Per il caso Volkswagen la Germania rischia oltre l’1% per cento del proprio Pil. La stima è di Maxime Alimi, del research and investment strategy di Axa Investment Managers. Per arrivare al calcolo gli esperti del gestore patrimoniale del gruppo assicurativo francese sono partiti da una serie di domande: il caso Volkswagen riguarda solo l’azienda o la tecnologia diesel in generale? I consumatori globali prenderanno le distanze dall’intera industria automobilistica tedesca? È il marchio Made in Germany a essere in pericolo? A seconda della risposta, il danno causato dal diesel-gate assume una dimensione maggiore.

“Per l’industria automobilistica tedesca il moltiplicatore è 1,6, ovvero qualsiasi shock nel settore risulta amplificato del 60% – spiega l’analisi – . Questo approccio conferma che potrebbe essere fuorviante sottolineare che l’industria dell’automobile rappresenta meno del 3 per cento dell’economia“. Intorno all’auto si muove infatti un indotto fatto di fornitori, venditori, trasportatori, e così via. Il primo scenario disegnato dagli analisti implica un tracollo delle vendite della causa automobilistica tedesca del 10% in Germania e del 20% all’estero con effetti anche sugli altri produttori tedeschi. La perdita per il Pil tedesco, in questo caso, sarebbe limitata allo 0,1 per cento. Se il calo delle vendite è generalizzato per tutti i produttori tedeschi a favore dei costruttori esteri, poi, per il Pil tedesco l’impatto sale a 0,4 per cento. Lo shock Made in Germany, infine, è lo scenario peggiore, quello che implica una perdita di fiducia verso il marchio Germania e le sue indiscusse (finora) caratteristiche di alta qualità.

“Ci sarebbero ripercussioni non solo per le auto ma anche sull’esportazione di macchinari – scrive Alimi – . In questo caso le conseguenze per l’economia sarebbero pari all’1,1% del Pil”. E se la locomotiva d’Europa frena, anche per i suoi principali partner commerciali ci sarebbero delle difficoltà. Tanto più, precisa il report che “circa il 25% degli input del settore è importato. I principali fornitori sono Francia e Repubblica Ceca e a seguire, Austria e Spagna. Sono fornitori importanti anche Italia, Regno Unito, Ungheria e Polonia”.

Berlino, del resto, è pienamente consapevole dei rischi. Non a caso il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, in un’intervista a der Spiegel, rispondendo a una domanda sui possibili contraccolpi dello scandalo Volkswagen sull’economia tedesca ha detto che “le conseguenze sono per ora imprevedibili. È fondamentale una riparazione tempestiva allo scandalo, affinché il marchio made in Germany non subisca danni fondamentali“. Il vice cancelliere e ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, nel corso di una conferenza venerdì 2 ottobre, ha invece detto che le indagini in corso su Volkswagen per le emissioni diesel truccate non devono trasformarsi in una campagna contro tutta l’industria tedesca. E ha quindi auspicato un’indagine approfondita sullo scandalo, che richieda anche un po’ di tempo, invece di una verifica frettolosa. Che però potrebbe tirar fuori dagli armadi scheletri molto ingombranti. Secondo quanto riporta il tabloid tedesco Stern, per esempio, oltre alle lobby automobilistiche anche lo stesso governo ha esercitato pressioni dirette sulla Commissione Europea per ottenere normative meno penalizzanti in materia di emissioni.

Il giornale cita documenti del ministero dell’Economia federale e riporta le telefonate fatte nel giugno 2012 dall’allora ministro Philipp Rösler a Günther Oettinger, all’epoca commissario europeo per l’energia e oggi con il portafoglio per l’economia e la società digitali. Alla base delle sue telefonate di Roesler, le segnalazioni al governo tedesco della Vda, l’associazione dell’industria automobilistica tedesca, circa il “peso potenzialmente enorme sui costruttori tedeschi di alta gamma” rappresentato dalle richieste della Commissione Europea in materia di emissioni.  La telefonata del giugno 2012 seguiva, sempre secondo secondo Stern, pressioni esercitate su Oettinger nel maggio 2011, quando l’industria tedesca aveva chiesto al governo di Berlino di sostenere una classificazione basata non solo sul valore assoluto delle emissioni, ma sul rapporto fra peso ed emissioni. Richiesta respinta da Bruxelles nonostante le pressioni tedesche.

Intanto si allunga la lista dei procedimenti aperti contro la casa automobilistica tedesca. In Italia l’Antitrust ha deciso di avviare nei confronti di Volkswagen e della sua filiale per la distribuzione di autoveicoli del gruppo in Italia un’istruttoria con l’ipotesi di pratiche commerciale scorrette. In particolare, i consumatori potrebbero essere stati indotti in errore nelle loro scelte d’acquisto dai claims utilizzati da Volkswagen su emissioni e classe di omologazione all’interno delle proprie campagne pubblicitarie e nei dépliants informativi distribuiti dai concessionari e rivenditori. La pratica riguarderebbe una condotta scorretta relativa a numerosi modelli commercializzati dal Gruppo Volkswagen dal 2009 al 2015 con i marchi Volkswagen, Audi, Seat, Skoda. Parallelamente, Adusbef e Federconsumatori hanno presentato esposti denuncia presso le 10 maggiori Procure della Repubblica, ipotizzando il reato di frode in commercio e truffa nei confronti della casa automobilistica tedesca. Le due associazione hanno inoltre messo a punto un prontuario per i cittadini, al fine di aiutarli a far valere i propri diritti ed ottenere i dovuti risarcimenti e invitano i consumatori a procedere senza fretta per mettere a punto nel migliore dei modi una class action efficace.

La procura di Parigi, invece, ha aperto un’inchiesta preliminare per truffa aggravata. L’inchiesta è stata avviata dopo la segnalazione di un amministratore locale della regione parigina, l’Ile-de-France, ricevuta giovedì in Procura, e sulla base delle informazioni e delle pubbliche dichiarazioni sul caso Volkswagen. L’ufficio del procuratore ha sottolineato che il codice di tutela dei consumatori in Francia prevede pene detentive di cinque anni e una multa di 600mila euro per frode aggravata. Oltralpe anche l’Authority di tutela per il consumatore ha aperto un’inchiesta parallela, concentrandosi in particolare sui dispositivi innestati sui veicoli che truccano i dati di emissione. I risultati di questa indagine, che non è penale, sono attesi a novembre o dicembre.

Ad Atene, invece, il ministero dell’Ambiente greco ha chiesto a tre concessionari Volkswagen locali di fornire i dati di eventuali auto vendute nel Paese con il software che trucca le emissioni diesel. “Il Ministero dà per scontato che i concessionari coopereranno”, si legge in una nota dove si dice anche che Atene vuole che i concessionari diano una “risposta immediata” sulle misure che intendono adottare per porre riparo ai problemi dei consumatori. In Svizzera, intanto, è stata disposta la sospensione da lunedì 5 ottobre delle immatricolazioni di modelli importati del gruppo Volkswagen ed equipaggiati con motori diesel che potrebbero essere interessati da irregolarità sui gas di scarico. Il blocco, deciso venerdì dall’Ufficio federale delle strade (Ustra), segue la decisione della scorsa settimana dell’ufficio federale della viabilità elvetico (Fedro) che aveva bloccato la vendita dei veicoli diesel della casa tedesca coinvolti nello scandalo. Sotto la lente dell’Ustra ricadono i modelli Euro 5 dei marchi Audi, Seat, Skoda e Volkswagen, fabbricati tra il 2009 e il 2014 ed equipaggiati con motori diesel 1.2 TDI, 1.6 TDI e 2.0 TDI. Non sono interessate dal provvedimento le auto già immatricolate in Svizzera, che possono continuare a circolare o essere commercializzate sul mercato dell’usato: i proprietari sono comunque rintracciabili, in vista di eventuali campagne di richiamo, tramite i dati a disposizione di Ustra e servizi della circolazione. La direttiva è stata notificata ai vari importatori e mira a impedire la messa in circolazione di veicoli nuovi non ancora immatricolati o usati provenienti dall’estero. La data di fine sospensione è ancora da definirsi.

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