Questa volta niente citazioni, niente aforismi, niente lezioni. Chissà a che santo si sarebbe potuto votare, e che ridere: magari avrebbe ricordato Depretis o Francesco Crispi oppure avrebbe ripescato Fregoli o almeno Arturo Brachetti. O ancora avrebbe potuto azzardare e buttare lì la Metamorfosi o la Trasfigurazione dei vangeli. Invece, questa volta, il senatore Vincenzo D’Anna, tra i più eruditi e dotati di humour che si possano ascoltare a Palazzo Madama, non ha estratto volumi né ha fissato segnalibri. Potrebbe vincere il campionato d’Europa di citazioni, invece il suo cambio di scena nel giro di un anno e due mesi sulle riforme istituzionali l’ha spiegato al FattoTv in modo quasi banale: “Era ed è una fetenzìa. Una pessima legge; una riforma che metterà nelle mani di due, tre capibastione la vita del Parlamento e tutto il potere. Ma siccome Renzi va nella direzione di riforme di stampo liberale, siamo ben lieti che venga sul nostro versante. E allora potremmo, qualora ce ne fosse bisogno, sostenere il governo”.
Video e intervista di Manolo Lanaro
Eppure nei 19 minuti e 50 secondi con cui, nel luglio 2014, illustrò quanto la riforma del Senato fosse “liberticida” e rischiasse “di consegnare alla sinistra” tutte le istituzioni dalla prima all’ultima, mise a segno una specie di primato: citò – in ordine sparso – Karl Popper, Tommaso Moro, John Locke, Thomas Mann, San Tommaso Aquino (“il più noto tra i miei conterranei casertani”), Ernesto Rossi, Erasmo da Rotterdam (“Evviva Dio che esiste l’Elogio della pazzia!”), Luigi Pirandello e Eduardo De Filippo.
Faceva ostruzionismo contro quella riforma liberticida, lui che invece è liberale. “Non difendiamo i nostri augusti deretani – volle mettere a verbale – ma il diritto degli italiani a eleggersi i propri rappresentanti”. Anzi “se Berlusconi avesse fatto questo, molti di questi sofferenti sarebbero qui con le mutande arancioni a protestare”. Per battersi contro la trasformazione del Senato aveva fatto di tutto. Dal suo seggio, lassù, alle ultime file, aveva chiesto la parola per l’ennesima volta per rallentare il dibattito: “Cambiamento non è sinonimo di miglioramento e chi dissente non è folle”. Di più: “Un liberale è al tempo stesso conservatore quando si tratta di conservare la libertà minacciata ed è questo il caso di un progetto di riforma che priva gli italiani del diritto e della libertà di poter scegliere i propri parlamentari, e radicale ogni qual volta si devono conquistare ulteriori spazi di libertà per il cittadino”. E via di Moro, Locke, eccetera. La riforma del Senato, insisteva, era “un attentato alla democrazia che instaurerebbe un regime“.
Si trattava, per D’Anna, di una battaglia campale tanto che era arrivato a sacrificarsi perfino al cospetto del capo: si era preso in faccia un vaffa tondo tondo da Silvio Berlusconi, una specie di lettera scarlatta che in Forza Italia – ai tempi – poteva marchiare a vita. Faceva caldissimo e lui era al fianco di Minzolini e Bonfrisco contro il Patto del Nazareno. L’ex presidente li voleva convincere che l’intesa per le riforme era una cosa giusta, che serviva al partito, al Paese o forse più semplicemente a lui in persona. E loro niente, e lui che minacciava i probiviri (figurarsi, il partito non li ha nemmeno mai nominati). Lo humour di D’Anna si trasformò così in sarcasmo e nella sala di San Lorenzo in Lucina osò: “Presidente, allora che fai, ci cacci?”. A Berlusconi si può dire tutto, ma quello no: non ci vide più e, invece di tirargli una sedia, mandò D’Anna a quel paese.
Dentro Forza Italia, ma liberale e liberissimo. Sempre pronto a organizzare e pattuglie di parlamentari, consiglieri e collettori di voti a sostegno – alternativamente – del bene del Paese, della Regione Campania, delle riforme, del progresso, della stabilità, della pace nel mondo. Lo fece per Berlusconi: nell’accozzaglia dei Responsabili di Scilipoti, Razzi, Caleari e Cesario, lui era della partita. Lo fece contro Berlusconi: fu uno degli spinterogeni di Forza Campania, la repubblica autonoma berlusconiana che da quelle parti Nicola Cosentino, Nick o’ Americano, istituì per fare la guerra a Stefano Caldoro. Lo fece, infatti, anche contro Caldoro: pochi mesi fa fu lui a fondare una lista civica, Campania in rete, a sostegno di Vincenzo De Luca. “Mi arrabbio se dite che la nostra lista è cosentiniana? Sì, perché i nostri 35mila voti sono tutti sudati, uno a uno e Cosentino, al quale sono sempre legato da un forte rapporto umano, è politicamente finito”. Di quei 35mila, 12mila voti sono arrivati dalla provincia di Caserta.
D’Anna, 64 anni, biologo di Santa Maria a Vico, presidente della Federazione nazionale dei laboratori d’analisi, è un ex democristiano. Al suo paese ha fatto anche il sindaco. Per cinque anni ha fatto il deputato, dal 2013 è senatore. Insultatore ma con stile, la Cirinnà del Pd lo mandò a spigare e lui protestò perché rivendicava i diritti. Ha il coraggio di sfidare la presidenza, spesso, lasciandosi andare a quelle che lui, retore professionista, forse chiamerebbe lepidezze, ma anche a parole che non si potrebbe, “perché non consone a quest’Aula e al ruolo” come borbottano sempre dal banco del presidente Grasso o la Lanzillotta o la Fedeli. E’ rimasto nella storia, minuscola certo, quel teatrino del 7 agosto 2014, alla vigilia della prima approvazione delle riforme al Senato: nessuno riuscì a contare esattamente quante volte gridò “deficiente” al collega Lello Ciampolillo dei Cinque Stelle (c’è chi dice tra 10 e 15). E quando Ciampolillo chiese a Grasso di metterlo a verbale e questi cercava di dissuaderlo perché qualcuno avrebbe voluto sottoscrivere, D’Anna non ci pensò più di un secondo: si alzò e non si trattenne, “confermo e sottoscrivo” esclamò al microfono (boato da stadio in Aula).
Di Cosentino è amico. Non perde occasione per ricordare la “vergogna” della custodia cautelare a cui è sottoposto l’ex sottosegretario all’Economia perché accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, in carcere in attesa di giudizio perché ritenuto corresponsabile di una serie di ipotesi di reato contestate al clan dei Casalesi. E fu su Cosentino, forse, che si spense la passione di D’Anna per Berlusconi. Naturalmente anche in quel caso aveva pronto un aforisma (di Platone): “Nel Giardino dei Pensieri la riconoscenza è la prima ad appassire”. (Per la cronaca la colpa di Berlusconi, secondo D’Anna, era stata non dire “una parola sul calvario del carcere preventivo” eccetera). Per un certo periodo è stato considerato fittiano, ma non è andato con i Conservatori e riformisti dell’ex ministro pugliese. Alla fine ha scelto l’intuizione di Denis Verdini che va sotto il nome di Ala, un’altra sigla improbabile che corrisponde a Alleanza Liberalpopolare Autonomie, dopo essere stato l’anima del mitologico gruppo Gal, Grandi autonomie e libertà, che mette insieme una serie composita di pentiti (ex montiani, ex casiniani, ex alfaniani, ex ministri dell’Economia, perfino ex grillini).
Cosentino e Verdini avevano negato, giurato e spergiurato. Ilfattoquotidiano.it aveva raccontato dell’incontro al bar tra l’ex sottosegretario Nick e l’ex editore-banchiere Denis, pochi giorni dopo la nascita del governo Renzi. Obiettivo: costruire una stampella per il presidente del Consiglio. Tutti si stracciarono le vesti. Cosentino se la prese direttamente con il giornalista del Fatto Fabrizio D’Esposito, Verdini ironizzò sugli “Sherlock Holmes” e i “pistaroli” che delineavano “fantomatici scenari”. Ora, per una strana congiunzione astrale, a salvare Renzi potrebbe essere proprio una pattuglia formata da verdiniani e cosentiniani, di cui D’Anna è la sintesi perfetta.
In quei giorni, mentre Verdini e Cosentino smentivano sdegnati, D’Anna la pensava allo stesso modo. Il suo obiettivo era “salvare Berlusconi dai nazareni”, anche se il vero problema – spiegava – era “salvarlo dai suoi zelatori”, cerchio magico e compagnia. Erano i giorni dell’elezione di Mattarella al Quirinale, la pistola fumante – secondo chi a destra avversava il patto del Nazareno – del fatto che l’accordo sulle riforme fosse una fregatura, altro che la “profonda sintonia”. “Si è dimostrato essere la metodica e costante arrendevolezza di Forza Italia alle tesi e agli interessi di Matteo Renzi”.
Ma con la primavera è sbocciato l’amore e con l’estate la passione: “Che bella intervista” ha commentato estasiato il senatore casertano dopo che Renzi parlò a Cazzullo sul Corriere. Bene le riforme, bene sulla scuola, bene sul lavoro. Così ora il senatore D’Anna tiene il telefono vicino, metti che squilla: “Auspichiamo un processo di avvicinamento di Renzi al centro: se fosse così appoggiando la maggioranza saremmo pronti e anche ad entrare nel governo”.
Politica
Riforme, la metamorfosi di D’Anna: il cosentiniano delle barricate contro la “legge liberticida” (che ora vota)
Erudito e dotato di humour, recordman di citazioni, insultatore con stile, prima vicino a Nick o' Americano e ora a Verdini, il senatore casertano fa parte della pattuglia che potrebbe blindare la legge sul nuovo Senato. Che lui ha avversato fino allo scontro frontale con B (che per questo lo mandò a quel Paese)
Questa volta niente citazioni, niente aforismi, niente lezioni. Chissà a che santo si sarebbe potuto votare, e che ridere: magari avrebbe ricordato Depretis o Francesco Crispi oppure avrebbe ripescato Fregoli o almeno Arturo Brachetti. O ancora avrebbe potuto azzardare e buttare lì la Metamorfosi o la Trasfigurazione dei vangeli. Invece, questa volta, il senatore Vincenzo D’Anna, tra i più eruditi e dotati di humour che si possano ascoltare a Palazzo Madama, non ha estratto volumi né ha fissato segnalibri. Potrebbe vincere il campionato d’Europa di citazioni, invece il suo cambio di scena nel giro di un anno e due mesi sulle riforme istituzionali l’ha spiegato al FattoTv in modo quasi banale: “Era ed è una fetenzìa. Una pessima legge; una riforma che metterà nelle mani di due, tre capibastione la vita del Parlamento e tutto il potere. Ma siccome Renzi va nella direzione di riforme di stampo liberale, siamo ben lieti che venga sul nostro versante. E allora potremmo, qualora ce ne fosse bisogno, sostenere il governo”.
Faceva ostruzionismo contro quella riforma liberticida, lui che invece è liberale. “Non difendiamo i nostri augusti deretani – volle mettere a verbale – ma il diritto degli italiani a eleggersi i propri rappresentanti”. Anzi “se Berlusconi avesse fatto questo, molti di questi sofferenti sarebbero qui con le mutande arancioni a protestare”. Per battersi contro la trasformazione del Senato aveva fatto di tutto. Dal suo seggio, lassù, alle ultime file, aveva chiesto la parola per l’ennesima volta per rallentare il dibattito: “Cambiamento non è sinonimo di miglioramento e chi dissente non è folle”. Di più: “Un liberale è al tempo stesso conservatore quando si tratta di conservare la libertà minacciata ed è questo il caso di un progetto di riforma che priva gli italiani del diritto e della libertà di poter scegliere i propri parlamentari, e radicale ogni qual volta si devono conquistare ulteriori spazi di libertà per il cittadino”. E via di Moro, Locke, eccetera. La riforma del Senato, insisteva, era “un attentato alla democrazia che instaurerebbe un regime“.
Si trattava, per D’Anna, di una battaglia campale tanto che era arrivato a sacrificarsi perfino al cospetto del capo: si era preso in faccia un vaffa tondo tondo da Silvio Berlusconi, una specie di lettera scarlatta che in Forza Italia – ai tempi – poteva marchiare a vita. Faceva caldissimo e lui era al fianco di Minzolini e Bonfrisco contro il Patto del Nazareno. L’ex presidente li voleva convincere che l’intesa per le riforme era una cosa giusta, che serviva al partito, al Paese o forse più semplicemente a lui in persona. E loro niente, e lui che minacciava i probiviri (figurarsi, il partito non li ha nemmeno mai nominati). Lo humour di D’Anna si trasformò così in sarcasmo e nella sala di San Lorenzo in Lucina osò: “Presidente, allora che fai, ci cacci?”. A Berlusconi si può dire tutto, ma quello no: non ci vide più e, invece di tirargli una sedia, mandò D’Anna a quel paese.
D’Anna, 64 anni, biologo di Santa Maria a Vico, presidente della Federazione nazionale dei laboratori d’analisi, è un ex democristiano. Al suo paese ha fatto anche il sindaco. Per cinque anni ha fatto il deputato, dal 2013 è senatore. Insultatore ma con stile, la Cirinnà del Pd lo mandò a spigare e lui protestò perché rivendicava i diritti. Ha il coraggio di sfidare la presidenza, spesso, lasciandosi andare a quelle che lui, retore professionista, forse chiamerebbe lepidezze, ma anche a parole che non si potrebbe, “perché non consone a quest’Aula e al ruolo” come borbottano sempre dal banco del presidente Grasso o la Lanzillotta o la Fedeli. E’ rimasto nella storia, minuscola certo, quel teatrino del 7 agosto 2014, alla vigilia della prima approvazione delle riforme al Senato: nessuno riuscì a contare esattamente quante volte gridò “deficiente” al collega Lello Ciampolillo dei Cinque Stelle (c’è chi dice tra 10 e 15). E quando Ciampolillo chiese a Grasso di metterlo a verbale e questi cercava di dissuaderlo perché qualcuno avrebbe voluto sottoscrivere, D’Anna non ci pensò più di un secondo: si alzò e non si trattenne, “confermo e sottoscrivo” esclamò al microfono (boato da stadio in Aula).
Cosentino e Verdini avevano negato, giurato e spergiurato. Ilfattoquotidiano.it aveva raccontato dell’incontro al bar tra l’ex sottosegretario Nick e l’ex editore-banchiere Denis, pochi giorni dopo la nascita del governo Renzi. Obiettivo: costruire una stampella per il presidente del Consiglio. Tutti si stracciarono le vesti. Cosentino se la prese direttamente con il giornalista del Fatto Fabrizio D’Esposito, Verdini ironizzò sugli “Sherlock Holmes” e i “pistaroli” che delineavano “fantomatici scenari”. Ora, per una strana congiunzione astrale, a salvare Renzi potrebbe essere proprio una pattuglia formata da verdiniani e cosentiniani, di cui D’Anna è la sintesi perfetta.
Ma con la primavera è sbocciato l’amore e con l’estate la passione: “Che bella intervista” ha commentato estasiato il senatore casertano dopo che Renzi parlò a Cazzullo sul Corriere. Bene le riforme, bene sulla scuola, bene sul lavoro. Così ora il senatore D’Anna tiene il telefono vicino, metti che squilla: “Auspichiamo un processo di avvicinamento di Renzi al centro: se fosse così appoggiando la maggioranza saremmo pronti e anche ad entrare nel governo”.
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Ora anche la Germania chiede meno vincoli sui conti: la linea del rigore si sgretola per le armi
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Le violenze e le discriminazioni violano la dignità personale, creano un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo e generano malessere nelle persone che le subiscono. “In questi casi, la prima cosa da fare è segnalare e denunciare alla Consigliera di Parità per ricevere supporto e assistenza. È fondamentale non rimanere in silenzio. Ogni voce conta e può portare ad un cambiamento - sottolinea Antonella Pappadà, consigliera di Parità effettiva della Provincia di Lecce - . Questo incontro offre un’occasione per riflettere e ricordare a noi stesse quanto sia importante valorizzare il nostro talento e le nostre competenze e imparare a non farci sopraffare sia nelle relazioni personali sia nei luoghi di lavoro. La figura istituzionale della Consigliera di Parità della Provincia di Lecce è preposta a contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere e non solo, a dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori che ne siano stati vittime sul luogo di lavoro, supportandoli gratuitamente in via stragiudiziale e giudiziale”.
“La violenza contro le donne e i femminicidi rappresentano ferite profonde nella nostra società, ma oggi dobbiamo esprimere la nostra determinazione nel combattere questi problemi - aggiunge Donatella Bertolone, vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici Fipe/Confcommercio - È incoraggiante vedere sempre più donne unirsi per reclamare il diritto alla sicurezza e al rispetto. Le donne non sono solo vittime, ma anche attrici fondamentali nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria. Campagne come #SicurezzaVera ci mostrano che possiamo fare la differenza, sensibilizzando e coinvolgendo la società su questi temi cruciali. È essenziale lavorare insieme per sfatare l’idea che i luoghi di intrattenimento siano associati alla violenza. Dobbiamo trasformare questi spazi in ambienti sicuri e accoglienti, dove ogni persona, in particolare le donne, possa sentirsi protetta e rispettata”.
I dati raccolti dal Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce parlano chiaro: nel 2024 hanno chiesto aiuto 174 donne. La fascia d’età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni (32%), seguita da quella tra i 40 e i 49 anni (23%). La violenza non ha un unico volto: il 44% ha subito violenza fisica, il 45% psicologica, mentre il 2% ha denunciato violenze sessuali e il 4% atti di stalking. Colpisce il fatto che, nonostante il dolore e la sofferenza, solo il 34% delle donne abbia trovato la forza di sporgere denuncia. Il restante 66% ha scelto di non farlo, per paura di ritorsioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
"Uscire da una relazione maltrattante non è mai semplice per una donna, soprattutto quando l’uomo che esercita violenza è il compagno, il marito o il padre dei suoi figli, dichiara Maria Luisa Toto - Presidente Associazione Donne Insieme che gestisce il Centro Antiviolenza Renata Fonte. Ogni donna ha i suoi tempi, perché la paura, la vergogna e il senso di colpa possono trasformarsi in una prigione invisibile, fatta di solitudine e isolamento. Questi numeri ci dicono che la violenza di genere è una piaga radicata nella nostra società. Non è solo un fenomeno privato, ma una delle più gravi violazioni dei diritti umani. Per questo è essenziale che le donne non si sentano sole. Devono sapere che c’è una rete di supporto pronta ad aiutarle".
Una rete di supporto alimentata anche da momenti di spettacolo che portano in scena – come nel caso di “Eva non è ancora nata” di e con Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale - la realtà delle donne che vengono analizzate sotto l’aspetto umano, per una riflessione profonda sul loro ruolo nella società di oggi. A ricordare le vittime di femminicidio e di violenza di genere, da venerdì 7 marzo ci sarà a Lecce anche una nuova panchina rossa, installata a Palazzo dei Celestini su iniziativa della Commissione Pari Opportunità della Provincia. Una mobilitazione importante quella della città che ha coinvolto anche la U.S. Lecce, che ha voluto essere presente all’evento di Codere inviando un videomessaggio di Federico Baschirotto. Il capitano dei giallorossi salentini ha ribadito l’importanza del contrasto a qualsiasi forma di violenza sulle donne e della promozione della cultura del rispetto e della consapevolezza: temi anche della campagna “Un Rosso alla Violenza” della Lega Serie A che servono a tenere sempre alta l’attenzione.
“Quando 'Innamòrati di Te' ha mosso i suoi primi passi non mi aspettavo che sarebbe diventato un laboratorio così importante, un momento di confronto trasversale e costruttivo. In dieci anni abbiamo attraversato l’Italia più volte e abbiamo avuto l’opportunità di conoscere persone fantastiche che si impegnano per il bene comune, in particolare quello delle donne. Confesso di essere davvero emozionata nel vedere anche Lecce tra le Città delle Donne e ringrazio Adriana Poli Bortone per aver immediatamente colto lo spunto che, in qualità di Ambassador de Gli Stati Generali delle Donne, ho offerto - commenta Imma Romano Direttrice Relazioni Istituzionali di Codere Italia - . Anche questa volta siamo riuscite a trattare il tema della violenza di genere con chi questo tema lo conosce e lo combatte quotidianamente, provando a dare informazioni ed indicazioni molto concrete sugli strumenti esistenti e sulle opportunità che il mondo istituzionale e quello del terziario sociale mettono a disposizione. L’impegno di Codere resta un impegno concreto sia in termini di divulgazione che di supporto. Con gioia sosteniamo l’Associazione Donne Insieme che opera proprio su questo territorio”. Dopo Lecce, il progetto itinerante 'Innamòrati di Te' farà tappa il 24 giugno a Rivoli, alle porte di Torino, per un altro appuntamento gratuito e aperto al pubblico.
(Adnkronos) - Il Comune di Milano, alla luce delle indagini che recentemente hanno riguardato l’urbanistica, ricorda di aver già messo in atto diverse misure. Ad esempio con apposita delibera di Giunta, datata febbraio 2024, lo Sportello unico per l'edilizia (Sue) si è adeguato alle interpretazioni del gip in tema di pianificazione attuativa e ristrutturazione edilizia e lo scorso settembre è stato modificato il regolamento della Commissione per il paesaggio, "rafforzando ulteriormente il principio di trasparenza che lo guida e prevedendo che almeno 8 componenti su 15, compreso il presidente, per l’intera durata dell’incarico non svolgano attività di libera professione nel territorio comunale".
Lo scorso novembre sono state introdotte regole "molto restrittive" sui contatti tra funzionari dello Sportello unico per l'edilizia e gli utenti privati. E' invece datato primo marzo 2025 l’avvicendamento di alcuni dirigenti, mentre nel maggio 2023 il Consiglio comunale ha approvato la delibera di Giunta relativa all’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e a novembre 2024 sono stati aggiornati anche i criteri di monetizzazione dello standard.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il 63% degli intervistati ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia in crisi, con una percezione più diffusa tra gli uomini (75%) e i tifosi (69%). E' quanto si evince dall'indagine condotta da 'Noto Sondaggi' su 'Gli italiani e il Calcio', un resoconto sul rapporto tra gli italiani e il mondo del calcio e la percezione del suo stato di salute, esplorando l'interesse per lo sport, il rapporto con il calcio, la percezione della salute del calcio, il ripensamento del modello di business e il sostegno pubblico al settore.
La maggioranza assoluta degli intervistati (67%) è tifoso di una squadra di calcio in particolare, con percentuali che superano il 90% tra chi lo pratica come sport e sfiorano l’80% tra gli uomini. È interessante rilevare come perfino una parte, seppur minoritaria, di chi non pratica né segue il calcio dichiari di avere una squadra del cuore. Chi ha seguito il calcio nell’ultimo anno lo ha fatto soprattutto in Tv (62% spesso, 28% qualche volta), mentre solo un appassionato su cinque si è recato allo stadio (34%, di cui 7% spesso). In entrambi i casi, la frequenza con cui si segue il calcio tende ad aumentare tra gli under 55, chi lo pratica come sport e chi è tifoso di una squadra. Coerentemente con la scelta di seguire il calcio in Tv piuttosto che allo stadio, la modalità più frequente per seguire la squadra del cuore è l’abbonamento alla PayTv (40%, con punte del 60% tra chi pratica il calcio), mentre l’11% segue la squadra in trasferta, il 10% ha un abbonamento allo stadio e l’8% dichiara di far parte di una tifoseria.
Una quota prevalente di intervistati (63% del totale) ritiene che il modello di gestione del calcio italiano sia crisi. Una percezione trasversale, ma più diffusa tra gli uomini (75%), i residenti nel Centro Italia (67%) e soprattutto tifosi e appassionati di calcio, ancor più se lo pratica (83%). Il compenso eccessivo di calciatori ed allenatori rappresenta il principale problema del calcio italiano odierno (indicato dal 64% del campione), ma all’interno di uno scenario ben più complesso fatto di tante criticità, tra cui spiccano l’indebitamento troppo elevato delle società (43%) e la scarsa valorizzazione dei settori giovanili (39%). Il 69% ritiene, inoltre, che la gestione economica delle società calcistiche italiane non sia trasparente. Crisi e problematiche spingono la maggioranza degli intervistati a giudicare il modello di gestione del calcio italiano per lo più equiparabile se non inferiore a quello di altri paesi europei (rispettivamente 38% e 32% del campione). Solo una parte minoritaria (appena il 12%) ritiene, inoltre, che il calcio italiano sia in una condizione finanziariamente più solida, mentre sull’effettiva capacità delle società sportive italiane di ripensare il proprio modello di business, adattandolo alle nuove regole Uefa, le opinioni sono discordanti.
La visione degli intervistati sul nuovo modello di business a cui le società calcistiche dovrebbero ispirarsi è ricca di sfumature. Coloro che ritengono che la solidità economica sia la cosa più importante per garantire la competitività sportiva di una squadra prevalgono, ma incalzati da chi ritiene non sia così (rispettivamente 43% e 32% del campione). La maggioranza assoluta ritiene che nel calcio chi ha più soldi abbia più probabilità di vincere (54%), ma non sono pochi coloro che, al contrario, ritengono che il talento vada formato e che, quindi, si dovrebbe investire nella formazione dei talenti anche se questo non garantisce sempre la vittoria (22%). Indipendentemente dai principi ispiratori, il nuovo modello di business delle società calcistiche dovrebbe prioritariamente puntare ad affrontare le tante problematiche del settore,a partire da quelle di natura finanziaria: costo di ingaggi, cartellini e commissioni fuori controllo o con regolamentazione inadeguata (indicato dal 46% del campione), indebitamento eccessivo (38%), investimenti insufficienti dei club nei settori giovanili (31%).
Tre intervistati su quattro (70% del totale, con scostamenti per lo più contenuti in relazione al profilo socio-demografico) sono contrari all’idea che il calcio professionistico in Italia sia finanziato e riceva sostegno pubblico, in quanto le società di calcio di primo livello debbano essere trattate allo stesso modo delle altre imprese. Solo il 18% si dichiara, viceversa, favorevole ad un’ipotesi di un intervento pubblico straordinario, sottolineando le ricadute positive che il calcio ha sulla collettività, mentre il restante 12% non esprime un’opinione in merito.
Le opinioni espresse sul ruolo dello Stato nella gestione finanziaria di impianti e strutture sportive sono più eterogenee. La maggioranza, in particolare giovani e appassionati di calcio, ritiene che lo Stato debba assumersi almeno in parte questa responsabilità. Tuttavia, il consenso varia a seconda dell’ambito di intervento: il 55% degli intervistati ritiene che lo Stato debba farsi in parte o totalmente carico dell’ammodernamento e della manutenzione degli impianti, mentre la stessa percentuale sale 64% con riferimento alla sicurezza dentro e fuori gli stadi.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - Il Consiglio di Presidenza dell’Associazione Nazionale di Settore, che si è riunito oggi, ha approvato all’unanimità l’ammissione a Socio del Gruppo Azimut | Benetti. "Sono stato eletto nel 2019 con il mandato di unificare sotto una forte rappresentanza associativa tutta la filiera del settore" ha sottolineato il presidente di Confindustria Nautica Saverio Cecchi. "Sono orgoglioso, all’approssimarsi del termine del mio mandato, del raggiungimento completo di tale obiettivo con il ritorno in Associazione del Gruppo Azimut | Benetti. e sottolineo con soddisfazione l’adozione all’unanimità della delibera di ammissione da parte degli Organi statutari", ha aggiunto.
"Crediamo fermamente che un'industria nautica più unita sia un'industria più forte, capace di affrontare le sfide globali con maggiore coesione e visione strategica. Lavorare insieme significa non solo consolidare il ruolo dell'Italia come leader mondiale nella nautica, ma anche promuovere innovazione, sostenibilità e crescita per l’intera filiera. La scelta di aderire a Confindustria Nautica è espressione di questo impegno" ha commentato Marco Valle, Amministratore Delegato del Gruppo Azimut | Benetti.
Roma, 5 mar. (Adnkronos) - "Dalla lettura dell’Industrial Action Plan della Commissione Ue per l’automotive emergono ancora di più la necessità e l’urgenza di un nuovo percorso verso la mobilità decarbonizzata che integri il principio della neutralità tecnologica". Ad affermarlo in una nota è Matteo Cimenti presidente di Assogasliquidi-Federchimica in rappresentanza delle filiere dei gas liquefatti (Gpl e Gnl).
"Sono ormai a tutti evidenti – prosegue Cimenti – le difficoltà nel raggiungere gli obiettivi del 2035 e successivi. In questo contesto, la Commissione si è impegnata ad accelerare la revisione del regolamento CO₂ per le auto, che partirà da un’analisi dei dati, di tutti gli sviluppi tecnologici rilevanti e dell’importanza di una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa. Ci aspettiamo quindi che le Istituzioni comunitarie (a cominciare dal Parlamento europeo) rivedano il bando relativo ai motori a combustione interna e riconoscano tutte le tecnologie capaci di contribuire alla decarbonizzazione del trasporto, inclusi i biocarburanti. I prodotti gassosi anche nella loro versione bio e rinnovabile si distinguono come soluzioni concrete e immediate per ridurre le emissioni di CO₂".
Incomprensibile la chiusura sul fronte del trasporto pesante, dove il Gnl e il bioGnl rappresentano già oggi la soluzione più pronta e disponibile. Nel Piano non è prevista alcuna apertura per giungere alla revisione del Regolamento sulle emissioni di CO₂ dei veicoli pesanti: "La nostra richiesta e il nostro auspicio – conclude Cimenti – è che nella fase attuativa del Piano appena presentato, le Istituzioni europee lavorino anche su questo fronte nella direzione auspicata, l'unica in grado di coniugare sviluppo industriale competitivo, raggiungimento degli obiettivi ambientali e attenzione ai consumatori".