Una Citroen Mehari verde smeraldo, tornata sulle strade di Torre Annunziata trent’anni dopo quei dieci colpi di calibro 7 e 65 che inchiodarono al sedile il legittimo proprietario. Era il 23 settembre del 1985 e all’ora di cena i killer inviati da Lorenzo e Angelo Nuvoletta attendevano sotto casa, a Napoli, quartiere Vomero, Giancarlo Siani, 26 anni compiuti da pochi giorni, giornalista praticante appena assunto dal quotidiano Il Mattino. Per inchiodare assassini e mandanti ci vollero dodici anni: era già il 1997 quando la corte d’assise condannò all’ergastolo i fratelli Nuvoletta, Luigi Baccante, Ciro Cappuccio, Armando Del Core e Valentino Gionta. Ed è proprio il boss di Torre Annunziata, l’unico ad essere assolto dopo sue sentenze della Cassazione per il delitto Siani, il principale protagonista delle inchieste del giovane giornalista, assassinato dopo aver firmato una serie di articoli sugli appalti pubblici per la ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto del 1980.
Una delle tante iniziative organizzate nel trentennale dell’omicidio dalla Fondazione Polis della Regione Campania, presieduta dal fratello Paolo Siani, è proprio il ritorno della Mehari verde a Torre Annunziata, la cittadina dove il cronista esordì come corrispondente. Teatro della guerra tra i clan Nuvoletta e Bardellino, è Torre Annunziata che Siani ribattezza Fortàpasc, titolo poi ereditato dal film che il regista Marco Risi dedica al giornalista assassinato 30 anni fa. “Giancà, le notizie sono rottura di cazz“, è una delle frasi che il caporedattore del Mattino rivolge a Siani. Un’esclamazione che troverà compimento in quei dieci colpi di pistola sparati la sera del 23 settembre del 1985, mentre Giancarlo Siani sta parcheggiando la sua Mehari.