Il Pd, loro partito di appartenenza, ha bocciato il piano per la ripubblicizzazione dell’acqua a Reggio Emilia, ma alcuni sindaci della provincia emiliana nel proprio Comune hanno messo al voto mozioni che invece spingono verso una gestione pubblica del servizio. Cavriago, Albinea, Quattro Castella, Novellara, Casalgrande. Sono alcune delle amministrazioni targate Pd che non hanno abbandonato l’idea di mantenere la promessa fatta ai cittadini nell’ultima campagna elettorale, rispettando l’esito del referendum del 2011, quando a Reggio Emilia si gettarono le basi per passare dalla gestione idrica in mano alla multiutility Iren a quella di una società in house. E questo, nonostante la direzione del Partito democratico abbia accantonato l’ipotesi prima dell’estate, ritenendo inapplicabile lo studio di fattibilità elaborato da Agenia che lo stesso Pd aveva commissionato dopo la consultazione popolare.
L’obiettivo dei sindaci “controcorrente” è scongiurare la gara diretta, che porterebbe a un nuovo affidamento del ciclo idrico per 25 anni a una società esterna, con il rischio di perdere il controllo e la qualità sul servizio. “La scelta di una società in house ci può tutelare da eventi irreversibili, perché non sappiamo cosa diventerà la risorsa acqua tra 25 anni, né se il gestore potrà rimanere lo stesso per quel tempo” ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Nico Giberti, sindaco di Albinea, uno dei primi comuni a esprimersi a favore dell’acqua pubblica anche dopo il niet del Pd. “Per noi è fondamentale sancire che il piano presentato da Agenia è percorribile fino a prova contraria, ossia nel caso si rivelasse davvero insostenibile per i comuni”.
Una delle questioni sollevate dai contrari alla ripubblicizzazione è proprio quella della sua sostenibilità economica, che a seconda dell’interpretazione di un comma della legge di stabilità (su cui da Roma non è arrivata ancora una posizione ufficiale) potrebbe equivalere o meno al collasso delle casse comunali. “E’ necessario avere certezza sull’interpretazione della legge da parte di un organo istituzionale, per capire se l’investimento da parte degli enti possa garantire la qualità del servizio ai livelli di eccellenza – chiarisce Alberto Vaccari, primo cittadino di Casalgrande, che nel prossimo consiglio comunale metterà al voto un documento a sostegno dell’acqua pubblica – Sicuramente una società pubblica è meglio dell’affidamento a un terzo”. Nel caso la ripubblicizzazione non fosse percorribile, per Vaccari ci si dovrebbe comunque focalizzare su un capitolato di gara molto vincolante, “per avere garanzie sulla territorialità, sul livello di investimenti e sulle tariffe”. “Il problema – aggiunge – è che ci sono normative poco chiare, ed è per questo che c’è un dibattito interno con amministratori che hanno posizioni contrapposte. Ma nel Pd non siamo più figli del pensiero unico, la discussione è un arricchimento. Ci sono province invece in cui il dibattito non si è nemmeno creato”.
Il confronto sull’acqua, almeno a detta delle voci fuori dal coro, è ancora aperto, con l’obiettivo di trovare la mediazione migliore tra la messa in sicurezza dei bilanci degli enti e il rispetto del mandato referendario. E anche se il conto alla rovescia fino alla fine dell’anno, quando la decisione dovrà essere presa ufficialmente, è già cominciato, pare che da più parti, anche tra i contrari alla ripubblicizzazione, ci siano gruppi già al lavoro per trovare alternative, come per esempio quella già ventilata di una società mista pubblico-privata. Ma per ora non c’è alcuna ufficialità.
“Andare a gara sarebbe allontanarsi molto dallo spirito del referendum e noi, anche se siamo un Comune piccolo, abbiamo voluto dare un segnale – ha commentato Elena Carletti, sindaco di Novellara, dove il tema nel 2011 aveva portato a denunce e ad accese contrapposizioni, tanto da spingere in seguito gli amministratori a modificare lo Statuto per inserire il concetto di “acqua bene comune”. “Speriamo di riaccendere il dibattito in corso perché pensiamo che il piano di Agenia non si debba buttare via – ha continuato – Abbiamo esperienze molto virtuose di società pubbliche, quindi crediamo che questo percorso sia serio e debba proseguire, se possibile dal punto di vista economico”. Unanime nel sì è stato anche il consiglio comunale di Quattro Castella. “Una società di proprietà solo dei comuni reggiani è vicina ai cittadini, più etica nell’azione, più attenta agli investimenti e meno alle trimestrali di cassa dei mercati di Borsa” spiega a ilfattoquotidiano.it il sindaco Andrea Tagliavini, che sulla sua posizione rispetto a quella del partito chiarisce di avere agito in coerenza con gli impegni assunti in campagna elettorale e quindi nell’interesse dei suoi cittadini. “Lo studio commissionato dalla assemblea dei sindaci ha confermato la fattibilità del progetto di ripubblicizzazione – ha aggiunto – certo complessa ma fattibile e reversibile, a differenza della gara privata che vincolerebbe per 25 anni il territorio”.
Quello che è certo è che il territorio emiliano si sta schierando, e per ora il fronte pro acqua pubblica è ancora una minoranza, anche se nelle prossime settimane prese di posizione simili potrebbero arrivare anche da alcuni comuni della montagna, che però vorrebbero certezze per quanto riguarda la sicurezza dell’operazione per i bilanci. Altre amministrazioni poi, come Cadelbosco e Guastalla, attendono di capire la fattibilità non solo economica, ma anche normativa. Per sciogliere le riserve e far uscire da questa fase di stallo, spiega il Comitato Acqua bene comune, che si batte da anni per la strada dell’acqua pubblica, sarebbe necessaria la certificazione di un ente terzo qualificato, come proposto ai sindaci dalla Camera del lavoro di Reggio. Per ora però, pare che nessun organismo sia stato interpellato dagli amministratori. “Perché i sindaci non rispondono?” chiede Cesare Schieppati del comitato, che accusa: “Nel frattempo continua a non uscire, da parte dei detrattori della ripubblicizzazione, un progetto alternativo. Il che è abbastanza surreale”.