Volkswagen Merkel IAA

L’espressione di uno dei controllori americani dell’International Council of green trasportation che ha scoperto il caso Volkswagen tradisce la sorpresa di trovarsi di fronte ad un mega imbroglio da parte di una delle case automobilistiche più prestigiose del mondo invece che alla dimostrazione del fatto che un motore diesel può essere pulito, come si aspettava.

Volkswagen, marchio che punta ormai da anni sull’immagine di solidità tedesca e sulla sostenibilità come modello di business, si trova così al centro di un affare che va al di là della frode. Perché tocca la credibilità di un intero sistema produttivo di successo e perfino di un intero Paese che si considera ed è considerato un modello esemplare.

Ma alla luce dello scandalo Volkswagen c’è un altro aspetto che vorrei sottolineare: la manipolazione dei dati reali delle emissioni delle automobili. Non è un tema nuovo e non riguarda solo la Volkswagen. Al contrario, il bel libro di Anna Donati e Francesco Petracchini Muoversi in città” (edizioni Ambiente, 2015) menziona uno studio del 2014 di Transport and environment (T&E), nel quale si spiega che il gap fra i controlli in laboratorio e quelli su strada è passato in media dall’8% nel 2001 al 31% nel 2013 per il trasporto privato e che da qui al 2050, se il trend continuerà, ci sarà un gap del 50%! Per le nuove auto diesel le emissioni di ossidi di azoto sono in media cinque volte superiori su strada rispetto al limite consentito e solo un’auto su dieci rispetta il livello promesso su strada. Per alcuni modelli il divario è così grande che era già emerso il sospetto che l’auto fosse in grado di rilevare quando è sottoposta o meno ad un test utilizzando un “impianto di manipolazione” (defeat device) che abbassi artificialmente le emissioni durante la prova. T&E, incrociando dati di vari enti, ha notato che su un’auto diesel Audi A8 testata in Europa, le emissioni prodotte da ossidi di azoto su strada sono 21,9 volte oltre il limite consentito; una diesel BMW X3 è andata 9,9 volte oltre il limite su strada; un Opale Zafira Tourer, 9,5 volte; Citroen C4 Picasso 5.1 volte. Tutti questi veicoli hanno superato le prove di laboratorio.

Per molti nuovi modelli che arrivano sul mercato c’è un notevole divario tra il test di laboratorio e le prestazioni reali. Per la VW Golf Mark VII il gap tra il test e le emissioni di Co2 su strada è balzato dal 22% al 41%. Il divario per la nuova Mercedes Classe C è salito dal 37% al 53%; per la Renault Clio IV il gap è quasi raddoppiato dal 19% al 34%. È evidente che c’è qualcosa che non va.

In Europa si sa da anni delle tecniche che le case automobilistiche utilizzano per manipolare i dati dei test sul livello d’inquinamento e di emissioni prodotte, con il sostanziale beneplacito di Stati membri e Commissione europea. Per esempio, non si calcola l’energia consumata dall’aria condizionata, la batteria viene caricata giusto prima del test; oppure si deduce automaticamente il 4% da ogni risultato o si modificano i freni perché facciano meno resistenza: il tutto alla luce del sole, giustificato dai costruttori come “flessibilità” legittime e facilitato in Europa da un sistema di controlli obsoleto e non indipendente rispetto ai costruttori stessi.

Non è un caso, perciò, che il giochetto sia stato scoperto negli Usa. A differenza che nel Vecchio continente, negli Stati Uniti i test sono fatti da organismi indipendenti e il 10%-15% delle auto sono ritestate a campione in loco. In Europa, invece, le case automobilistiche pagano degli organismi certificati per eseguire i test nei laboratori degli stessi costruttori. Questi test sono poi autenticati dalle autorità nazionali di controllo, ma le case automobilistiche pagano direttamente le agenzie di certificazione, che quindi dipendono da loro per essere retribuite.

È evidente, quindi, che a parte la tecnica con cui il test viene fatto, la sfida vera sarà quella di modificare e rendere completamente indipendente dai costruttori il test stesso. Questa è una battaglia permanente tra gli ambientalisti e le lobby dei costruttori qui a Bruxelles, che sono sempre riusciti a convincere la Commissione e gli Stati membri a chiudere un occhio. Peraltro, proprio oggi la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha votato in merito al Regolamento sulla riduzione delle emissioni di inquinanti delle auto, che rinnova i parametri per i test Euro5/6 dei veicoli leggeri. È stato adottato a larga maggioranza un emendamento dei Verdi che rende obbligatori i “Real Driving emission test”, cioè i test su strada. È possibile che, alla luce dell’enorme scandalo Volkswagen, la procedura legislativa corra dritta e che il Consiglio, dove sono rappresenti gli Stati membri, decida di sostenere questa proposta. Vedremo.

Per ora quello che è chiaro è che non ci dovremo stupire se nel corso delle prossime settimane emergeranno altre frodi anche in Europa perché il gigante tedesco che non si vuole rassegnare alla fine delle emissioni facili è in buona e numerosa compagnia.

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