Persino Kitt, la prima auto “smart” e completamente automatizzata della storia della tv (era la protagonista della serie degli anni 80 Supercar quasi quanto David Hasselhoff), ogni tanto si lasciava andare a qualche battuta di spirito. Un lato “umano” che invece sembra mancare completamente alla Google Car, la vettura cui la società di Mountain View sta lavorando alacremente ormai da anni per portare sul mercato la prima auto che si guida da sola della storia.
Roba da fantascienza, ormai sdoganata da una delle compagnie più importanti – e ambiziose – del mondo, che dell’efficienza ha fatto un marchio di fabbrica. Eppure, potrebbe essere proprio questo aspetto a causarle qualche difficoltà, perché uno dei più grandi problemi della Google Car, al momento, è che… è praticamente perfetta. Anche troppo per la guida umana, decisamente meno prudente e più “emotiva” rispetto all’intelligenza artificiale alla base dell’auto.
I dubbi sono emersi durante i primi test sulle trafficate strade di Los Angeles, dove chiunque, letteralmente, possiede e usa un’auto per coprire distanze a volte ridicole: la guida eccessivamente prudente della Google Car, impostata per rispettare alla lettera il Codice della Strada, ha costretto diversi automobilisti meno virtuosi di lei a inchiodare all’ultimo minuto quando, per esempio, la macchina rallentava nell’avvicinarsi a semafori gialli. Che, nel vademecum non scritto dell’automobilista urbano è semmai solitamente sinonimo di necessità di accelerare.
Il New York Times riporta che soltanto lo scorso settembre la Google Car è rimasta coinvolta in un incidente quando, in prossimità delle strisce pedonali, si è fermata per lasciare attraversare un incredulo pedone che dopo essere riuscito a guadagnare l’altro lato della strada ha osservato la macchina venire tamponata da una berlina guidata da un automobilista distratto. Ma i segnali di un carattere decisamente troppo pignolo erano arrivati già nel 2009, quando durante un test l’auto di Mountain View è rimasta ferma per ore a un incrocio a 4 corsie perché i suoi sensori le imponevano di restare in attesa sino a quando qualcuno non si fosse fermato completamente per farla passare. Il fatto che gli ansiosi automobilisti continuassero ad avanzare di qualche millimetro, frementi, l’ha letteralmente paralizzata.
Ed è per questo che Google, stando a quanto confermato da Chris Urmson, l’uomo incaricato di trasformare in realtà il progetto dell’auto che si guida da sola, ha confermato al Wall Street Journal la necessità di “umanizzare” la guida della sua creatura, perché “le nostre auto sono un po’ più prudenti di quanto sia necessario”. A confermare la necessità di mettersi al lavoro sulle “emozioni” della Google Car sono i numeri: in 6 anni di test su strada, è rimasta coinvolta in 16 incidenti, e poco importa che siano stati tutti causati da errore umano. L’auto di Mountain View è decisamente troppo zelante, ed entra in modalità prudente ogni volta che i sensori captano un potenziale pericolo, oltre a evitare tutto ciò che un comune automobilista commette almeno una volta al giorno: tagliare gli angoli delle curve, accelerare al giallo, non rispettare la doppia linea continua e così via. Tutte piccole infrazioni, effettivamente punite dal Codice della Strada, ma comunemente commesse e tollerate.
La sfida adesso è quindi quella di mettere a punto un sistema operativo meno scrupoloso, ma neppure eccessivamente lassista: l’idea alla base della Google Car non è soltanto quella di fare risparmiare tempo alle persone, ma anche di incrementare la sicurezza e diminuire gli incidenti, cosa che secondo le stime potrebbe riuscire a fare di quasi il 100%. Un recente studio ha dimostrato che togliendo dall’equazione il fattore umano, errori ed emozioni comprese, potrebbero ridursi del 90% le morti provocate da incidenti stradali, che per l’Organizzazione mondiale della Sanità sono al nono posto nella classifica delle principali cause di morte tra gli adulti e addirittura la prima fra gli under 19. Rendere la guida della perfetta Google Car troppo simile a quella degli imperfetti umani diventerebbe dunque controproducente, ma d’altro canto, almeno per qualche decennio dal suo debutto sul mercato la convivenza sarà inevitabile.