Italia blocca-tutto. Almeno su Internet: il Belpaese è la nazione al Mondo più interessata dai blocchi all’accesso ad Internet. Di più, molto di più, di Paesi che non hanno fatto certo della libertà d’espressione e di informazione la loro stella polare. Nel 2015 il numero di blocchi di siti Internet in Italia, attraverso i provider, ha superato il migliaio.
Si blocca di tutto e per tutti i gusti. Dalla richiesta dell’avvocato che si lamenta di essere stato diffamato su un sito (che anni fa si sarebbe chiamato di contro-informazione), al candidato alle elezioni di uno schieramento insospettabile (trombato, peraltro) che si lamenta perché la ex ha messo su un blog in cui racconta dettagli piccanti della loro relazione, alla Consob, alla casalinga a cui hanno pubblicato su internet il video del ménage à trois, per non parlare di chi chiede direttamente il blocco di testate giornalistiche in base al diritto all’oblio, e dello stuolo di uomini politici dal passato (a volte dal presente) burrascoso.
I provider italiani si vedono arrivare di tutto.
E c’è poi naturalmente l’Agcom, in base al contestatissimo regolamento sul diritto d’autore.
In questo campo siamo anche “campioni d’Europa”, come ha ricordato qualche giorno fa, con tanto di slide esplicativa, Okke Delfos Visser, consulente per gli affari legali della Motion Picture Association (Mpa), la potente Associazione di produttori Cinematografici Internazionale, facente parte della Mpaa, l’Organizzazione americana dei produttori cinematografici, che a sua volta è il socio fondatore della Fapav, l’Associazione antipirateria, che la fa da padrone negli ordini amministrativi rilasciati dall’Agcom: 29 su 83 ai primi di settembre.
Al 2015 l’Italia detiene il primato europeo per numero di inibizioni di siti ritenuti in violazione del diritto d’autore: sono 238 i domini che i provider italiani hanno dovuto rendere inaccessibili, un terzo dei quali (83, appunto) disposti direttamente dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni. Per dire la Francia si ferma a 18, la Spagna a 24, su ordine, ca va sans dire, però di giudici, e non in via amministrativa.
Il blocco amministrativo dell’Agcom, unico in Europa (non ci sono altri Paesi che adottano ordini amministrativi di blocco a protezione del diritto d’autore), non piace a nessuno e nell’emisfero occidentale ha un’utilità pressoché nulla, come ampiamente dimostrato dallo Studio Indipendente effettuato dal Prof. Giorgio Clemente, dell’Università di Padova, e come documentato da ilfattoquotidiano.it in un bell’articolo della giornalista Eleonora Bianchini.
Piace però in Turchia, in Pakistan (che hanno adottato sistemi simili) ed alla Cina, che ha deciso nel 2015, di implementare il blocco denominato Grande muraglia digitale (Great digital firewall), adottando nel settore del diritto d’autore, le stesse procedure di blocco dei Dns adottate in Italia dall’Agcom.
La National copyright administration of China (Ncac), infatti, stanca di aspettare la revisione della normativa cinese in tema di diritto d’autore, ed ansiosa di avvalersi dei provvedimenti che costituiscono la grande barriera digitale Cinese, ha infatti pubblicato ad inizio settembre, con scadenza per le osservazioni il 30 settembre, il Regolamento denominato “Implementing Measures for the Administrative Enforcement of Copyright” , in cui si propongono le stesse misure Amministrative di blocco attraverso i Dns, che di fatto costituiscono lo strumento adottato dall’Agcom.
E questo non deve stupire perché il sistema di blocco adottato dall’Agcom, ovvero il cosiddetto Dns poisoning, è copiato a sua volta dal sistema di blocco cinese alla base della Grande muraglia digitale. Il Dns poisoning è in pratica l’avvelenamento dei Dns, ovvero l’operazione tecnica, mutuata dal mondo hacker, ed inventata in realtà proprio in Cina, che i provider fanno quando l’Agcom impone loro di bloccare i siti internet.
Insomma, in qualcosa siamo campioni del mondo e d’Europa, e chissà che non si riferissero proprio a questo i fautori del Regolamento Agcom sul diritto d’autore, quando affermavano che il Regolamento blocca tutto (che non blocca, in realtà, nulla), si sarebbe posto come modello per le Pubbliche Amministrazioni.