
Le parole pronunciate, lunedì sera, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nell’ultimo minuto di “Otto e mezzo”- la trasmissione de La 7, condotta da Lilli Gruber – hanno riacceso il dibattito, ormai antico, sull’opportunità di chiamare i big di Internet a pagare più tasse nel nostro Paese.
Nelle ultime 24 ore, infatti – in rete e fuori dalla rete – si moltiplicano ipotesi, congetture, teorie e pseudo certezze sul significato da attribuire alle parole del capo del Governo e sulle sue reali intenzioni.
Prima di aggiungere altra “carne” su un fuoco già rovente, vale però, la pena di ricordare i fatti per scongiurare il rischio che si finisca con l’attribuire al Governo idee e progetti che, probabilmente, allo stato non esistono o, almeno non sono maturi, alimentando inutile confusione in una materia straordinariamente delicata nella quale, peraltro, il dialogo e la diplomazia internazionale ha – ed è giusto che abbia – un ruolo centrale.
In questa prospettiva val la pena, innanzitutto, ricordare che il premier non si è seduto davanti a Lilli Gruber con l’idea di annunciare la digital tax ma ha semplicemente risposto, in senso affermativo, ad un intervento di Federico Rampini che lo ha invitato a considerare – anche in considerazione del “ruolo” del nostro capo del Governo “a Bruxelles, nel G7 e nel G20” – la necessità di “un’azione concertata contro l’elusione fiscale delle multinazionali” come Apple e Google negli Usa e la Fiat in Italia.
E’ a questo punto – quando mancavano meno di tre minuti alla fine della trasmissione – che Renzi, stralciata la posizione della Fiat, dichiarando che “Sergio Marchionnne meriterebbe un monumento”, ha fatto l’annuncio che ha gettato in fibrillazione il web: “Abbiamo deciso di attendere tutto il primo semestre del 2016 l’Ue, ma da questa legge di stabilità già immaginiamo una digital tax che vada a far pagare le tasse nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi”.
E il presidente del Consiglio ha poi aggiunto altri tre riferimenti da non sottovalutare.
Uno: “Stiamo pensando a meccanismi diversi da quelli ipotizzati in passato”. Due: “non è una manovra che porterà tutti i soldi a cui pensa Rampini o con la quale risollevare le finanze del Paese”. Tre: “non lo facciamo per raccogliere soldi ma per una questione di giustizia sociale”.
Sin qui i fatti, ai quali è solo il caso di aggiungere che il tutto si è esaurito in 58 secondi netti, neppure un minuto. Guai, naturalmente, a svilire la portata di annuncio fatto in diretta TV ma, ad un tempo, attenzione a voler tradurre, ad ogni costo, una manciata di parole, in un disegno di legge di Governo. A voler, comunque, seguire l’onda lunga dei tanti che hanno ritenuto di leggere dietro alle parole del premier più di quanto abbia detto, c’è comunque una certezza ed alcune forti probabilità che vanno tenute in considerazione.
La certezza è che il governo non sembra avere alcun ripensamento sul “no”, secco, annunciato, via Twitter, dallo stesso premier, nel febbraio del 2014, alla c.d. “web tax” di Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati.
A parte i macroscopici limiti tecnici della proposta di legge all’epoca bocciata da Palazzo Chigi, l’idea di un ripescaggio è evidentemente esclusa dalla circostanza che Renzi abbia avvertito l’esigenza di precisare che si pensa “a meccanismi diversi da quelli ipotizzati in passato”. Qualsiasi cosa sia – anche ammesso che abbia già dei contorni delineati e non si sia trattato “solo” dell’esternazione di una riflessione non ancora matura – quindi la “digital tax”, non sarà una riedizione della “web tax”.
Ma, a ben vedere – e se si vuole stare ai fatti e non correre più avanti delle parole nel grigio delle ipotesi e dei retro-pensieri – non c’è nessuna ragione neppure per ipotizzare che il Governo stia pensando di adottare il disegno di legge, già depositato alla Camera dei deputati, che ha come primi firmatari Stefano Quintarelli e Giulio Cesare Sottanelli, entrambi di Scelta civica, il cui testo – anticipato dai giornali – non è ancora disponibile sul sito della Camera.
Renzi infatti, ci ha tenuto a sottolineare che non si tratta di un’iniziativa che consentirà di incassare tanti soldi, ispirata più da ragioni di giustizia sociale che economica, mentre il disegno di legge in questione, ipotizzando un prelievo alla fonte – ovvero al momento del pagamento del corrispettivo del prodotto o servizio acquistato online – del 25%, sembrerebbe un’iniziativa che, a prescindere dalla sua sostenibilità sul piano della disciplina fiscale internazionale, farebbe affluire nelle casse dello Stato parecchio denaro.
E allora? Cosa hanno in mente a Palazzo Chigi? Difficile a dirsi, ammesso che sia necessario provare ad indovinare ciò che il capo del Governo non ha detto e, magari, neppure ha già pensato.
E’ però ipotizzabile – e si tratterebbe di una mossa politicamente astuta e difficilmente contestabile – che Renzi stia “semplicemente” meditando sull’ipotesi di assumere la leadership dei paesi che, nei prossimi mesi, si ritroveranno, necessariamente a dover ragionare su come dare attuazione alle linee guida, che l’Ocse sta per definire – ma che a Palazzo Chigi sono certamente già note – proprio in materia di disciplina della tassazione delle transazioni online. Le linee guida dell’Ocse, d’altra parte, rappresentano l’ineludibile perimetro nel quale dovrà collocarsi qualsiasi iniziativa in materia.
Se fosse così – e si tratterebbe di uno scenario confortante – come suggeriva ieri, in un tweet, Sergio Boccadutri, responsabile dell’area innovazione del Pd, più che di una vera e propria “digital tax”, si tratterebbe di un’iniziativa di contrasto all’elusione fiscale da parte dei giganti – e non solo – del web.
E’ difficile – per non dire impossibile – allo stato trarre conclusioni sicure sulle intenzioni del Governo, dalle poche parole pronunciate dal premier, mentre – ora che è noto, almeno, che il tema è nell’agenda prossima ventura di Palazzo Chigi – il momento è propizio per avanzare qualche auspicio.
Il primo è che, pur mossi da sacrosanti intenti di giustizia sociale, non ci si lasci prendere la mano, dimenticando che la prima vera scommessa di un Paese che voglia giocare e vincere la sua partita con il futuro, non è quella di far pagare più tasse a Apple, Google, Facebook e agli altri ma riuscire a creare le condizioni perché i colossi del web di oggi e, soprattutto, quelli di domani, scelgano, con convinzione, di mettere solide radici nel nostro Paese, investendo e creandovi posti di lavoro. La migliore delle tassazioni possibili – pure necessaria proprio per quelle ragioni di giustizia sociale ricordate dal premier – in questa prospettiva, non risolverebbe il problema.
Il secondo è che benché “digital tax” faccia rima con “Google tax”, mettere mano alla disciplina della materia, significa inesorabilmente assoggettare alle stesse regole piccoli e grandi imprese del digitale, quando vendono servizi e prodotti online in Italia e quando li esportano all’estero. Guai a dimenticarsene perché si rischia di veder uscire dalla porta ciò che si è fatto entrare dalla finestra.
Il terzo è che – ci piaccia o non ci piaccia e benché, inesorabilmente, renda tutto più lento e complicato – il mercato globale ha bisogno di regole sovrannazionali. Senza concertazione, diplomazia ed accordi internazionali si corre il rischio di inanellare un gran numero di vittorie di Pirro, utili forse a garantirsi qualche titolo sui giornali ed a far cassa per l’inverno prossimo venturo ma del tutto inutili a garantire un futuro al Paese.
Guido Scorza
Componente del collegio del garante per la protezione dei dati
Media & Regime - 16 Settembre 2015
No alla ‘web tax’, sì alla ‘digital tax’. Parola del premier
Le parole pronunciate, lunedì sera, dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nell’ultimo minuto di “Otto e mezzo”- la trasmissione de La 7, condotta da Lilli Gruber – hanno riacceso il dibattito, ormai antico, sull’opportunità di chiamare i big di Internet a pagare più tasse nel nostro Paese.
Nelle ultime 24 ore, infatti – in rete e fuori dalla rete – si moltiplicano ipotesi, congetture, teorie e pseudo certezze sul significato da attribuire alle parole del capo del Governo e sulle sue reali intenzioni.
Prima di aggiungere altra “carne” su un fuoco già rovente, vale però, la pena di ricordare i fatti per scongiurare il rischio che si finisca con l’attribuire al Governo idee e progetti che, probabilmente, allo stato non esistono o, almeno non sono maturi, alimentando inutile confusione in una materia straordinariamente delicata nella quale, peraltro, il dialogo e la diplomazia internazionale ha – ed è giusto che abbia – un ruolo centrale.
In questa prospettiva val la pena, innanzitutto, ricordare che il premier non si è seduto davanti a Lilli Gruber con l’idea di annunciare la digital tax ma ha semplicemente risposto, in senso affermativo, ad un intervento di Federico Rampini che lo ha invitato a considerare – anche in considerazione del “ruolo” del nostro capo del Governo “a Bruxelles, nel G7 e nel G20” – la necessità di “un’azione concertata contro l’elusione fiscale delle multinazionali” come Apple e Google negli Usa e la Fiat in Italia.
E’ a questo punto – quando mancavano meno di tre minuti alla fine della trasmissione – che Renzi, stralciata la posizione della Fiat, dichiarando che “Sergio Marchionnne meriterebbe un monumento”, ha fatto l’annuncio che ha gettato in fibrillazione il web: “Abbiamo deciso di attendere tutto il primo semestre del 2016 l’Ue, ma da questa legge di stabilità già immaginiamo una digital tax che vada a far pagare le tasse nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi”.
E il presidente del Consiglio ha poi aggiunto altri tre riferimenti da non sottovalutare.
Uno: “Stiamo pensando a meccanismi diversi da quelli ipotizzati in passato”. Due: “non è una manovra che porterà tutti i soldi a cui pensa Rampini o con la quale risollevare le finanze del Paese”. Tre: “non lo facciamo per raccogliere soldi ma per una questione di giustizia sociale”.
Sin qui i fatti, ai quali è solo il caso di aggiungere che il tutto si è esaurito in 58 secondi netti, neppure un minuto. Guai, naturalmente, a svilire la portata di annuncio fatto in diretta TV ma, ad un tempo, attenzione a voler tradurre, ad ogni costo, una manciata di parole, in un disegno di legge di Governo. A voler, comunque, seguire l’onda lunga dei tanti che hanno ritenuto di leggere dietro alle parole del premier più di quanto abbia detto, c’è comunque una certezza ed alcune forti probabilità che vanno tenute in considerazione.
La certezza è che il governo non sembra avere alcun ripensamento sul “no”, secco, annunciato, via Twitter, dallo stesso premier, nel febbraio del 2014, alla c.d. “web tax” di Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera dei deputati.
A parte i macroscopici limiti tecnici della proposta di legge all’epoca bocciata da Palazzo Chigi, l’idea di un ripescaggio è evidentemente esclusa dalla circostanza che Renzi abbia avvertito l’esigenza di precisare che si pensa “a meccanismi diversi da quelli ipotizzati in passato”. Qualsiasi cosa sia – anche ammesso che abbia già dei contorni delineati e non si sia trattato “solo” dell’esternazione di una riflessione non ancora matura – quindi la “digital tax”, non sarà una riedizione della “web tax”.
Ma, a ben vedere – e se si vuole stare ai fatti e non correre più avanti delle parole nel grigio delle ipotesi e dei retro-pensieri – non c’è nessuna ragione neppure per ipotizzare che il Governo stia pensando di adottare il disegno di legge, già depositato alla Camera dei deputati, che ha come primi firmatari Stefano Quintarelli e Giulio Cesare Sottanelli, entrambi di Scelta civica, il cui testo – anticipato dai giornali – non è ancora disponibile sul sito della Camera.
Renzi infatti, ci ha tenuto a sottolineare che non si tratta di un’iniziativa che consentirà di incassare tanti soldi, ispirata più da ragioni di giustizia sociale che economica, mentre il disegno di legge in questione, ipotizzando un prelievo alla fonte – ovvero al momento del pagamento del corrispettivo del prodotto o servizio acquistato online – del 25%, sembrerebbe un’iniziativa che, a prescindere dalla sua sostenibilità sul piano della disciplina fiscale internazionale, farebbe affluire nelle casse dello Stato parecchio denaro.
E allora? Cosa hanno in mente a Palazzo Chigi? Difficile a dirsi, ammesso che sia necessario provare ad indovinare ciò che il capo del Governo non ha detto e, magari, neppure ha già pensato.
E’ però ipotizzabile – e si tratterebbe di una mossa politicamente astuta e difficilmente contestabile – che Renzi stia “semplicemente” meditando sull’ipotesi di assumere la leadership dei paesi che, nei prossimi mesi, si ritroveranno, necessariamente a dover ragionare su come dare attuazione alle linee guida, che l’Ocse sta per definire – ma che a Palazzo Chigi sono certamente già note – proprio in materia di disciplina della tassazione delle transazioni online. Le linee guida dell’Ocse, d’altra parte, rappresentano l’ineludibile perimetro nel quale dovrà collocarsi qualsiasi iniziativa in materia.
Se fosse così – e si tratterebbe di uno scenario confortante – come suggeriva ieri, in un tweet, Sergio Boccadutri, responsabile dell’area innovazione del Pd, più che di una vera e propria “digital tax”, si tratterebbe di un’iniziativa di contrasto all’elusione fiscale da parte dei giganti – e non solo – del web.
E’ difficile – per non dire impossibile – allo stato trarre conclusioni sicure sulle intenzioni del Governo, dalle poche parole pronunciate dal premier, mentre – ora che è noto, almeno, che il tema è nell’agenda prossima ventura di Palazzo Chigi – il momento è propizio per avanzare qualche auspicio.
Il primo è che, pur mossi da sacrosanti intenti di giustizia sociale, non ci si lasci prendere la mano, dimenticando che la prima vera scommessa di un Paese che voglia giocare e vincere la sua partita con il futuro, non è quella di far pagare più tasse a Apple, Google, Facebook e agli altri ma riuscire a creare le condizioni perché i colossi del web di oggi e, soprattutto, quelli di domani, scelgano, con convinzione, di mettere solide radici nel nostro Paese, investendo e creandovi posti di lavoro. La migliore delle tassazioni possibili – pure necessaria proprio per quelle ragioni di giustizia sociale ricordate dal premier – in questa prospettiva, non risolverebbe il problema.
Il secondo è che benché “digital tax” faccia rima con “Google tax”, mettere mano alla disciplina della materia, significa inesorabilmente assoggettare alle stesse regole piccoli e grandi imprese del digitale, quando vendono servizi e prodotti online in Italia e quando li esportano all’estero. Guai a dimenticarsene perché si rischia di veder uscire dalla porta ciò che si è fatto entrare dalla finestra.
Il terzo è che – ci piaccia o non ci piaccia e benché, inesorabilmente, renda tutto più lento e complicato – il mercato globale ha bisogno di regole sovrannazionali. Senza concertazione, diplomazia ed accordi internazionali si corre il rischio di inanellare un gran numero di vittorie di Pirro, utili forse a garantirsi qualche titolo sui giornali ed a far cassa per l’inverno prossimo venturo ma del tutto inutili a garantire un futuro al Paese.
RIVOLUZIONE YOUTUBER
di Andrea Amato e Matteo Maffucci 14€ AcquistaArticolo Precedente
TV, nella nuova stagione il pubblico non si muove. Novità solo dal telecomando
Articolo Successivo
Agcom, Posteraro su regolamento antipirateria: “E’ efficace. E i costi non gravano sullo Stato”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Trump: “Credo a Putin, più difficile trattare con l’Ucraina”. Media: “Mosca pronta a parlare di tregua”. Kiev: “Proposta Meloni ci interessa”
Politica
“Migranti bloccati sulla Diciotti, il governo risarcisca”. Salvini: “Cassazione vergognosa, li accolgano loro”. Anche Meloni attacca. La Corte: “Insulti inaccettabili”
Giustizia & Impunità
Femminicidio come aggravante punibile con l’ergastolo, il disegno di legge del governo Meloni
Roma, 7 mar (Adnkronos) - La riforma dei criteri di acceso alla facoltà di medicina, la commemorazione di Fulco Pratesi e la mozione di sfiducia al ministro della Giustizia Carlo Nordio sono alcuni dei temi al centro dei lavori parlamentari della prossima settimana.
Alla Camera si riprende lunedì 10 marzo, alle 13, con la discussione generale sul Ddl Giubileo, già approvato dal Senato; l'esame delle mozioni sull'uso delle Pfas e sulla reintroduzione del 'bonus Renzi' e quella sulla Convenzione sugli ausili marittimi (approvata dal Senato). Da martedì all'Odg dell'aula c'è, nel pomeriggio, l'esame della delega al governo sulla revisione delle modalità di accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, odontoiatria e veterinaria già approvata dal Senato. Mercoledì, dalle 9,30, la Camera deve esaminare la relazione della Giunta delle elezioni sull’elezione contestata della deputata Anna Laura Orrico (M5s) in Calabria. Poi, alle 16,15, è in programma la commemorazione di Fulco Pratesi.
Tra gli altri argomenti in calendario nella settimana ci sono anche le mozioni sul caro energia; la Pdl sulle intercettazioni già approvata in Senato previo esame e voto delle pregiudiziali di costituzionalità e di merito e la sfiducia al ministro della Giustizia Carlo Nordio presentata dalle opposizioni. Al Senato si riprende martedì alle 17 con il Ddl sulle spoglie delle vittime di omicidio e, a seguire, con il Ddl sulla responsabilità dei componenti del collegio sindacale, già approvato dalla Camera, e il Ddl sulle prestazioni sanitarie. Confermati i tradizionali appuntamenti, sia alla Camera che al Senato, con il Question time e gli atti di sindacato ispettivo.
Roma, 7 mar. (Adnkronos Salute) - "Nders Odv nasce con l'intento di dare un luogo sicuro a persone che hanno avuto esperienze di pre-morte, dove potersi raccontare e confrontare con chi ha avuto lo stesso tipo di esperienza in un ambiente sicuro e non giudicante. La maggiore criticità è che chi l'ha vissuta ha problemi, viene rifiutato dalla società. Non se ne può parlare. La morte è un tabù e l'esperienza di pre-morte è un tabù del tabù". Lo ha detto Davide De Alexandris, fondatore e presidente Nders Odv, in occasione del convegno 'Le esperienze di pre-morte (Nde). Fenomenologia e cambiamenti', che si è tenuto oggi a Roma presso il Centro Studi Americani.
"Sicuramente questo tabù è meno forte rispetto anni fa - prosegue De Alexandris - però il problema esiste. Nelle librerie, ad esempio, testi sulle esperienze di pre-morte sono al fianco a pubblicazioni su alieni e scie chimiche. Noi vorremmo che le esperienze di pre-morte fossero studiate e ci fosse un approccio scientifico orientato alla cura della persona".
Roma, 7 mar. (Adnkronos Salute) - "Oggi cerchiamo di trovare risposte scientifiche alle esperienze di pre-morte grazie a un gruppo multidisciplinare con fisici, medici e tutti quelli che possono dare una credibilità a questi fenomeni. Negli ultimi 10 anni 40mila persone hanno dichiarato di aver vissuto esperienze di pre-morte e la scienza deve fare la sua parte per dare concretezza a questi fenomeni, capirli e conoscerli. E' un obiettivo arduo, ma ci riusciremo". Lo ha detto Francesco Sepioni, medico di emergenza-urgenza della Asl Umbria 1 e autore del libro 'Al Confine con l'Aldilà', che ha moderato il convegno 'Le esperienze di pre-morte (Nde). Fenomenologia e cambiamenti'.
L'incontro, che si è tenuto a Roma presso il Centro Studi Americani, ha voluto affrontare un tema complesso e affascinante come quello delle esperienze di pre-morte (Near-death experiences, Nde), delle esperienze extracorporee (Out-of-Body experiences, Obe), non tralasciando la fenomenologia e i cambiamenti del soggetto successivamente all'esperienza in oggetto. Fenomeni che, pur essendo stati documentati in varie culture ed epoche storiche, continuano a suscitare grande interesse sia nel mondo scientifico che in quello religioso.
"Ci sono 3 casi documentati e comprovati a livello scientifico - spiega Sepioni - Uno, risalente al 2011, ha avuto come protagonista una persona intubata, priva di attività cardiaca e respiratoria, che incredibilmente ha visto e sentito la propria rianimazione. La persona, dopo essersi ripresa, ha raccontato le parole dei medici che lo rianimavano e ha perfino indicato dove era stata messa la protesi dentaria che un'infermiera aveva rimosso dalla sua bocca".
Roma, 7 mar (Adnkronos) - "È da leggere l"ordinanza n. 5992 depositata ieri dalle Sezioni Unite della Cassazione Civile. La restrizione della libertà personale avvenuta per giorni nell'agosto 2018 ai danni di 190 migranti che si trovavano a bordo della Nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, per quanto possa non portare a una condanna penale, senz'altro rappresenta un illecito civile, avvenuto per colpa principalmente dell'allora ministro degli interni e vicepremier Matteo Salvini, urlatore ai quattro venti dello slogan dei "porti chiusi", portato avanti a spese dei diritti umani". Lo dice il senatore del Pd Dario Parrini.
"È per colpa delle scelte arbitrarie e disumane di Salvini che lo Stato deve pagare dei risarcimenti alle persone che hanno subito un danno. Eviti quindi Salvini, per il bene suo e nostro, di fare commenti-boomerang. E non sfugga alle sue responsabilità -prosegue Parrini-. E la Presidente del Consiglio impari a non calpestare una regola basilare della democrazia costituzionale: quella secondo la quale il potere esecutivo deve rispettare le sentenze del potere giudiziario, non attaccarle. Se non lo fa, commette un'indecenza".
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - A1 Charge, leader nella progettazione, produzione, installazione e assistenza per le infrastrutture di ricarica elettrica, presenta a Key Energy Expo 2025 una gamma di soluzioni all’avanguardia per la mobilità sostenibile, dalle Wallbox AC fino alle potenti stazioni di ricarica ultra-fast da 400 kW. Tra le novità in esposizione: Wallbox AC 1/3ph, perfette per installazioni domestiche e commerciali; Tower Ac Dc dual 20/30/60 kW, una soluzione flessibile per diverse necessità di ricarica; PoleBox, il rivoluzionario dispositivo di EVywhere, startup di Corporate Hangar del Gruppo Prysmian, che trasforma l’illuminazione pubblica esistente in un’infrastruttura di ricarica intelligente; stazioni di ricarica ultra-fast da 90 kW fino a 400 kW, disponibili sia in versione all-in-one che con dispenser, con accumuli da rinnovabili o dalla rete, con il supporto di StarCharge leader mondiale nel settore degli accumuli.
A1 Charge non si limita alla fornitura di soluzioni di ricarica, ma supporta i clienti con programmi di formazione e teaching per installatori e utenti finali. I sistemi sono connessi via Ocpp e Bus proprietari, permettendo il controllo da remoto e sfruttando le potenzialità dell’IoT per una gestione intelligente ed efficiente. L’impegno di A1 Charge per la sostenibilità si concretizza nell’offerta di servizi di remanufacturing, garantendo riparabilità, rigenero e riutilizzo delle apparecchiature, in linea con i target europei accedendo al futuro passaporto digitale dei prodotti.
A1 Charge è orgogliosa di avere tra i partner della propria Technology Valley un’eccellenza italiana come Barilla Group, con cui condivide valori di qualità, innovazione e sostenibilità. Tutto ciò si sposa con i concetti di Cer Comunità energetica atti a creare e generare opportunità.
Roma, 7 mar (Adnkronos) - "A chi continua a chiedermi come posso esser certo che l’articolo 25 sia stato scritto su misura per Musk la risposta è semplice. Perché lo ha ammesso lui stesso, condividendo questo tweet. Avanti a testa alta per difendere interesse nazionale e dignità del Parlamento. Ddlspazio". Lo scrive sui social il deputato del Pd Andrea Casu rilanciando un tweet di Elon Musk.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - "Triste se il Governo discute come al ‘bar’ della giurisdizione e usa quei toni per attaccare i giudici e la divisione dei poteri. Capiamo le ragioni che hanno spinto la rima presidente Margherita Cassano a difendere la dignità di un potere dello Stato. Meloni e soci abbassino i toni”. Lo afferma la capogruppo di Avs alla Camera Luana Zanella.