“Valuteremo la posizione fiscale dell’Italia in rapporto al Patto di stabilità e crescita in autunno, nella nostra opinione sulla bozza della Legge di bilancio, una volta che l’avremo ricevuta”. La portavoce agli affari economici della Commissione Ue ha così commentato all’Ansa la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza varato dall’esecutivo venerdì sera. La relazione al Parlamento allegata alla Nota (LEGGI QUI IL DOCUMENTO INTEGRALE), in ogni caso, sostiene che la flessibilità concordata con la Ue può assicurare un “tesoretto” di quasi 18 miliardi per il 2016. “L’indebitamento netto potrà aumentare, rispetto al profilo tendenziale, fino ad un importo massimo di 17,9 miliardi nel 2016 (che include, ove riconosciuti in sede europea, i margini di flessibilità correlati all’emergenza immigrazione fino a un importo di 3,3 miliardi), 19,2 miliardi nel 2017, 16,2 miliardi nel 2018 e 13,9 miliardi nel 2019″.
L’aggiornamento del Def calcola la flessibilità guardando alla differenza tra il deficit tendenziale e il programmatico. In pratica i 17,9 miliardi – se riconosciuti da Bruxelles – sarebbero uno spazio di manovra dovuto per 3,3 miliardi all’emergenza immigrati (0,2 punti di Pil), per circa 5,4-5,5 miliardi alla clausola investimenti (che richiedono un cofinanziamento da parte dell’Italia) e per i rimanenti 9,1-9,2 miliardi alla flessibilità per le riforme. Di quest’ultima quota il governo aveva già attenuto la flessibilità per circa 0,4 punti di pil (pari a 7,3 miliardi) e ora chiede di accedere ad una ulteriore flessibilità di 1,7/1,8 miliardi in più. Il governo, con il Def, chiede all’Europa la possibilità di avere un deficit maggiore di quanto programmato non solo per il 2016. Ma anche per gli anni successivi. In particolare lo sforamento potrebbe essere di 1,1 punti di Pil nel 2017 (equivalenti a 19,2 miliardi), 0,9 punti nel 2018 (pari a 16,2 miliardi) e di 0,7 punti nel 2019 (pari a 13,9 miliardi). Il governo ritiene che “una riduzione ancora più corposa del deficit strutturale nel 2017 sarebbe controproducente e che un calo complessivo di 0,7 punti nel biennio 2017-2018 (e di due punti di PIL in termini di disavanzo nominale) costituisca già uno sforzo fiscale straordinario“.
Quanto alle entrate, nel 2015 l’esecutivo si attende di incassare 11,87 miliardi di euro dalla lotta all’evasione. A confronto con le previsioni di cassa assestate 2015 ci sono maggiori entrate per complessivi 2,3 miliardi di euro, si legge nel documento. Il raffronto tra la stima del risultato degli incassi 2015 e le entrate effettivamente incassate registrate a consuntivo 2014 evidenzia d’altro canto, maggiori risorse per 150 milioni di euro. Le entrate in arrivo dalla voluntary disclosure dovrebbero invece essere pari a 671 milioni nel 2015 e 18 milioni nel 2016. Per quanto riguarda invece gli incassi attesi dalle dismissioni pubbliche, nel documento si legge che le operazioni connesse alla vendita delle partecipazioni detenute direttamente dallo Stato relative ad Enav, Poste ed STMicroelectronics, “hanno registrato progressi importanti nell’anno in corso”, mentre il percorso delle Ferrovie dello Stato è ancora “in fase di definizione”. L’attuazione delle operazioni, puntualizza la Nota, “è in ogni caso condizionata alla presenza di condizioni di mercato favorevoli, che permettano di valorizzare al meglio tali asset”. Ciò non impedisce all’esecutivo di fissare degli obiettivi più ambiziosi per i proventi in arrivo dalle privatizzazioni. “Il governo – si legge nel documento – rivede il piano di privatizzazioni già presentato nel Def 2014 prefissandosi obiettivi lievemente più ambiziosi in termini di proventi attesi, pari a circa 0,4 per cento del Pil nel 2015 e 0,5 per cento negli anni 2016-2018”.
Immancabile, poi, il piano di dismissione degli immobili pubblici. “Nell’ambito del processo di alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato, la legge di Stabilità 2015 ha previsto la dismissione degli immobili del ministero della Difesa non più utilizzati per finalità istituzionali, da cui sono attesi introiti almeno pari a 220 milioni nel 2015, 100 milioni nel 2016 e nel 2017″, si legge nella relazione. “Al fine di realizzare tali introiti – spiega il governo – il ministero della Difesa ha messo a disposizione alcuni immobili già valorizzati e disponibili per la vendita. Attualmente sono in corso contatti con gli investitori e, in particolare, con Cassa depositi e prestiti per concludere le operazioni di vendita entro la fine del corrente anno”. L’esecutivo poi ricorda che in attuazione di quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2014 è stata avviata, congiuntamente con l’Agenzia del Demanio, “l’iniziativa Proposta immobili 2015, rivolta ad enti territoriali ed altri soggetti pubblici invitati a manifestare interesse a proporre immobili di proprietà, da valorizzare e alienare. Sono state presentate, da parte degli enti, domande di partecipazione all’iniziativa per un valore complessivo di circa 2,7 miliardi“.
Tra i risparmi, invece, non poteva non esserci il taglio della spesa pubblica finalizzato a contribuire in misura prevalente al finanziamento delle misure a favore dell’occupazione, del Sud, delle imprese e delle famiglie, e dell’azzeramento delle clausole di salvaguardia.”La spesa primaria della Pa in rapporto al Pil è attesa ridursi di circa 3,4 punti percentuali, passando dal 46,6% del Pil nel 2015 al 43,2 per cento del 2019 (43,3 per cento secondo quanto stimato nel Def)”, si legge nella Nota. “In particolare – prosegue il testo – le spese correnti al netto degli interessi registrano una riduzione pari a circa 2,5 punti percentuali di Pil, passando dal 42,6 del 2015 al 40,1 per cento del PIL del 2019, confermando sostanzialmente le previsioni dello scorso aprile”. La spesa per interessi a fine anno è invece prevista a circa 70 miliardi (4,3 per cento del Pil), con un lievissimo aumento rispetto alle stime di primavera (pari allo 0,05 per cento). Rispetto al 2014, tuttavia, le stime prevedono una riduzione di circa 0,4 punti percentuali di Pil complice il calo dei tassi. Nel 2016 tale rapporto rimane stabile, mentre nel 2017 inizia a scendere per collocarsi al 4,0 per cento nel 2019.
E’ in ogni caso sull’ottenimento della flessibilità richiesta a Bruxelles che poggia la maggior parte della manovra per il prossimo anno, che Matteo Renzi ha già quantificato in 27 miliardi di euro. Tanto più che dopo l’abolizione della tassa su prima casa, terreni agricoli e imbullonati, l’esecutivo promette di far continuare il processo di riduzione del carico fiscale nel 2017 con un taglio dell’imposizione sugli utili d’impresa, “onde maggiormente allineare l’Italia con gli standard europei”. Quanto al 2016, il governo conferma i punti di azione sventolati nelle scorse settimane: oltre al funerale della Tasi, misure di “alleviamento della povertà e stimolo all’occupazione, agli investimenti privati, all’innovazione, all’efficienza energetica e alla rivitalizzazione del Sud”. E, va ricordato, lo stop all’entrata in vigore delle clausole di salvaguardia. Il tutto per portare a un calo della pressione fiscale fino al 42,6% nel 2016 e anche di più negli anni a venire, se non scattano i rialzi dell’Iva e se si tiene conto solo del bonus da 80 euro. “Tenendo conto della disattivazione delle clausole di salvaguardia e dell’impatto del provvedimento degli ottanta euro a riduzione dell’Irpef, la pressione fiscale scende, nello scenario tendenziale, da 43,1% nel 2015 a 42,6% nel 2016 con ulteriori riduzioni negli anni successivi”, si legge nel documento. Se venissero attivate le clausole, rialzi Iva e accisa, a causa del mancato conseguimento degli obiettivi di bilancio, “l’evoluzione della pressione fiscale risulterebbe in crescita: dal 43,7 per cento nel 2015 raggiungerebbe il 44,3 per cento nel 2017 per poi attestarsi al 44 per cento nel 2019”.
Ma, sottolinea ancora l’esecutivo, “il governo è impegnato a bloccarne l’attivazione, per evitare che la ripresa economica in atto e il processo di attuazione delle riforme strutturali iniziato vengano frenati da misure restrittive”. E stima un calo del tasso di disoccupazione per quest’anno dal 12,7% del 2014 al 12,2% e per il 2016 all’11,9%. Sempre secondo le stime governative, poi, il tasso scenderà ulteriormente all’11,3% nel 2017, al 10,7% nel 2018 e al 10,2% nel 2019.