontri tra migranti e polizia: sassate e lacrimogeni
Tensione si registra anche sull’isola greca di Lesbo, da giorni al collasso per la presenza di 15mila tra migranti e profughi. Circa 200 di loro, non registrati, hanno tentato di salire su un traghetto, dando il via a scontri in cui la polizia ha sparato anche gas lacrimogeni per disperderli. Da parte dei migranti si è verificato anche un lancio di pietre. Il sindaco della principale città dell’isola, Mitilene, ha chiesto pubblicamente aiuto e che Atene dichiari lo stato di emergenza. “Da quattro mesi ormai tengo una bomba tra le mani e la miccia sta bruciando lentamente”, ha detto Spyros Galinos alla Ert, la tv pubblica greca.
Uk, sì a rifugiati: ma solo quelli dai campi profughi Onu
Il premier britannico David Cameron, facendo seguito a quanto già annunciato, ha garantito che la Gran Bretagna aderirà alla ricollocazione di “migliaia” di altri rifugiati siriani in risposta all’aggravarsi delle crisi umanitaria. Arriveranno dai campi Onu al confine con la Siria e non sono tra le persone che si trovano già in Europa. Cameron, che si trova a Lisbona per parlare con il primo ministro portoghese, ha poi sottolineato che il suo Paese agirà “con la testa e con il cuore”, impegnandosi a trovare soluzioni a lungo termine alla crisi. Londra, ha detto, ha già “fornito rifugio” a circa 5mila rifugiati dei campi siriani, oltre a 900 milioni di sterline di aiuti, più di qualsiasi altro Paese europeo. Per il premier, il suo Paese ha “la responsabilità morale” di aiutare i rifugiati. Cameron non ha invece dato indicazione di intendere accogliere alcuno delle centinaia di migliaia di migranti che sono arrivati in Europa dopo pericolosi viaggi.
L’allarme del Pentagono: “Crisi almeno per 20 anni”
Per il Pentagono parla di “emergenza enorme” e “crisi reale” il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa e tra i massimi vertici del Dipartimento della Difesa Usa. In un’intervista esclusiva alla Abc, il militare si è detto “preoccupato” e ha sottolineato la necessità per tutti di agire “sia unilateralmente che con gli alleati“. Dempsey si è quindi detto “preoccupato” e ha sottolineato la necessità per tutti di agire “sia unilateralmente che con gli alleati”, considerando ciò che sta avvenendo “come un problema generazionale” e mettendo sul piatto adeguate risorse che permettano di affrontare la crisi per almeno 20 anni.
Già nei giorni scorsi la Casa Bianca aveva esplicitamente chiesto all’Europa di fare di più contro i trafficanti di uomini. A proposito della fotografia del bimbo siriano di tre anni morto su una spiaggia della Turchia Dempsey ha auspicato che quella immagine “abbia un simile effetto a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l’intervento della Nato in Bosnia“, cioè spinse la comunità internazionale ad agire con maggiore efficacia per trovare una soluzione ad una drammatica emergenza.
Il governo di Tripoli chiede incontro con Ue e Paesi arabi
Per arginare il flusso dei migranti che si imbarcano sulle coste libiche, il governo di Tripoli, che al contrario di quello di Tobruk non gode del riconoscimento della comunità internazionale, ha invitato i paesi arabi ed europei a organizzare una conferenza regionale entro settembre. “Chiediamo – ha detto Mustafa Laqlaib, ministro della Giustizia di Tripoli – una conferenza regionale alla fine di settembre, per mettere fine a questa tragedia”. “La Libia – ha aggiunto Laqlaib – non può far fronte da sola a questo flusso di migranti. Noi siamo solo un paese di transito”.