I negoziatori di Stati Uniti e di altri undici Paesi del Pacifico hanno firmato il più grande accordo di libero scambio nella storia recente, il Trans-Pacific Partnership. Sulla carta l’accordo intende abolire barriere commerciali e stabilire regole comuni in materia di tutela dei lavoratori, dell’ambiente e della regolamentazione dell’e-commerce in Paesi che in totale coprono il 40% della produzione mondiale: Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Messico, Perù, Cile, Vietnam, Singapore, Brunei e Malesia. La Cina è fuori. Del resto è noto che l’intesa rientra nei piani della Casa Bianca che prevedono lo spostamento degli interessi degli Usa verso il Pacifico anche per contrastare il dilagare di Pechino. Non per niente il presidente Barack Obama subito dopo la firma ha chiosato: “Non possiamo lasciar scrivere le regole dell’economia globale a Paesi come la Cina”.
L’accordo, che dovrà essere approvato ora dal Congresso Usa e dai rispettivi governi degli altri Paesi, è arrivato dopo un’ultima maratona negoziale durata l’intero weekend in un albergo di Atlanta, negli Stati Uniti. Dopo quasi 8 anni di trattative, durante i quali ha dovuto affrontare non solo le difficoltà negoziali ma anche resistenza interne, Obama incassa così il principale successo della sua agenda economica. Rispondendo alle critiche di chi teme rischi per i consumatori, il presidente ha detto che l’intesa “livella il terreno di gioco per i nostri agricoltori, allevatori e industriali” e “dà ai nostri lavoratori l’equa chance di successo che spetta loro”. Poi ha assicurato: “Gli americani avranno mesi per leggere ogni singola parola del trattato”. I cui dettagli finora sono stati tenuti segreti, proprio come quelli del discusso Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip) tra Usa e Ue. Che secondo i leader del G7 dovrebbe essere sottoscritto entro fine anno, ma i cui negoziati languono.
L’ultimo nodo del Tpp ha riguardato la protezione dei brevetti farmaceutici, ma i colloqui sono stati difficili anche per il settore auto, i latticini e la proprietà intellettuale. Ora la parola spetta al Congresso Usa che dovrà ratificarlo. E già si prevede una lunga battaglia. Obama si troverà ora a dover di nuovo a fare i conti con i dubbi dei repubblicani, ma anche di molti democratici, sull’impatto che l’accordo potrà avere sull’economia reale americana. Dal momento che nei mesi scorsi, dopo un lungo braccio di ferro, Obama ha ottenuto il fast track, il Congresso non potrà però emendare il contenuto dell’intesa ma solo approvarla o bocciarla. Il voto comunque non sarà immediato e potrebbe arrivare il prossimo febbraio o anche più in là, se Obama aspetterà che vengano delineati tutti gli ultimi dettagli prima di comunicare al Congresso con 90 giorni di anticipo la sua intenzione di firmarlo, come è obbligato a fare.
Inevitabilmente il tema è destinato a essere uno degli argomenti della campagna elettorale del 2016, con Donald Trump che già critica l’accordo e Hillary Clinton che, di fronte alla forti critiche espresse dalla sinistra democratica, ha assunto una posizione attendista sui negoziati che ha lanciato lei stessa da segretario di Stato. Una cautela dettata da necessità elettorali dal momento che l’Afl-Cio, i sindacati confederati Usa il cui sostegno è cruciale per il candidato democratico alla Casa Bianca, è critico nei confronti dell’intesa. E ha appoggiato la sinistra democratica guidata da Elizabeth Warren, ex consigliere economico di Obama e ora senatrice leader dei liberal, contraria alla concessione del fast track.
Ora che l’accordo è chiuso, l’amministrazione democratica spera di riuscire a ridurre l’opposizione di sindacati e gruppi ambientalisti insistendo su quelle che vengono definite “le misure più robuste in materia ambientale finora previste da un accordo commerciale”. “Tpp mette l’interesse dei lavoratori americani al primo posto – sostengono fonti dell’amministrazione citate dal sito Politico.com – comprendendo gli standard più severi in materia di tutela dei lavoratori, anche nelle aree dello sfruttamento del lavoro minorile, di lavoratori non protetti e dei salari minimi“.