Ci sono le difficoltà del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano ormai ad un bivio: convertirsi al renzismo per salire sulla scialuppa di salvataggio delle liste del Partito democratico alle prossime politiche o rischiare l’estinzione cui i sondaggi sembrerebbero condannarlo? Poi ci sono le manovre dell’ex plenipotenziario di Forza Italia, Denis Verdini, che le sta tentando tutte per rafforzare sua pattuglia senatoriale con l’obiettivo di portare i suoi pretoriani dagli attuali 10 ad almeno 20. E quelle dell’altro ex azzurro Raffaele Fitto che spera di contare di più dopo l’accordo con il sindaco di Verona Flavio Tosi. Ma c’è anche la minoranza del Partito democratico in eterno fermento mentre nel Vietnam del Senato torna in agenda la bomba ad orologeria delle riforme costituzionali. Per non parlare di Sinistra Ecologia e Libertà che rischia di perdere altri pezzi, a cominciare dal senatore Dario Stefàno. Uno scenario esplosivo dagli esiti incerti che rischia di innescare una nuova ondata di cambi di casacca, come se non bastassero i 217 (che secondo Openpolis salgono a 290 se si tiene conto dei parlamentari che hanno all’attivo più di un passaggio da un partito all’altro) registrati da inizio legislatura ad oggi. Una tendenza che su cui giocoforza rischia di influire anche l’accelerazione di Renzi sulle riforme, con il governo che rischia di non avere i numeri al Senato. Il vecchio “vizio” della transumanza, insomma, che da sempre affligge la politica italiana, sembra a breve destinato a riaffacciarsi sulla scena. E su larga scala.
ANGELINO ADDIO Lo spettro di una emorragia senza fine agita il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Fra chi è già uscito allo scoperto, come Nunzia De Girolamo, e chi sta meditando di abbandonare la barca (10-15 senatori), a breve il ministro dell’Interno rischia di ritrovarsi senza i numeri per garantire al premier l’approvazione dell’agognata riforma costituzionale. Il che farebbe saltare il progetto messo in piedi da Renzi e dallo stesso Alfano: quello di garantire, alle prossime elezioni, una quindicina di posti sicuri nelle liste del centrosinistra ai parlamentari di Area popolare (Ncd più Udc). C’è un però. Conti alla mano, infatti, il gruppo allinea oggi 69 fra deputati e senatori. Con l’accordo stretto fra il numero uno di Palazzo Chigi e Alfano ne rimarrebbero a spasso fra i 54 e i 59. Ovvio che molti di loro non l’abbiano presa bene. Durante la pausa estiva, per esempio, l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, è tornato a calcare il terreno di Villa Certosa, residenza estiva di Berlusconi. Anche l’ex ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, si è detto contrario alla svolta a “sinistra” del partito. Mentre Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi hanno già fatto sapere che, senza sostanziali modifiche, non voteranno il ddl Boschi. Ma, come detto, il mal di pancia ha contagiato parecchi e si lega, fra l’altro, al malcontento causato dalla riforma della legge elettorale che, nell’attuale formulazione, mette in forse l’esistenza stessa di Ncd. Al punto che uno dei big del partito come Gaetano Quagliariello, ha avvertito il premier: “O il governo accetta di rimettere mano all’Italicum o ci saranno conseguenze per le riforme perché nessuno riuscirà a convincere i senatori dissidenti di Ncd a non votare contro”. Così il fronte dei possibili “fuggiaschi” sembra destinato ad allargarsi. Da Ulisse Di Giacomo a Guido Viceconte, passando per Antonio Azzollini, Francesco Colucci, Piero Aiello, Nico D’Ascola, Tonino Gentile e Giuseppe Esposito, tutti si scaldano per giocare un tiro mancino ad Alfano prima di dargli il benservito.
COLPO D’ALA Anche perché, ragionano molti degli “alfaniani” delusi, le alternative non mancano. Forza Italia (FI), che pure deve fare i conti con la fuoriuscita di “fittiani” e “verdiniani”, riaccoglierebbe volentieri alcuni dei parlamentari che nel 2013, dopo l’implosione del Pdl, scelsero di seguire il numero uno del Viminale. Come, del resto, ha fatto chiaramente sapere il presidente dei deputati azzurri, Renato Brunetta. Ma anche Fitto e Verdini sono in fermento. L’ex ras toscano di FI sta cercando di allargare le file della sua Ala, il nuovo gruppo che a Palazzo Madama conta già 10 senatori che lui vorrebbe portare a 20 per garantire stabilità a Renzi in cambio di una lauta ricompensa (un ministero o un sottosegretariato). Il pressing di Verdini è diventato estenuante. Tra telefonate ed sms compulsivi che hanno visto negli ultimi giorni destinatari, tra gli altri, anche il senatore ex M5S Bartolomeo Pepe e Michelino Davico. Obiettivo: annettere ad Ala l’intero gruppo Gal al Senato. Anche l’ex governatore della Puglia, leader dei Conservatori e Riformisti, non sta certo con le mani in mano. Tanto da aver già formalizzato un accordo con il sindaco di Verona e numero uno di Fare!, Flavio Tosi, per unire le forze sia alla Camera sia al Senato. “Non sarà un unico movimento politico”, spiega a ilfattoquotidiano.it un deputato vicino a Fitto, ma “un accordo che avrà come denominatore comune l’opposizione a Renzi e che potrebbe vedere il coinvolgimento di parlamentari provenienti da Nuovo centrodestra e Forza Italia”. Per il momento, dunque, alla Camera i tre “tosiani” (Matteo Bragantini, Roberto Caon ed Emanuele Prataviera) andranno a dare manforte ai 15 “fittiani”, in modo da formare il prima possibile un vero e proprio gruppo (c’è bisogno di arrivare a 20). Al Senato, invece, Raffaella Bellot, Patrizia Bisinella ed Emanuela Munerato confluiranno nella già strutturata compagine “fittiana”, ridotta al minimo sindacale dopo gli addii di Ciro Falanga ed Eva Longo (passati con Verdini). Se ne saprà di più in settimana, mentre il prossimo weekend, a Cortina, si svolgerà un convegno nel corso del quale dovrebbe essere annunciata ufficialmente la nascita della compagine a Montecitorio. Alfano è avvisato.
MINORANZA PD AL BIVIO Nel Pd, invece, ogni mossa è rimandata a dopo l’approvazione della riforma costituzionale. A Palazzo Madama la minoranza resta in fermento e non crede alle proposte di mediazione arrivate negli ultimi giorni da esponenti vicini al premier. Ma nessuno vuole parlare di “scissione”. Anche perché il rischio, spiega off the record un senatore della minoranza dem, è quello di prestare il fianco al progetto originario di Renzi: approvare il ddl Boschi anche senza i vari Gotor, Mineo, Chiti, eccetera per poi accompagnarli alla porta. “Noi vogliamo una discussione nel merito – spiega ancora il dissidente del Pd – loro no. Questa riforma costituzionale è pessima e perciò resteremo fermi sulle nostre posizioni”. Poi si vedrà. Insomma, nessuno lo dice apertamente, ma la bordata lanciata sabato scorso dal palco della festa dell’Unità di Firenze, cioè dalla “tana” di Renzi, da Gianni Cuperlo, lascia intendere invece che, a seguire le orme di Pippo Civati e Stefano Fassina potrebbero essere in molti. “Restare in questo partito – ha detto l’ex sfidante alla segreteria dem – non è un destino, è una scelta che devo rinnovare ogni giorno: se il Pd dovesse diventare il ‘Partito della Nazione’ di ispirazione centrista potrebbe non essere più la casa per tanti di noi”. E il combinato disposto tra la riforma costituzionale e l’Italicum, portate indigeste per l’intera minoranza del Partito democratico, potrebbe accelerare la diaspora. Si parla già di almeno una trentina di eletti pronti all’addio.
SINISTRA IN LIBERTÀ Anche Sel rischia di andare incontro ad una nuova emorragia. Dopo l’abbandono dei deputati Gennaro Migliore, Sergio Boccadutri, Titti Di Salvo, Ileana Piazzoni, Fabio Lavagno, Alessandro Zan, Nazzareno Pilozzi, Martina Nardi, Luigi Lacquaniti, Ferdinando Aiello e Michele Ragosta, tutti confluiti nel Pd, e Claudio Fava e Antonio Mattarelli, accomodatisi nei banchi del Misto, ora anche al Senato Dario Stefàno potrebbe andare a rafforzare le file del Partito democratico. Potrebbe, perché il presidente della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama per ora professa cautela: non c’è “nessuna trattiva” giacché “il legame con Vendola è forte, di reciproco rispetto e lealtà”. Però “non approvo che viva questa fase in maniera defilata”. Insomma, una presa di distanze dalla linea del partito dettata dal coordinatore nazionale Nicola Fratoianni, che ha invitato ad una sorta di “tutti contro Renzi” alle prossime amministrative. Una rotta che, Stefàno a parte, potrebbe non essere condivisa anche da altri esponenti di Sel: alla lista dei richiedenti asilo tra i banchi del Pd o di altri gruppi politici ci sono infatti anche i senatori Massimo Cervellini e Luciano Uras. Per non parlare dei contraccolpi sul territorio. Dove, per l’ammutinamento, potrebbero alla fine optare il sindaco di Genova, Marco Doria, quello di Cagliari, Massimo Zedda, e il vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio.
Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi
Lettera del senatore Cervellini Nell’articolo “Alfano, Verdini e Fitto: in Parlamento è tempo di transumanza”, vengo annoverato tra gli esponenti di SEL che rientrerebbero nella lista dei richiedenti asilo tra i banchi del Pd o di altri gruppi politici. La mia posizione e il mio giudizio negativo sulla pessima proposta di riforma costituzionale da parte di questo Governo, oltre che su moltissimi altri provvedimenti – dal Jobs Act alla buona scuola, alla riforma della Rai, solo per fare alcuni esempi significativi – sono noti in tutte le sedi istituzionali e territoriali: negli interventi in Aula del Senato e in Commissione Lavori pubblici, così come nelle occasioni di dibattito pubblico cittadino ho sempre ribadito come questo Governo delle larghe intese stia definitivamente assestando, da una parte, il colpo di grazia al sistema di sviluppo di questo Paese e alla nostra Costituzione, dall’altra stia scardinando l’impianto delle tutele e dei diritti fondamentali delle persone. Se è esistita una fonte, da cui è scaturito l’articolo che mi annovera nella pletora di questa transumanza, è decisamente priva di fondamento. Sen. Massimo Cervellini (SEL), Vice presidente della Commissione Lavori pubblici
Palazzi & Potere
Alfano, Verdini e Fitto: in Parlamento è tempo di transumanza. Ecco chi è pronto cambiar casacca
Dal Nuovo Centrodestra a Sel. Una lunga lista di deputati e senatori ipotizza il trasloco da un gruppo all’altro. Mentre Verdini fa campagna acquisti e Fitto “sposa” Tosi. Anche i dissidenti dem sul piede di guerra. Con Cuperlo, Gotor e tanti altri pronti all'abbandono. Se la maggioranza non accetterà il dialogo sulle riforme. E se dovesse passare il Partito della Nazione
Ci sono le difficoltà del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano ormai ad un bivio: convertirsi al renzismo per salire sulla scialuppa di salvataggio delle liste del Partito democratico alle prossime politiche o rischiare l’estinzione cui i sondaggi sembrerebbero condannarlo? Poi ci sono le manovre dell’ex plenipotenziario di Forza Italia, Denis Verdini, che le sta tentando tutte per rafforzare sua pattuglia senatoriale con l’obiettivo di portare i suoi pretoriani dagli attuali 10 ad almeno 20. E quelle dell’altro ex azzurro Raffaele Fitto che spera di contare di più dopo l’accordo con il sindaco di Verona Flavio Tosi. Ma c’è anche la minoranza del Partito democratico in eterno fermento mentre nel Vietnam del Senato torna in agenda la bomba ad orologeria delle riforme costituzionali. Per non parlare di Sinistra Ecologia e Libertà che rischia di perdere altri pezzi, a cominciare dal senatore Dario Stefàno. Uno scenario esplosivo dagli esiti incerti che rischia di innescare una nuova ondata di cambi di casacca, come se non bastassero i 217 (che secondo Openpolis salgono a 290 se si tiene conto dei parlamentari che hanno all’attivo più di un passaggio da un partito all’altro) registrati da inizio legislatura ad oggi. Una tendenza che su cui giocoforza rischia di influire anche l’accelerazione di Renzi sulle riforme, con il governo che rischia di non avere i numeri al Senato. Il vecchio “vizio” della transumanza, insomma, che da sempre affligge la politica italiana, sembra a breve destinato a riaffacciarsi sulla scena. E su larga scala.
ANGELINO ADDIO Lo spettro di una emorragia senza fine agita il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Fra chi è già uscito allo scoperto, come Nunzia De Girolamo, e chi sta meditando di abbandonare la barca (10-15 senatori), a breve il ministro dell’Interno rischia di ritrovarsi senza i numeri per garantire al premier l’approvazione dell’agognata riforma costituzionale. Il che farebbe saltare il progetto messo in piedi da Renzi e dallo stesso Alfano: quello di garantire, alle prossime elezioni, una quindicina di posti sicuri nelle liste del centrosinistra ai parlamentari di Area popolare (Ncd più Udc). C’è un però. Conti alla mano, infatti, il gruppo allinea oggi 69 fra deputati e senatori. Con l’accordo stretto fra il numero uno di Palazzo Chigi e Alfano ne rimarrebbero a spasso fra i 54 e i 59. Ovvio che molti di loro non l’abbiano presa bene. Durante la pausa estiva, per esempio, l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, è tornato a calcare il terreno di Villa Certosa, residenza estiva di Berlusconi. Anche l’ex ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, si è detto contrario alla svolta a “sinistra” del partito. Mentre Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi hanno già fatto sapere che, senza sostanziali modifiche, non voteranno il ddl Boschi. Ma, come detto, il mal di pancia ha contagiato parecchi e si lega, fra l’altro, al malcontento causato dalla riforma della legge elettorale che, nell’attuale formulazione, mette in forse l’esistenza stessa di Ncd. Al punto che uno dei big del partito come Gaetano Quagliariello, ha avvertito il premier: “O il governo accetta di rimettere mano all’Italicum o ci saranno conseguenze per le riforme perché nessuno riuscirà a convincere i senatori dissidenti di Ncd a non votare contro”. Così il fronte dei possibili “fuggiaschi” sembra destinato ad allargarsi. Da Ulisse Di Giacomo a Guido Viceconte, passando per Antonio Azzollini, Francesco Colucci, Piero Aiello, Nico D’Ascola, Tonino Gentile e Giuseppe Esposito, tutti si scaldano per giocare un tiro mancino ad Alfano prima di dargli il benservito.
COLPO D’ALA Anche perché, ragionano molti degli “alfaniani” delusi, le alternative non mancano. Forza Italia (FI), che pure deve fare i conti con la fuoriuscita di “fittiani” e “verdiniani”, riaccoglierebbe volentieri alcuni dei parlamentari che nel 2013, dopo l’implosione del Pdl, scelsero di seguire il numero uno del Viminale. Come, del resto, ha fatto chiaramente sapere il presidente dei deputati azzurri, Renato Brunetta. Ma anche Fitto e Verdini sono in fermento. L’ex ras toscano di FI sta cercando di allargare le file della sua Ala, il nuovo gruppo che a Palazzo Madama conta già 10 senatori che lui vorrebbe portare a 20 per garantire stabilità a Renzi in cambio di una lauta ricompensa (un ministero o un sottosegretariato). Il pressing di Verdini è diventato estenuante. Tra telefonate ed sms compulsivi che hanno visto negli ultimi giorni destinatari, tra gli altri, anche il senatore ex M5S Bartolomeo Pepe e Michelino Davico. Obiettivo: annettere ad Ala l’intero gruppo Gal al Senato. Anche l’ex governatore della Puglia, leader dei Conservatori e Riformisti, non sta certo con le mani in mano. Tanto da aver già formalizzato un accordo con il sindaco di Verona e numero uno di Fare!, Flavio Tosi, per unire le forze sia alla Camera sia al Senato. “Non sarà un unico movimento politico”, spiega a ilfattoquotidiano.it un deputato vicino a Fitto, ma “un accordo che avrà come denominatore comune l’opposizione a Renzi e che potrebbe vedere il coinvolgimento di parlamentari provenienti da Nuovo centrodestra e Forza Italia”. Per il momento, dunque, alla Camera i tre “tosiani” (Matteo Bragantini, Roberto Caon ed Emanuele Prataviera) andranno a dare manforte ai 15 “fittiani”, in modo da formare il prima possibile un vero e proprio gruppo (c’è bisogno di arrivare a 20). Al Senato, invece, Raffaella Bellot, Patrizia Bisinella ed Emanuela Munerato confluiranno nella già strutturata compagine “fittiana”, ridotta al minimo sindacale dopo gli addii di Ciro Falanga ed Eva Longo (passati con Verdini). Se ne saprà di più in settimana, mentre il prossimo weekend, a Cortina, si svolgerà un convegno nel corso del quale dovrebbe essere annunciata ufficialmente la nascita della compagine a Montecitorio. Alfano è avvisato.
MINORANZA PD AL BIVIO Nel Pd, invece, ogni mossa è rimandata a dopo l’approvazione della riforma costituzionale. A Palazzo Madama la minoranza resta in fermento e non crede alle proposte di mediazione arrivate negli ultimi giorni da esponenti vicini al premier. Ma nessuno vuole parlare di “scissione”. Anche perché il rischio, spiega off the record un senatore della minoranza dem, è quello di prestare il fianco al progetto originario di Renzi: approvare il ddl Boschi anche senza i vari Gotor, Mineo, Chiti, eccetera per poi accompagnarli alla porta. “Noi vogliamo una discussione nel merito – spiega ancora il dissidente del Pd – loro no. Questa riforma costituzionale è pessima e perciò resteremo fermi sulle nostre posizioni”. Poi si vedrà. Insomma, nessuno lo dice apertamente, ma la bordata lanciata sabato scorso dal palco della festa dell’Unità di Firenze, cioè dalla “tana” di Renzi, da Gianni Cuperlo, lascia intendere invece che, a seguire le orme di Pippo Civati e Stefano Fassina potrebbero essere in molti. “Restare in questo partito – ha detto l’ex sfidante alla segreteria dem – non è un destino, è una scelta che devo rinnovare ogni giorno: se il Pd dovesse diventare il ‘Partito della Nazione’ di ispirazione centrista potrebbe non essere più la casa per tanti di noi”. E il combinato disposto tra la riforma costituzionale e l’Italicum, portate indigeste per l’intera minoranza del Partito democratico, potrebbe accelerare la diaspora. Si parla già di almeno una trentina di eletti pronti all’addio.
SINISTRA IN LIBERTÀ Anche Sel rischia di andare incontro ad una nuova emorragia. Dopo l’abbandono dei deputati Gennaro Migliore, Sergio Boccadutri, Titti Di Salvo, Ileana Piazzoni, Fabio Lavagno, Alessandro Zan, Nazzareno Pilozzi, Martina Nardi, Luigi Lacquaniti, Ferdinando Aiello e Michele Ragosta, tutti confluiti nel Pd, e Claudio Fava e Antonio Mattarelli, accomodatisi nei banchi del Misto, ora anche al Senato Dario Stefàno potrebbe andare a rafforzare le file del Partito democratico. Potrebbe, perché il presidente della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama per ora professa cautela: non c’è “nessuna trattiva” giacché “il legame con Vendola è forte, di reciproco rispetto e lealtà”. Però “non approvo che viva questa fase in maniera defilata”. Insomma, una presa di distanze dalla linea del partito dettata dal coordinatore nazionale Nicola Fratoianni, che ha invitato ad una sorta di “tutti contro Renzi” alle prossime amministrative. Una rotta che, Stefàno a parte, potrebbe non essere condivisa anche da altri esponenti di Sel: alla lista dei richiedenti asilo tra i banchi del Pd o di altri gruppi politici ci sono infatti anche i senatori Massimo Cervellini e Luciano Uras. Per non parlare dei contraccolpi sul territorio. Dove, per l’ammutinamento, potrebbero alla fine optare il sindaco di Genova, Marco Doria, quello di Cagliari, Massimo Zedda, e il vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio.
Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi
Lettera del senatore Cervellini Nell’articolo “Alfano, Verdini e Fitto: in Parlamento è tempo di transumanza”, vengo annoverato tra gli esponenti di SEL che rientrerebbero nella lista dei richiedenti asilo tra i banchi del Pd o di altri gruppi politici. La mia posizione e il mio giudizio negativo sulla pessima proposta di riforma costituzionale da parte di questo Governo, oltre che su moltissimi altri provvedimenti – dal Jobs Act alla buona scuola, alla riforma della Rai, solo per fare alcuni esempi significativi – sono noti in tutte le sedi istituzionali e territoriali: negli interventi in Aula del Senato e in Commissione Lavori pubblici, così come nelle occasioni di dibattito pubblico cittadino ho sempre ribadito come questo Governo delle larghe intese stia definitivamente assestando, da una parte, il colpo di grazia al sistema di sviluppo di questo Paese e alla nostra Costituzione, dall’altra stia scardinando l’impianto delle tutele e dei diritti fondamentali delle persone. Se è esistita una fonte, da cui è scaturito l’articolo che mi annovera nella pletora di questa transumanza, è decisamente priva di fondamento. Sen. Massimo Cervellini (SEL), Vice presidente della Commissione Lavori pubblici
C'era una volta la Sinistra
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Il sottosegretario Delmastro boccia la riforma Nordio: “Mi piace solo il sorteggio. I pm? Così divoreranno i giudici”. Pd-M5s: “Se ne vada”
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata dell'Unità nazionale e del Tricolore, che ricorre lunedì prossimo, 17 marzo, sulla facciata di Montecitorio verrà proiettata la bandiera nazionale, dalla mezzanotte e nelle successive ore serali e notturne.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".