Volkswagen rischia fino a 18 miliardi di dollari di multa negli Stati Uniti, il grande mercato dove già è in difficoltà. Per Martin Winterkorn, numero uno del colosso di Wolfsburg destinato a rimanere al timone fino al 2018 dopo aver vinto il “braccio di ferro” con il patriarca Ferdinand Piech, e per Herbert Diess, l’ex top manager Bmw da qualche mese a capo del marchio VW, una grana di proporzioni colossali. Anche perché la notizia dell’inchiesta delle autorità americane dell’Environmental Protection Agency (EPA) si è abbattuta mentre il gruppo esibiva al Salone di Francoforte il suo volto migliore – nuovi modelli e più ecologici – dopo aver chiuso il semestre inaugurale del 2015, per la prima volta nella storia, in testa alla classifica di vendite grazie al sorpasso a spese di Toyota.
Secondo l’Epa, il gruppo aveva impiegato un particolare software che permetteva di ottenere dati in linea con i parametri richiesti per i veicoli a gasolio solo nel corso dei test, mentre nella guida reale le emissioni reali potevano superare fino a 40 volte quelli dichiarati. Poco meno di un anno fa, Hyundai e Kia erano state multate per dati non veritieri con un’ammenda di 100 milioni di dollari: si trattava della più alta sanzione mai comminata per un’infrazione di questo genere. La possibile cifra che Volkwagen rischia di pagare fa impallidire rispetto a quella versata dai coreani.
“Mi rincresce profondamente aver deluso i nostri clienti e l’opinione pubblica”, ha dichiarato Winterkorn. Il caso è stato elevato a “priorità assoluta” dallo stesso numero uno, che potrebbe venire chiamato a rispondere personalmente poiché è stato responsabile del marchio per anni. Oltreoceano è stata già bloccata la vendita di alcuni modelli a gasolio.
A giudizio di Ferdinand Dudenhöffer, studioso ed esperto del ramo automotive, il ruolo di Winterkorn non è sostenibile per il gruppo perché o sapeva della manipolazione oppure i suoi manager gliela tenevano nascosta, due situazioni non compatibili con il suo mandato di CEO. “Nessun politico potrebbe rimanere al suo posto in circostanze come queste”, ha ammonito Dudenhöffer.
Volkswagen ha fatto sapere di collaborare con le autorità: un atteggiamento che solitamente contribuisce almeno a ridurre l’impatto della sanzione. Secondo la normativa americana, inasprita dopo la vicenda che ha riguardato General Motors (che ha appena accettato di pagare una multa di 900 milioni, che molti osservatori ritengono insolitamente bassa), per ogni vettura coinvolta la sanzione può raggiungere i 37.500 dollari.
I modelli per i quali sarebbe stato impiegato il sistema in grado di “taroccare” i dati sarebbero Jetta, Passat, Beetle, Golf e anche Audi A3 (lo riferisce la Sueddeutsche Zeitung) prodotti tra il 2009 ed il 2015 per un totale di 482.000 unità.
Volkswagen ha ammesso la contestazione (“i fatti sono veri”). Si tratterebbe di una violazione del “Clean Air Act”. Cynthia Giles, portavoce dell’EPA, ha già stigmatizzato il comportamento del costruttore tedesco. Parlando del software, ha dichiarato che “impiegare simili metodi per aggirare i parametri sulla protezione ambientale è illegale e significa mettere a rischio la salute pubblica”.
Lo “scandalo Volkswagen” è una delle notizie principali in Germania, dove si aprono nuovi interrogativi. E cioè se il software sia stato sistematicamente impiegato anche altrove e per altri modelli e se in altri paesi verranno svolte verifiche. Una situazione pesante per Volkswagen e, in particolare, per i modelli alimentati a gasolio. Un colpo durissimo all’immagine di efficienza e di credibilità della Germania dell’auto o, almeno, del suo marchio più venduto. Che negli Stati Uniti ha contabilizzato da inizio anno una flessione del 2,8%.
Oltre alla multa, Volkswagen deve dare per scontata anche una causa collettiva (class action) da parte dei consumatori, così come un tracollo in borsa. Lunedì mattina il titolo è scivolato fino a -22% sul listino di Francoforte, per attestarsi poi su -18,60 percento: è il peggior tracollo mai registrato da ottobre 2008.