Per arrivare a Cizre, città di 130 mila anime a est del Kurdistan turco che segna il confine con la Siria e l’Iraq, dalla metà di settembre bisogna superare almeno due posti blocchi, perquisizioni, domande. “Volete documentare? Va bene, ma raccontate la verità”, ci dicono militari armati di kalashnikov senza chiarire se si tratti di un consiglio o una minaccia. È durato 8 giorni il coprifuoco 24 ore su 24 imposto dal governo di Ankara i primi di settembre dopo la dichiarazione di “autogoverno” da parte del Comune guidato dall’Hdp, partito di sinistra filo-curdo che a Cizre durante le ultime elezioni ha preso il 98% dei voti e che nel suo programma elettorale ha sempre previsto “l’autonomia democratica”.
La co-sindaca Leila Imbre – i municipi curdi hanno due sindaci: un uomo e una donna – è stata rimossa dal suo incarico per “incitamento all’insurrezione armata e propaganda del terrore” e per otto giorni la città è rimasta sotto assedio, senza luce, acqua, gas, cecchini piazzati sui tetti, farmacie e forni chiusi, ambulanze ferme ai posti di blocco, ospedali off limits. Isolata, come una condanna per il nome che si porta dall’antichità: Cizre, dall’arabo jazira, che significa “isola”, perché una volta quasi interamente circondata dal Tigri.
Anche le comunicazioni per otto giorni sono state interrotte, ma nonostante tutto qualche foto è riuscita a bucare i confini e a arrivare al resto del Paese attraverso i social network, mostrando cadaveri già in stato di decomposizione o avvolti in lenzuola con il ghiaccio o direttamente nel frigorifero per evitare la putrefazione. Una guerra lampo che ha portato alla morte di 21 persone, tutte civili, di cui un bambino di appena 35 giorni e un centinaio di feriti. Ventimila invece gli abitanti che hanno lasciato le proprie case, poco prima che venissero distrutte dalla furia dei carri armati. Solo adesso, a coprifuoco revocato, viene permesso l’accesso alla città che mostra nuda tutte le sue ferite ancora sanguinanti, tra macerie, case e negozi distrutti dai colpi di mortaio o date alle fiamme, trincee scavate nell’asfalto, barricate di sassi e sacchi di sabbia, carcasse di gatti e colombe sul ciglio della strada. Una città brace di un fuoco appena spento.
La zona rossa è Nur, quartiere che parte dalla sede dell’Hpd e si sfoga nelle vie centrali, dove i teli “anti cecchini” penzolano ancora usurati dai tetti delle case. L’unico segno di vita sono i bambini che saltano tra le macerie, immemori di una tragedia appena vissuta; giocano raccogliendo proiettili, mostrandoli e riproducendo strada per strada i vari attacchi subiti. “Boom, boom”, dicono in un lingua uguale per tutti. Gli abitanti, disperati, acchiappano i giornalisti e li trascinano per un braccio nelle case per mostrare ciò che rimane della loro vita. Quasi nulla. “Siamo stati rinchiusi in venti per otto giorni in una stanza; come provavamo a muoverci i cecchini ci sparavano addosso, da lì”, racconta un uomo indicando il tetto di un palazzo a un centinaio di metri di distanza. Seguendo la traiettoria, all’interno della casa, si vedono precisi i buchi dei proiettili. “Non avevamo più acqua perché ci avevamo bucato le cisterne e ogni volta che provavamo a uscire i cecchini ci sparavamo addosso”, continua una donna. “Non potevamo portare i cadaveri all’obitorio e li abbiamo messi in moschea, ma faceva troppo caldo e si sono putrefatti”, continua.
Il viaggio nelle vie di Cizre è una caduta dritta all’inferno. La linea telefonica viene e va. Internet è un lusso. L’acqua scarseggia e, nonostante ci sia sempre qualcuno pronto a offrirtela, non è mai abbastanza per gli oltre 40 gradi che picchiano insensibili sulla città dell’antica Mesopotamia. E nonostante il coprifuoco sia stato revocato, i blindati dei corpi speciali di polizia continuano a girare per le strade in segno di una pace mai arrivata. Come d’altronde nel resto del Kurdistan turco.
In seguito alle elezioni di giugno, dove per la prima volta dopo 13 anni il partito conservatore del presidente Tayyip Recep Erdogan, l’Akp, non ha raggiunto la maggioranza assoluta, e in particolare da luglio, dopo l’attentato a Suruc in cui hanno perso la vita 33 attivisti in partenza per portare aiuti a Kobane, si è improvvisamente interrotta la tregua tra Ankara e il Pkk, il partito dei lavoratori curdi, fuorilegge in Turchia perché accusato di terrorismo. Le municipalità governate dall’Hpd hanno accelerato il processo di dichiarazione di “autonomia democratica” e il governo turco ha reagito con coprifuoco, posti di blocco, arresti di militanti, giornalisti e sindaci. Da qui le principali città curde sembrano essere ripiombate negli anni Novanta. A Diyarbakir, o Amed come la chiamano i curdi che la considerano la loro capitale, il termine della tregua ha provocato in un paio di settimane un centinaio di morti tra ribelli curdi e forze dell’ordine. Anche Yuksekova, altra città a prevalenza curda, è rimasta sotto assedio per giorni.
Ma Cizre è un caso a sé, città simbolo adesso dell’eterna lotta tra il governo di Ankara e la popolazione curda. “L’operazione portata avanti dai militari è illegittima e viola i diritti umani”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Faysal Sariyildiz, parlamentare dell’Hpd, che ha provato invano a entrare nella città durante l’assedio. “Sono entrati in città con centinaia di mezzi blindati e migliaia di militari – continua – e prima di farlo hanno staccato luce, acqua, gas. Poi hanno iniziato a sparare all’impazzata, usando armi da guerra contro la popolazione civile”.
Ankara si giustifica sostenendo che nelle case si nascondevano i guerriglieri e che i civili non sono stati uccisi dai militari turchi. La popolazione, dal canto suo, risponde mostrando le foto dei propri cari morti. E nelle strade prendono vita cortei spontanei con in testa le donne che gridano, cantano, suonano tamburi, sorridono con sorrisi di orgoglio. Non marciano, ma corrono come lave da vulcani di rabbia per la perdita di un figlio, un fratello, un amico, una casa. “Questa – dicono – è una nuova Kobane”.
Mondo
Turchia, viaggio a Cizre: 21 civili curdi uccisi e città distrutta in 8 giorni. “Qui è nuova Kobane, ma gli assassini sono i turchi”
Dopo la dichiarazione di “autogoverno” da parte del Comune guidato dall'Hdp, partito di sinistra filo-curdo, Ankara ha imposto il coprifuoco 24 ore su 24: "Siamo stati rinchiusi in 20 per 8 giorni in una stanza; come provavamo a muoverci i cecchini ci sparavano addosso", racconta un abitante. "Prima hanno staccato luce, acqua, gas – spiega a IlFattoQuotidiano.it Faysal Sariyildiz, parlamentare dell'Hpd – poi sono entrati in città con mezzi blindati e migliaia di militari. Che hanno iniziato a sparare, usando armi da guerra contro la popolazione"
Per arrivare a Cizre, città di 130 mila anime a est del Kurdistan turco che segna il confine con la Siria e l’Iraq, dalla metà di settembre bisogna superare almeno due posti blocchi, perquisizioni, domande. “Volete documentare? Va bene, ma raccontate la verità”, ci dicono militari armati di kalashnikov senza chiarire se si tratti di un consiglio o una minaccia. È durato 8 giorni il coprifuoco 24 ore su 24 imposto dal governo di Ankara i primi di settembre dopo la dichiarazione di “autogoverno” da parte del Comune guidato dall’Hdp, partito di sinistra filo-curdo che a Cizre durante le ultime elezioni ha preso il 98% dei voti e che nel suo programma elettorale ha sempre previsto “l’autonomia democratica”.
La co-sindaca Leila Imbre – i municipi curdi hanno due sindaci: un uomo e una donna – è stata rimossa dal suo incarico per “incitamento all’insurrezione armata e propaganda del terrore” e per otto giorni la città è rimasta sotto assedio, senza luce, acqua, gas, cecchini piazzati sui tetti, farmacie e forni chiusi, ambulanze ferme ai posti di blocco, ospedali off limits. Isolata, come una condanna per il nome che si porta dall’antichità: Cizre, dall’arabo jazira, che significa “isola”, perché una volta quasi interamente circondata dal Tigri.
Anche le comunicazioni per otto giorni sono state interrotte, ma nonostante tutto qualche foto è riuscita a bucare i confini e a arrivare al resto del Paese attraverso i social network, mostrando cadaveri già in stato di decomposizione o avvolti in lenzuola con il ghiaccio o direttamente nel frigorifero per evitare la putrefazione. Una guerra lampo che ha portato alla morte di 21 persone, tutte civili, di cui un bambino di appena 35 giorni e un centinaio di feriti. Ventimila invece gli abitanti che hanno lasciato le proprie case, poco prima che venissero distrutte dalla furia dei carri armati. Solo adesso, a coprifuoco revocato, viene permesso l’accesso alla città che mostra nuda tutte le sue ferite ancora sanguinanti, tra macerie, case e negozi distrutti dai colpi di mortaio o date alle fiamme, trincee scavate nell’asfalto, barricate di sassi e sacchi di sabbia, carcasse di gatti e colombe sul ciglio della strada. Una città brace di un fuoco appena spento.
La zona rossa è Nur, quartiere che parte dalla sede dell’Hpd e si sfoga nelle vie centrali, dove i teli “anti cecchini” penzolano ancora usurati dai tetti delle case. L’unico segno di vita sono i bambini che saltano tra le macerie, immemori di una tragedia appena vissuta; giocano raccogliendo proiettili, mostrandoli e riproducendo strada per strada i vari attacchi subiti. “Boom, boom”, dicono in un lingua uguale per tutti. Gli abitanti, disperati, acchiappano i giornalisti e li trascinano per un braccio nelle case per mostrare ciò che rimane della loro vita. Quasi nulla. “Siamo stati rinchiusi in venti per otto giorni in una stanza; come provavamo a muoverci i cecchini ci sparavano addosso, da lì”, racconta un uomo indicando il tetto di un palazzo a un centinaio di metri di distanza. Seguendo la traiettoria, all’interno della casa, si vedono precisi i buchi dei proiettili. “Non avevamo più acqua perché ci avevamo bucato le cisterne e ogni volta che provavamo a uscire i cecchini ci sparavamo addosso”, continua una donna. “Non potevamo portare i cadaveri all’obitorio e li abbiamo messi in moschea, ma faceva troppo caldo e si sono putrefatti”, continua.
Il viaggio nelle vie di Cizre è una caduta dritta all’inferno. La linea telefonica viene e va. Internet è un lusso. L’acqua scarseggia e, nonostante ci sia sempre qualcuno pronto a offrirtela, non è mai abbastanza per gli oltre 40 gradi che picchiano insensibili sulla città dell’antica Mesopotamia. E nonostante il coprifuoco sia stato revocato, i blindati dei corpi speciali di polizia continuano a girare per le strade in segno di una pace mai arrivata. Come d’altronde nel resto del Kurdistan turco.
In seguito alle elezioni di giugno, dove per la prima volta dopo 13 anni il partito conservatore del presidente Tayyip Recep Erdogan, l’Akp, non ha raggiunto la maggioranza assoluta, e in particolare da luglio, dopo l’attentato a Suruc in cui hanno perso la vita 33 attivisti in partenza per portare aiuti a Kobane, si è improvvisamente interrotta la tregua tra Ankara e il Pkk, il partito dei lavoratori curdi, fuorilegge in Turchia perché accusato di terrorismo. Le municipalità governate dall’Hpd hanno accelerato il processo di dichiarazione di “autonomia democratica” e il governo turco ha reagito con coprifuoco, posti di blocco, arresti di militanti, giornalisti e sindaci. Da qui le principali città curde sembrano essere ripiombate negli anni Novanta. A Diyarbakir, o Amed come la chiamano i curdi che la considerano la loro capitale, il termine della tregua ha provocato in un paio di settimane un centinaio di morti tra ribelli curdi e forze dell’ordine. Anche Yuksekova, altra città a prevalenza curda, è rimasta sotto assedio per giorni.
Ma Cizre è un caso a sé, città simbolo adesso dell’eterna lotta tra il governo di Ankara e la popolazione curda. “L’operazione portata avanti dai militari è illegittima e viola i diritti umani”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Faysal Sariyildiz, parlamentare dell’Hpd, che ha provato invano a entrare nella città durante l’assedio. “Sono entrati in città con centinaia di mezzi blindati e migliaia di militari – continua – e prima di farlo hanno staccato luce, acqua, gas. Poi hanno iniziato a sparare all’impazzata, usando armi da guerra contro la popolazione civile”.
Ankara si giustifica sostenendo che nelle case si nascondevano i guerriglieri e che i civili non sono stati uccisi dai militari turchi. La popolazione, dal canto suo, risponde mostrando le foto dei propri cari morti. E nelle strade prendono vita cortei spontanei con in testa le donne che gridano, cantano, suonano tamburi, sorridono con sorrisi di orgoglio. Non marciano, ma corrono come lave da vulcani di rabbia per la perdita di un figlio, un fratello, un amico, una casa. “Questa – dicono – è una nuova Kobane”.
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Mosca, 19 feb. (Adnkronos) - "E' necessario ripulire l'eredità dell'amministrazione Biden, che ha fatto di tutto per distruggere anche i primi accenni alle fondamenta stesse di una partnership a lungo termine tra i nostri Paesi". Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov parlando alla Duma all'indomani dei colloqui di Riad, commentando la possibilità di una cooperazione strategica tra Russia e Stati Uniti e aggiungendo che potrebbero essere create le condizioni per colloqui sulla sicurezza e sulla stabilità strategica tra i Paesi.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Il partito di Giorgia Meloni é nei guai fino al collo e la maggioranza spaccata platealmente come dimostra la dissociazione di Forza Italia dalla conferenza stampa dei suoi alleati. Dagli assetti europei alla guerra in Ucraina allo spionaggio con Paragon, dalle parti di Fratelli d’Italia non sanno dove girarsi e allora attaccano l’ex presidente Conte. Era evidente fin dall’inizio l’intento da parte della destra di usare a fini politici la commissione parlamentare sul Covid, ora il re è nudo”. Così Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - “Stamane alcuni ragazzi sulle scale di Montecitorio hanno gettato dei sacchetti con del cibo che la Gdo cestina ogni giorno per richiamare la nostra attenzione sul Giusto Prezzo e sul fatto che il cibo di qualità sia un privilegio per pochi, al contrario di quello che il Ministro dell’agricoltura Lollobrigida sostiene". Così il capogruppo Pd in commissione Agricoltura e segretario di Presidenza della Camera
"Mentre solo pochi giorni fa dichiaravano sullo spreco alimentare e sull’importanza di evitarlo, oggi che fanno i Presidenti di Camera e Senato? Fontana li accusa di atti vandalici e La Russa lo ha definito un atto vile. Ma ci rendiamo conto? Questi sarebbero atti vili e vandalici? E cosa facciamo noi per alleviare le sofferenze di quei produttori che nonostante l’inflazione e il caro prezzi non ricevono soldi in più? Cosa facciamo per quei consumatori costretti a rinunciare a proteine e carboidrati, al cibo sano e sostenibile perché troppo costoso? E soprattutto cosa diciamo a dei ragazzi che ci richiamano con parole pulite e striscioni corretti a dare delle risposte concrete senza offendere nessuno?".
"La maggioranza e il governo, il ministro Lollobrigida che oggi attendiamo in Aula dovrebbero rispondere su questo non offendere dei giovani innocenti che si preoccupano giustamente del nostro e loro futuro!”.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Picierno è una signora che ogni mattina si sveglia pensando a una sciocchezza da dire sul Movimento 5 Stelle. Picierno è un'infiltrata dei fascisti nella sinistra. Chiede più guerra, più armi, più povertà, più morti: non ha nulla a che vedere con la sinistra. E' un'infiltrata dei fascisti. Cosa ha in comune con la sinistra chi chiede più armi e più povertà? Picierno lo chiede in ogni situazione". Lo ha detto l'eurodeputato M5S, Gaetano Pedullà, a L'Aria che Tira su La7.
Palermo, 19 feb. (Adnkronos) - E' stato solo momentaneo lo stop della colata lavica di ieri pomeriggio sull'Etna. Come conferma all'Adnkronos Giuseppe Salerno, dell'Osservatorio etneo dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, "la colata lavica è attiva" e prosegue, "e attualmente c'è una eruzione in corso". La colata lavica continua così ad avanzare lentamente lungo il fianco occidentale dell'Etna in direzione Sud-Ovest, attestandosi intorno a 1.800 metri di quota.
Intanto, sui paesini intorno al vulcano continua a 'piovere' cenere lavica. È l'effetto dell'eruzione sommitale in corso sul vulcano attivo più alto d'Europa con una bocca effusiva che si è aperta, l'8 febbraio scorso, a quota 3.050 metri, alla base del cratere Bocca Nuova.
Roma, 19 feb. (Adnkronos) - "Non so se è chiara la gravità di quello che sta accadendo, ma temo proprio di no. Provo a mettere brevemente in fila i fatti per spiegarlo". Lo scrive Matteo Orfini del Pd sui social.
"Come noto, un software spia (Graphite, prodotto dalla azienda Paragon) è stato utilizzato per spiare attivisti politici e giornalisti come il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Quando è emersa la notizia il governo ha negato ogni responsabilità. Ul Guardian ha scritto che a causa dell'uso improprio l'azienda Paragon aveva sospeso il contratto col nostro paese. Il ministro Ciriani ha detto in parlamento che non era vero, e che il software era ancora pienamente operativo. Due giorni dopo le dichiarazioni di Ciriani una nota del governo comunicava la sospensione dell'uso del software stabilita d'intesa con la società che lo produce per consentire approfondimenti sulle violazioni. In realtà a quanto pare la sospensione è stata voluta dalla società produttrice a fronte di un uso improprio del software (quindi Ciriani aveva mentito al Parlamento)".
"Ma chi è in possesso del software? I servizi segreti e le varie polizie giudiziarie che operano per conto delle procure. I servizi hanno smentito risolutamente di aver utilizzato illegalmente il software per spiare giornalisti. Le procure possono utilizzarlo solo per reati gravissimi e onestamente pare assai poco realistico che il direttore di Fanpage sia sotto indagine per terrorismo internazionale. Resta dunque una sola ipotesi, ovvero che sia stato utilizzato illegalmente e autonomamente da un corpo di polizia giudiziaria. Ma quale? Praticamente tutti i corpi di polizia hanno smentito di aver utilizzato lo spyware per intercettare giornalisti e attivisti. A parte uno: la polizia penitenziaria".
"Le opposizioni hanno chiesto chiarimenti al governo che non ha risposto. Oggi alla Camera era previsto il question time, ovvero la sessione in cui i gruppi parlamentari interrogano il governo e i ministri hanno l'obbligo di rispondere. Pd e Iv avevano previsto di chiedere se la polizia penitenziaria avesse accesso o meno allo spyware in questione. Il quesito era stato ritenuto ammissibile dalla presidenza della Camera. Ieri il governo ha fatto sapere che non intende rispondere perché le informazioni sono "classificate", ovvero non divulgabili".
"E' falso -prosegue Orfini-, perché non c'è nulla di classificato nel rispondere si o no a una domanda semplice e trasparente come quella che abbiamo fatto. Sapere se la penitenziaria ha in dotazione il software è una domanda lecita a cui basta rispondere si o no. La polizia penitenziaria dipende dal ministero di giustizia di Nordio. E la delega specifica la ha Delmastro. Voi capite che visti i precedenti dei due la vicenda diventa ancora più inquietante. Un software in dotazione al governo è stato utilizzato illegalmente per spiare giornalisti e attivisti".
"Il governo invece di fare chiarezza e difendere chi è stato spiato illegalmente, sta utilizzando tutti gli strumenti possibili per insabbiare questa vicenda gravissima. E per evitare di rispondere. Il che, in tutta onestà, non fa che aumentare i dubbi e i sospetti. Ah, ovviamente la Meloni è sparita anche in questo caso".
Seul, 19 feb. (Adnkronos/Dpa/Europa Press) - Le autorità di Seul si sono dette disponibili ad accogliere i soldati nordcoreani che sono stati catturati sul territorio ucraino mentre combattevano assieme alle truppe russe e che intendono disertare. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri della Corea del Sud in un comunicato in cui precisa che "i soldati nordcoreani sono cittadini sudcoreani secondo la Costituzione. Rispettare la volontà di questi individui è conforme al diritto internazionale".
Secondo le ultime informazioni, numerosi soldati nordcoreani sono rimasti feriti durante il conflitto, dopo essere stati schierati a sostegno della Russia nel quadro dell’accordo di difesa strategica raggiunto l’anno scorso tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un. Le autorità ucraine hanno annunciato la cattura di due soldati nordcoreani che combattevano a fianco delle truppe russe nella provincia russa di Kursk, dove Kiev ha lanciato un'operazione militare l'estate scorsa. Il governo di Kiev ha proposto di restituirli alla Corea del Nord nel caso Pyongyang fosse disposta a facilitare uno scambio con i soldati ucraini attualmente detenuti in Russia.
Da parte sua, il presidente dell'Ucraina, Volodymyr Zelensky, ha stimato che circa 4.000 soldati nordcoreani siano stati uccisi o feriti a Kursk, anche se il numero non è stato verificato. L'annuncio del governo sudcoreano arriva dopo che un soldato ha dichiarato in un'intervista al quotidiano 'Chosun Ilbo' l'intenzione di chiedere asilo alla Corea del Sud. Il ministero sostiene adesso che "non dovrebbero essere rimandati in un luogo dove potrebbero essere perseguitati".