All’Europa manca una visione comune per la sicurezza delle frontiere esterne: l’area Schengen è “in pericolo”, dicono da Bruxelles. A mettere una toppa alla sua periferia sfilacciata ci pensa il la Commissione Europea. La soluzione, avanzata dalla cancelliera Merkel, è promettere un miliardo di euro alla vicina Turchia, da stanziare fino alla fine del 2016, per convincerla a tenere nei suoi confini due milioni di profughi siriani, e gli altri che arriveranno. Secondo quanto filtra dalla Commissione, pare che circa due terzi di questo miliardo arriveranno da riserve già definite, mentre il resto sarà prelevato dal bilancio comune europeo. Finora la Turchia aveva ricevuto poco meno di 200 milioni di euro. Altre misure umanitarie, infine, verranno adottate per aiutare i milioni di profughi siriani rimasti all’interno del loro Paese.
Una proposta che ripercorre i passi di Cameron, con il miliardo di sterline concesso per Giordania e Libano. Dal canto suo, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dovrà garantire di migliorare le condizioni dei rifugiati presenti sul suo territorio e combattere il traffico di vite umane dal porto di Bodrum: in base a quanto dichiarato da fonti ONU, alcuni rifugiati pagano anche 1.200 dollari per attraversare le 2.5 miglia che separano la Turchia da Kos. Alcuni trafficanti si sarebbero dotati di un profilo Facebook per costruire una sorta di “agenda” con cui comunicare le condizioni del mare prima di affrontare il viaggio verso le coste greche.
Che la Turchia avesse dei problemi nella gestione dei flussi migratori era sotto gli occhi di molti da tempo: una storia cominciata con la guerra a Saddam nel 2003, e che vede ora il paese in sofferenza a causa della mancanza di fondi per l’accoglienza ai rifugiati, in parte sistemati sul cordone di 900km che la separa dalla Siria. Dopo aver aperto le porte a Damasco e aver speso più di 4 miliardi di dollari per la costruzione e il mantenimento dei campi profughi, alla Turchia restano solo 417 milioni di aiuti dalla comunità internazionale. Dei 2 milioni di rifugiati attualmente su territorio turco, solo 300mila si trovano all’interno di campi profughi. Ai confini con la Turchia, in base a quanto riportato da Amnesty International, restano 1,38 milioni di rifugiati respinti dalla polizia di Ankara, vittime di abusi e senza diritti. A volte è la stessa popolazione turca a dimostrarsi ostile all’accoglienza, rendendo l’integrazione una chimera. Solo a settembre dello scorso anno, la Turchia chiuse le porte a 130mila curdi che fuggivano dall’avanzata dell’Isis.
Di quei migranti, Aylan Kurdi, il bambino di 3 anni trovato morto sulle spiagge di Bodrum nel suo viaggio tra la martoriata Kobane e l’isola greca di Kos, è diventato l’emblema. La sua ormai nota e triste storia è arrivata fino ad Ankara, dove il presidente Erdogan ha parlato dell’Europa con toni accesi. Nel discorso pronunciato in vista del prossimo G20, il Mediterraneo diventa la tomba dei rifugiati politici siriani, che tentano la via del mare per sfuggire dagli orrori della guerra. Un’umanità smarrita quella europea, lì dove, non certo solo per il leader dell’AKP, giace la culla di una delle civiltà più antiche della Terra.
Erdogan accusa l’Europa di “insensibilità. L’umanità non dovrà dar conto di questo bimbo di tre anni?”. Perentorio nelle parole e nella mimica, punta il dito contro le politiche europee dell’accoglienza dei migranti: “ad annegare nel mare non sono solo i rifugiati, ma anche la nostra umanità. Ogni singolo rifugiato che è stato oggetto di trattamenti inumani alle frontiere, e che è stato mandato a morte intenzionalmente su barche che affondano, e l’amaro simbolo di questa realtà”. Un discorso che nasconde, dietro l’accusa all’Occidente della cattiva gestione delle crisi in Iraq, Afghanistan e Libia, l’incapacità turca di contenere l’emergenza migratoria dal Medio Oriente e dal Maghreb.
Un dato infatti è ormai certo: la rotta turca è quella ad oggi più battuta per raggiungere l’Europa. Secondo quanto riportato dall’Unhcr, il numero di migranti siriani arrivati sulle coste greche alla fine del luglio di quest’anno si aggira intorno ai 124mila, con un incremento del 750% rispetto allo stesso periodo del 2014. Solo a luglio, si sono registrati 50mila nuovi arrivi, 20mila in più rispetto al mese precedente. Gli approdi principali sono le isole di Lesbo, Chios, Samos e Leros. Un dato confermato anche dalle banche dati di Frontex, poi ripreso da diversi organi di stampa: le violenze in Libia hanno infatti portato i migranti, già prima di giugno di quest’anno, a scegliere la via turca verso Grecia e Romania, bypassando la più ostile Bulgaria. Il numero si attesta a 46mila profughi, quando in tutto il 2014 ne erano arrivati 50mila, contro i 43mila che approdano in Italia direttamente da Libia e Tunisia (170mila l’anno precedente).
Non basta: i siriani sembrano non aver nessuna intenzione di restare in Turchia, anche perché, in base al nuovo piano di Erdogan, la loro nuova “casa” coinciderebbe con la no-fly zone costituita a fine luglio dopo l’accordo con la Nato. La stessa zona cuscinetto interdetta al passaggio di Assad, una terra di nessuno dove i siriani non riceverebbero aiuti. Ad occuparla, ci sarebbero i gruppi dell’opposizione moderata, mentre l’artiglieria turca impedisce ai “foreign fighter” di unirsi alla guerriglia dello Stato Islamico. Una forbice che terrebbe così fuori i terroristi fedeli ad al Baghdadi, senza difendere la popolazione locale.
Bruxelles prova con il suo miliardo di euro a soffocare la voce grossa del presidente Erdogan, che già strizza l’occhio a Vladimir Putin e inaugura con lui una grande moschea a Mosca. La Turchia, in attesa delle nuove elezioni del primo novembre e con la necessità di gestire la crisi con i curdi dopo l’uscita dell’Hdp dal governo, dimostra di voler tenere aperte più strade: il fronte Nato, con le incursioni aeree anti-ISIS iniziate a luglio, che fanno del Pkk l’altro obbiettivo preferito dai raid aerei; e il fronte asiatico, con i negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Una retorica da “partito pigliatutto”, che dimentica dei 150mila bambini profughi, scalzi e affamati per le strade di Istanbul.
Mondo
Migranti, frontiera turca fuori controllo. Ue dà un miliardo ad Ankara per fermare i profughi
Bruxelles è pronta in queste ore a firmare un nuovo accordo con la Ankara: in arrivo i soldi da investire per fermare il flusso di migranti dalla Siria direttamente al confine turco. A Erdogan infatti mancano i fondi per gestire l’emergenza dei 2 milioni di profughi in fuga verso il nord e mai realmente integratisi nel suo Paese
All’Europa manca una visione comune per la sicurezza delle frontiere esterne: l’area Schengen è “in pericolo”, dicono da Bruxelles. A mettere una toppa alla sua periferia sfilacciata ci pensa il la Commissione Europea. La soluzione, avanzata dalla cancelliera Merkel, è promettere un miliardo di euro alla vicina Turchia, da stanziare fino alla fine del 2016, per convincerla a tenere nei suoi confini due milioni di profughi siriani, e gli altri che arriveranno. Secondo quanto filtra dalla Commissione, pare che circa due terzi di questo miliardo arriveranno da riserve già definite, mentre il resto sarà prelevato dal bilancio comune europeo. Finora la Turchia aveva ricevuto poco meno di 200 milioni di euro. Altre misure umanitarie, infine, verranno adottate per aiutare i milioni di profughi siriani rimasti all’interno del loro Paese.
Una proposta che ripercorre i passi di Cameron, con il miliardo di sterline concesso per Giordania e Libano. Dal canto suo, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dovrà garantire di migliorare le condizioni dei rifugiati presenti sul suo territorio e combattere il traffico di vite umane dal porto di Bodrum: in base a quanto dichiarato da fonti ONU, alcuni rifugiati pagano anche 1.200 dollari per attraversare le 2.5 miglia che separano la Turchia da Kos. Alcuni trafficanti si sarebbero dotati di un profilo Facebook per costruire una sorta di “agenda” con cui comunicare le condizioni del mare prima di affrontare il viaggio verso le coste greche.
Che la Turchia avesse dei problemi nella gestione dei flussi migratori era sotto gli occhi di molti da tempo: una storia cominciata con la guerra a Saddam nel 2003, e che vede ora il paese in sofferenza a causa della mancanza di fondi per l’accoglienza ai rifugiati, in parte sistemati sul cordone di 900km che la separa dalla Siria. Dopo aver aperto le porte a Damasco e aver speso più di 4 miliardi di dollari per la costruzione e il mantenimento dei campi profughi, alla Turchia restano solo 417 milioni di aiuti dalla comunità internazionale. Dei 2 milioni di rifugiati attualmente su territorio turco, solo 300mila si trovano all’interno di campi profughi. Ai confini con la Turchia, in base a quanto riportato da Amnesty International, restano 1,38 milioni di rifugiati respinti dalla polizia di Ankara, vittime di abusi e senza diritti. A volte è la stessa popolazione turca a dimostrarsi ostile all’accoglienza, rendendo l’integrazione una chimera. Solo a settembre dello scorso anno, la Turchia chiuse le porte a 130mila curdi che fuggivano dall’avanzata dell’Isis.
Di quei migranti, Aylan Kurdi, il bambino di 3 anni trovato morto sulle spiagge di Bodrum nel suo viaggio tra la martoriata Kobane e l’isola greca di Kos, è diventato l’emblema. La sua ormai nota e triste storia è arrivata fino ad Ankara, dove il presidente Erdogan ha parlato dell’Europa con toni accesi. Nel discorso pronunciato in vista del prossimo G20, il Mediterraneo diventa la tomba dei rifugiati politici siriani, che tentano la via del mare per sfuggire dagli orrori della guerra. Un’umanità smarrita quella europea, lì dove, non certo solo per il leader dell’AKP, giace la culla di una delle civiltà più antiche della Terra.
Erdogan accusa l’Europa di “insensibilità. L’umanità non dovrà dar conto di questo bimbo di tre anni?”. Perentorio nelle parole e nella mimica, punta il dito contro le politiche europee dell’accoglienza dei migranti: “ad annegare nel mare non sono solo i rifugiati, ma anche la nostra umanità. Ogni singolo rifugiato che è stato oggetto di trattamenti inumani alle frontiere, e che è stato mandato a morte intenzionalmente su barche che affondano, e l’amaro simbolo di questa realtà”. Un discorso che nasconde, dietro l’accusa all’Occidente della cattiva gestione delle crisi in Iraq, Afghanistan e Libia, l’incapacità turca di contenere l’emergenza migratoria dal Medio Oriente e dal Maghreb.
Un dato infatti è ormai certo: la rotta turca è quella ad oggi più battuta per raggiungere l’Europa. Secondo quanto riportato dall’Unhcr, il numero di migranti siriani arrivati sulle coste greche alla fine del luglio di quest’anno si aggira intorno ai 124mila, con un incremento del 750% rispetto allo stesso periodo del 2014. Solo a luglio, si sono registrati 50mila nuovi arrivi, 20mila in più rispetto al mese precedente. Gli approdi principali sono le isole di Lesbo, Chios, Samos e Leros. Un dato confermato anche dalle banche dati di Frontex, poi ripreso da diversi organi di stampa: le violenze in Libia hanno infatti portato i migranti, già prima di giugno di quest’anno, a scegliere la via turca verso Grecia e Romania, bypassando la più ostile Bulgaria. Il numero si attesta a 46mila profughi, quando in tutto il 2014 ne erano arrivati 50mila, contro i 43mila che approdano in Italia direttamente da Libia e Tunisia (170mila l’anno precedente).
Non basta: i siriani sembrano non aver nessuna intenzione di restare in Turchia, anche perché, in base al nuovo piano di Erdogan, la loro nuova “casa” coinciderebbe con la no-fly zone costituita a fine luglio dopo l’accordo con la Nato. La stessa zona cuscinetto interdetta al passaggio di Assad, una terra di nessuno dove i siriani non riceverebbero aiuti. Ad occuparla, ci sarebbero i gruppi dell’opposizione moderata, mentre l’artiglieria turca impedisce ai “foreign fighter” di unirsi alla guerriglia dello Stato Islamico. Una forbice che terrebbe così fuori i terroristi fedeli ad al Baghdadi, senza difendere la popolazione locale.
Bruxelles prova con il suo miliardo di euro a soffocare la voce grossa del presidente Erdogan, che già strizza l’occhio a Vladimir Putin e inaugura con lui una grande moschea a Mosca. La Turchia, in attesa delle nuove elezioni del primo novembre e con la necessità di gestire la crisi con i curdi dopo l’uscita dell’Hdp dal governo, dimostra di voler tenere aperte più strade: il fronte Nato, con le incursioni aeree anti-ISIS iniziate a luglio, che fanno del Pkk l’altro obbiettivo preferito dai raid aerei; e il fronte asiatico, con i negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Una retorica da “partito pigliatutto”, che dimentica dei 150mila bambini profughi, scalzi e affamati per le strade di Istanbul.
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Milano, 18 mar. (Adnkronos) - "Il nostro programma di investimenti di 6 miliardi per le infrastrutture per la mobilità potrà esser messo a terra nei prossimi 3 anni. Pensiamo di aver aperto un ciclo". Lo ha detto oggi il presidente di Edizione, Alessandro Benetton, durante il suo intervento al convegno di Affari & Finanza'L'Europa a un bivio, tra Cina e Stati Uniti nell'era di Trump', in corso a Milano.
Nel corso degli ultimi 3 anni (2022-2024), il Gruppo Mundys ha realizzato investimenti organici per oltre 4,4 miliardi di euro, di cui 1,4 circa in Italia, per il potenziamento e l'ampliamento delle infrastrutture in concessione, per l'introduzione di innovazioni tecnologiche, per l'erogazione di nuovi servizi digitali agli utenti e per la riduzione in modo significativo le emissioni delle proprie infrastrutture, anche generando energia tramite fonti rinnovabili.
Dal punto di vista della crescita inorganica, nel periodo 2022-2025 Mundys ha effettuato investimenti per oltre 2,5 miliardi di euro (pari a 7 miliardi di ev 100%) per acquisire nuovi assets in Francia, Spagna, Porto Rico, Cile.
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Gli amministratori delegati della Value of Beauty Alliance si sono riuniti oggi a Bruxelles per continuare un dialogo costruttivo con le istituzioni dell'UE sull'impatto delle politiche e dei regolamenti dell'UE sugli obiettivi globali di competitività e sostenibilità del settore. I Ceo - si legge in una nota - hanno sottolineato l'impegno di lunga data del settore per un futuro sostenibile e hanno chiesto un processo decisionale collaborativo che riconosca le caratteristiche uniche, le sfide e i contributi significativi del settore all'economia dell'UE.
L'Alliance ha anche presentato un nuovo rapporto redatto da Oxford Economics, che sottolinea il significativo impatto socio-economico della filiera della bellezza e della cura della persona. La filiera della bellezza e della cura della persona contribuisce per 180 miliardi di euro al PIL dell'UE, pari a 496 milioni di euro generati ogni giorno, e sostiene quasi 3,2 milioni di posti di lavoro. Le aziende produttrici di prodotti di bellezza e cura della persona dell'UE inoltre esportano beni per un valore di 26 miliardi di euro a clienti al di fuori dell'UE rendendo l'UE-27 il più grande esportatore di prodotti di bellezza e cura della persona al mondo. L'industria della bellezza e della persona dell'UE continua a crescere e a essere leader nella concorrenza globale, con 5 delle 7 maggiori aziende di bellezza con sede nell'UE, ma questo successo non è scontato.
I Ceo hanno invitato le istituzioni dell'UE a impegnarsi in un dialogo costruttivo per discutere l'impatto delle politiche e della legislazione dell'UE, al fine di garantire che la catena del valore della bellezza e della cura della persona possa mantenere la sua posizione di leader sulla scena globale.
Ad esempio, l'Alleanza invita l'UE a rivedere urgentemente la legislazione recentemente adottata sul trattamento delle acque reflue urbane per garantire che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio "chi inquina paga". Ciò non solo guiderà lo sviluppo di prodotti più sostenibili in tutti i settori industriali, ma garantirà anche che ciò non imponga un onere di costo sproporzionato a uno dei pochi settori leader a livello mondiale in Europa. L'Alleanza ritiene che l'imminente processo Omnibus rappresenti un'opportunità ideale per correggere questo squilibrio e promuovere condizioni di parità per tutte le industrie che contribuiscono all'inquinamento delle acque.
Guardando al futuro, gli amministratori delegati hanno anche esortato l'UE a dare priorità ai seguenti settori chiave: Revisioni del regolamento REACH e del regolamento sui prodotti cosmetici: concentrarsi sulla sicurezza dei consumatori e sulla protezione dell'ambiente sulla base di una solida valutazione del rischio e dell'uso reale degli ingredienti, mantenendo elevati standard scientifici; Accordi commerciali: dare priorità all'accesso al mercato, ridurre le barriere normative e sostenere l'esportazione di prodotti europei di alta qualità. Rafforzare i controlli doganali e applicare rigorosamente i requisiti ambientali e di sostenibilità per i prodotti importati, sia online che offline, per garantire condizioni di parità. - Transizione verso la bioeconomia: attuare politiche che sostengano la produzione sostenibile di ingredienti, affrontare il "green premium" per le tecnologie sostenibili e garantire un approvvigionamento affidabile a lungo termine di materie prime sostenibili. - Sviluppo della forza lavoro: collaborare con l'industria per sviluppare programmi di formazione mirati e strumenti di investimento per migliorare le competenze della forza lavoro e soddisfare le esigenze in evoluzione del settore.
La Value of Beauty Alliance continua a lavorare a stretto contatto con le istituzioni dell'UE per sviluppare politiche che promuovano l'innovazione, creino posti di lavoro e garantiscano la continua competitività globale dell'industria europea della bellezza e della cura della persona. Questo approccio collaborativo sarà essenziale per garantire il continuo contributo dell'industria all'economia europea e a un futuro sostenibile.
(Adnkronos) - Terremoto oggi martedì 18 marzo a Potenza. Registrata alle 10.01, la potente scossa di magnitudo 4.2, si è verificata - secondo i dati dell'Ingv - a sei chilometri dal Comune di Vaglio Basilicata e a una profondità di 14 chilometri. La scossa è stata avvertita anche in Puglia.
A seguito dell’evento sismico, la Protezione civile si è messa in contatto con le strutture locali del Servizio nazionale della Protezione civile. Dalle prime verifiche effettuate, in seguito all’evento non risulterebbero danni a persone o cose.
Dopo la scossa, sono state sospese le attività scolastiche nel capoluogo dove è stata avvertita in modo molto forte. Gli studenti sono usciti dalle scuole per precauzione, poi è stata disposta la sospensione delle attività didattiche in tutti gli istituti di ogni ordine e grado per oggi, a eccezione dell'università, con ordinanza del sindaco Vincenzo Telesca.
Verifiche sono in corso in scuole e ospedali a Potenza e nei Comuni della provincia, limitrofi all'area epicentrale della scossa. Al momento non risultano problemi. "Nessuna criticità riscontrata'', ha fatto sapere il presidente della provincia di Potenza, Christian Giordano. Inoltre la direzione dell'azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza ha dato mandato all'unità operativa della gestione tecnico-patrimoniale di effettuare ''una scrupolosa procedura di verifica delle cinque strutture ospedaliere afferenti all'azienda''. L'attività ospedaliera e amministrativa prosegue regolarmente, senza alcuna interruzione, e viene garantita la piena operatività dei servizi sanitari e amministrativi per pazienti, operatori e cittadini.
Per i controlli agli edifici pubblici a Potenza e nei Comuni della provincia è stato intanto rinforzato con dieci unità il dispositivo di soccorso dei vigili del fuoco. Cinque squadre dei vigili del fuoco sono operative per verifiche sugli edifici di interesse pubblico. Una ricognizione dall'alto è stata effettuata dall'elicottero Drago VF67 del reparto volo di Pontecagnano (Salerno) nell'area tra Potenza e Vaglio Basilicata, Comune in cui è stato rilevato l'epicentro dall'Ingv. La situazione è monitorata anche dalla sala operativa della protezione civile regionale. Non si registrano problemi, stando a quanto finora accertato.
La circolazione ferroviaria è stata bloccata temporaneamente e in via precauzionale tra Tito e Potenza. I treni Intercity e regionali possono registrare ritardi e subire cancellazioni o limitazioni di percorso. A Potenza è stato attivato il centro operativo comunale, contattabile ai numeri 0971415832 e 3669394022.
Milano, 18 mar. (Adnkronos) - Condanna ridotta in appello per il trapper Shiva. La Corte d'Appello di Milano ha accolto la proposta di concordato raggiunta dalla procura generale e dalla difesa del cantante, nome d'arte Andrea Arrigoni, di una pena a 4 anni e 7 mesi per aver sparato e ferito l'11 luglio 2023 due presunti aggressori all'interno del cortile degli uffici della casa discografica a Settimo Milanese.
In primo grado, lo scorso 10 luglio, i giudici del tribunale di Milano avevano condannato il trapper a sei anni, sei mesi e 20 giorni per il reato di tentato omicidio, porto abusivo di arma da fuoco ed esplosioni pericolose per la sparatoria avvenuta in via Cusago, a Settimo Milanese, nel corso della quale due giovani milanesi erano stati gambizzati. Il 24enne si era difeso con lunghe dichiarazioni spontanee, oggi invece 'festeggia' con una storia Instagram con la scritta 'free' (libero, ndr). La riduzione della condanna gli consente di concentrarsi solo sulla musica.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Sia un po' più sovranista, perché mi pare che lei stia cercando il bacio della pantofola con Trump: è andata più volte a incontrare Trump in occasioni non ufficiali, ma ancora non l'hanno invitata alla Casa Bianca come hanno fatto con Macron e Starmer, spero che accada presto. Ma sia sovranista, anziché inseguire Trump riprenda la lezione di Alcide De Gasperi del 1951 sulla difesa comune europea. Lei ha un grande statista che non appartiene alla sua storia politica ma noi lo apprezziamo; si chiama Alcide De Gasperi, quando dice non può essere soltanto una questione di armi ma di giustizia sociale, di libertà. Questo è il modello a cui deve guardare l'Italia non inseguire Trump come sta facendo lei". Lo ha affermato Matteo Renzi, intervenendo in Senato dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Confindustria, la sua base, quelli che hanno votato per lei, sono terrorizzati dai dazi, non dia retta a Salvini e a Lollobrigida, lei -ha aggiunto l'ex premier- non può rispondere li mette Trump, dazi vostri. Sono dazi amari, una cosa un po' diversa".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Una risoluzione che dimostra che se il Pd discute sa fare la sintesi. Spendere di più per la difesa europea in linea con libro bianco che ottiene il via libera e impegno a non aumentare i bilanci nazionali senza condizionalità che spingano verso la difesa comune”. Lo scrive Simona Malpezzi, senatrice del Pd, sui social.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - “Giorgia Meloni oggi ha parlato di tutto tranne che del ruolo che l’Europa deve avere. Ha però parlato molto di Trump, a cui si è affidata per la soluzione della guerra in Ucraina. In pratica, sulle grandi questioni internazionali, Meloni scarica l’Europa e, politicamente, consegna l’Italia totalmente nelle mani degli Usa, omettendo tra l’altro che le proposte da lei avanzate sono state tutte puntualmente ignorate dal presidente americano. Altro che sovranismo, autorevolezza e ruolo ritrovato dell’Italia”. Lo afferma il segretario di +Europa, Riccardo Magi.
“L’Europa che vuole Meloni è una Europa vassalla di Trump e di Musk, che non costruisce una propria difesa, che accetta passivamente i dazi e che osserva immobile che Russia e Usa si spartiscano l’Ucraina. In questo scenario, Meloni non disegna nè immagina un ruolo dell’Europa, sperando che la zatterina Italia non affondi nell’Atlantico. Tutto l’opposto di quello che chiediamo noi: Europa federale fino agli Stati Uniti d’Europa, esercito comune, politica estera comune, e più integrazione europea. In due parole: più Europa”, conclude Magi.