Bisogna “coinvolgere i rappresentanti di istituzioni italiane ed europee” per “tentare di salvare la vita di questo ragazzo, ma anche per chiedere alla comunità internazionale di cambiare atteggiamento rispetto alla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita“. Il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury interviene sul caso di Ali Al Nimr, giovane saudita oggi 20enne condannato alla decapitazione e alla successiva crocifissione fino a putrefazione. Il 14 febbraio del 2012 era stato arrestato dalle autorità saudite per aver preso parte a una manifestazione antigovernativa nella provincia di Qatif. Due anni dopo è arrivata la condanna alla pena capitale.
E’ inoltre nipote di un eminente religioso sciita indipendente e oppositore del regime dell’Arabia Saudita, Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, arrestato l’8 luglio del 2012 e anch’egli condannato a morte, il 15 ottobre del 2014. Ali al-Nimr ha visto respinto l’appello presentato alla Corte suprema e al Tribunale penale. Può essere messo a morte appena il re Salman ratifica la condanna.
Il suo è un caso che ha sollevato proteste e indignazione da parte delle ong di tutto il mondo per la difesa dei diritti umani, ma finora non c’è stata nessuna presa di posizione unitaria da parte della comunità internazionale. La condanna, secondo Amnesty, sarebbe stata emessa sulla base di una confessione estorta con torture e maltrattamenti e che avviene in un Paese che detiene il record delle esecuzioni capitali, ma il cui ambasciatore è a capo del Consiglio diritti umani dell’Onu.
Petizioni e appelli per salvarlo – La raccolta firme per salvarlo promossa su Change.org ha raccolto oltre 300mila firme, e a mobilitarsi è anche Aki, agenzia di stampa in lingua italiana, inglese, araba e farsi, alla quale si sono uniti anche esponenti politici, organizzazioni per la difesa dei diritti umani e intellettuali. Tra loro ci sono l’ong Un Ponte Per… (la stessa per la quale prestavano servizio Simona Pari e Simona Torretta, le due operatrici umanitarie rapite e successivamente liberate a Baghdad nel 2004, ndr) e Nessuno tocchi Caino.
“Ci stiamo anche noi perché il caso mette in luce una questione che non molti sollevano” e porta alla luce le “responsabilità dei Paesi membri dell’Unione Europea“, ha detto il segretario dell’associazione Sergio D’Elia. “Sono disposti a fare battaglie universali per una moratoria sulle esecuzioni – ha proseguito – ma quando si tratta di mettere in discussione le relazioni con Paesi ritenuti importanti e decisivi non solo sul piano commerciale, ma anche per varie coalizioni, ad esempio contro l’Is in questo momento, allora non si solleva il caso”.
Aderire all’appello per il presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane (Ucoii), Izzedine Elzir “è un obbligo religioso ed etico” e si schierano a favore della mobilitazione anche il deputato Pd Khalid Chaouki e la portavoce di Forza Italia alla Camera Mara Carfagna. Perché nonostante “spesso ci siano interessi in gioco”, ha detto, “la promozione dei diritti umani deve essere sempre anteposta a tutto”.