Se è vero che hanno già raccolto oltre 250 mila dollari e che qualcuno ha valutato la loro app oltre sette milioni e mezzo di dollari, forse la cosa migliore da fare sarebbe non parlarne affatto per evitare di diventare involontariamente parte dell’immensa campagna pubblicitaria alla quale, mai come in questo caso, i commenti positivi e negativi – proprio allo stesso modo – finiscono con il dar vita.
Ma la provocazione – perché, per ora, di questo si tratta – lanciata da Julia Cordray e Nicole Mc Cullough, le due startupper canadesi trapiantate in California, creatrici di Peeple, merita una recensione negativa, una stellina sola ripetuta milioni di volte, una bocciatura secca e senza prova di appello prima che sia troppo tardi perché l’idea che sta alla base della loro app di trasformare gli essere umani in un piatto di pasta, una stanza d’albergo o un disco in vendita su un qualsiasi store online è intrisa di superficialità, anti-educativa, culturalmente preistorica, disumana – nel senso tecnico del termine – e, ma è davvero la cosa che conta di meno, giuridicamente irrealizzabile.
Il “lampo di genio” delle due startupper, sarebbe quello di domandare ai 3 miliardi di cittadini del mondo che popolano il web di darsi reciprocamente un punteggio, riassunto in stelline – da 1 a 5 – sotto il profilo personale, sentimentale e professionale esattamente come si fa su Tripadvisor per le strutture alberghiere e i ristoranti, su eBay per prodotti, servizi e venditori o per qualsiasi altro oggetto o servizio recensibile online.
E la prima stellina solitaria, l’app – se mai vedrà la luce – delle due startupper canadesi, la meriterebbero proprio per questo: un essere umano non è una cosa, non è un oggetto commerciale, non è un servizio e non può e non deve diventarlo neppure per un istante, neppure – ed anzi soprattutto – nella dimensione digitale e telematica. L’idea di appiattire una persona in una manciata di stelline – che siano tante o poche – appartiene ad una subcultura travolta – quasi ovunque – per fortuna, dalla storia e dai tempi, una subcultura che non si avverte davvero la necessità di risuscitare dall’oblio proprio in quella straordinaria agorà che è la Rete, sogno o utopia democratica di questo secolo.
La seconda stellina – che non si somma alla precedente ma ci si affianca – è quella relativa all’idea che chiunque – e dunque non solo i personaggi pubblici o quelli attorno ai quali sussiste, in relazione a taluni episodi, un interesse pubblico – debba, per davvero, ritrovarsi esposto al rischio di essere recensito, a suon di stelline, da chicchessia e privato del sacrosanto diritto a restare nella propria dimensione anonima e di ignoto, al riparo tra le pareti del proprio diritto alla privacy.
Qui la provocazione di Peeple diventa quasi paradossale e sarebbe il caso che una qualche Authority di casa nostra – o di qualsiasi altra parte del mondo – lo faccia notare alle due startupper canadesi prima che lancino la loro app. Poco più di un anno fa, almeno in Europa – a torto o a ragione – si è fissato il principio secondo il quale chiunque può domandare a Google di disindicizzare – ovvero sganciare dal suo nome e cognome – persino un articolo di giornale pubblicato esercitando il sacrosanto diritto di cronaca, semplicemente in nome del c.d. diritto all’oblio ovvero il diritto a veder dimenticato dalla collettività un episodio reale e di interesse pubblico, appartenente al nostro passato.
Ed oggi, le fondatrici di Peeple propongono al mondo intero addirittura di recensire donne ed uomini incontrati, magari solo una volta, per un aperitivo o una cena e rendere pubblico ciò che è nato e dovrebbe, naturalmente, restare privato. E’ sin troppo facile immaginare che nessuno dei Signor Nessuno, destinatari di una recensione negativa l’accetterà con rassegnazione e che, pertanto, un istante dopo averla ricevuta chiederà a Peeple di cancellarla in nome del proprio diritto alla privacy ed a Google di disindicizzarla. Peeple, insomma, rischia di essere, nella migliore delle ipotesi per le sue fondatrici, un firmamento di stelle cadenti, assai meno romantico e suggestivo di quello della notte di San Lorenzo.
Ma fuor di battuta, il punto è che, evidentemente il diritto alla privacy, conquista ultra centenaria dei diritti fondamentali dell’uomo, vieta a chicchessia di recensire in pubblico chicchessia salvo che non sussista un interesse pubblico alla recensione il che sembra da escludere almeno quando si entra – come Peeple “minaccia” di voler fare – nel mondo delle relazioni personali e sentimentali se non, addirittura, sotto le lenzuola, dove, pure, è fin troppo facile immaginare che ranking e stelline rischiano di spopolare e di diventare il modo meno romantico della storia per mostrare apprezzamento per la compagnia di una donna o di un uomo e quello più efficace per vendicarsi di un compagno o di una compagna che ci hanno traditi o abbandonati.
E c’è poi un’ultima – si fa per dire e solo per amor di sintesi – stellina solitaria, zero ranking, minimo dei voti che non ci si può davvero esimere dall’attribuire a quel poco che di Peeple sin qui si sa. Le due ideatrici dell’app, infatti, in uno “slancio” di umanità e di rispetto verso il prossimo sembrerebbero aver previsto che mentre le recensioni positive andranno online in tempo reale, i risultati negativi finiranno per 48 ore in un limbo per consentire al destinatario del giudizio di “difendersi” e convincere il recensore a non “punirlo” con un giudizio così poco lusinghiero, qualunque cosa abbia fatto per meritare solo una o due stelline.
Un altro paradosso, forse segno dei tempi. Un giudizio, senza giudice terzo: una tizia annuncia ad un tizio – o viceversa – che sta per raccontare al mondo che cenare con lui è stato di una noia mortale e che è una pessima compagnia, una compagnia da una stellina e il malcapitato si ritrova davanti un gigantesco timer che segna il tempo entro il quale potrà – e anzi dovrà se ci tiene alla “faccia virtuale” – convincere lei che quella sera aveva mal di testa, che il lavoro si è impossessato dei suoi pensieri, che lui, invece, è stato benissimo e magari riempirle la casa di rose rosse a gambo lungo o, ancor meglio, entrare su Peeple e recensirla con il massimo dei voti, 5 stelline, novello pegno d’amore e moderno segno di romantica generosità d’animo.
Un format degno del più stupido dei reality della Tv spazzatura dei nostri giorni, ma la vita reale è un’altra cosa e, soprattutto, il reality dura una manciata di ore mentre una recensione su Peeple potrebbe restare online per sempre. Ma poniamo il caso che io “accusato” di meritare una sola stellina mi difenda dicendo che neppure conosco il mio “carnefice monostellato”. Che succede? Chi decide se mi sta solo esponendo alla pubblica gogna magari per vendetta personale o se sono io – che peraltro nel legittimo tentativo di difendere la mia sacrosanta privacy – sto mentendo?
Un’app – come un film – non andrebbe recensita prima di averla vista ma, forse, questa è l’eccezione che conferma la regola perché, la sindrome delle stelline che sembra essersi impossessata del web potrebbe far sì che dopo il debutto di Peeple, sarà troppo tardi per invitare le sue fondatrici a pensarci una volta di più e a contare almeno fino a cinque [stelline] prima di iniziare a distribuire la loro app.
Ma magari mi sbaglio, Peeple spopolerà senza far danni e convincerà donne e uomini che, in fondo della nostra dignità non sappiamo cosa farcene e che, invece, ci piace giudicare e lasciarci giudicare a colpi di stelline.