Lavoratrici, mamme o pensionate: qualunque sia il ruolo, in Italia sono le donne a essere discriminate. A segnalare questa profonda asimmetria di genere l’Istat (leggi qui) in un’audizione alla Commissione lavoro della Camera (guarda). L’Istituto nazionale di statistica dipinge un mondo del lavoro che parla solo al maschile, con uomini dagli stipendi maggiori rispetto alle colleghe e un aumento di lavoratrici irregolari e neo mamme senza occupazione dopo il parto.
Sono sempre le donne a rimanere a casa per motivi legati alla famiglia: succede al 30% delle madri e quasi a una su quattro delle under 65 (rispetto al 3% degli uomini).
Disuguaglianze di genere che per l’Istat sono le causa delle disparità di trattamento pensionistico: le donne, infatti, sono la maggioranza dei pensionati (53%) ma assorbono solo il 44% dei 275.079 milioni di euro di spesa pensionistica. In altre parole, assegni “rosa” più bassi: sotto i mille euro più della metà delle pensionate (rispetto a un terzo degli uomini) mentre il 15% resta sotto la soglia dei 500 euro al mese.
Quasi una donna su tre lascia il lavoro dopo un figlio
I problemi di occupazioni di molte donne arrivano alla nascita di un figlio, tanto che più della metà delle interruzioni di lavoro avvengono dopo la gravidanza con un trend in salita di occupate che, in corrispondenza della maternità, hanno lasciato o perso il lavoro. Dati alla mano, si parla di uscite prolungate di almeno 5 anni nel 60% dei casi.
Alla disparità di genere in ufficio si associa un’elevata asimmetria dei ruoli della coppia: la mamma resta la figura più presente in casa, visto che nelle coppie con figli il 72% delle ore di cura della coppia sono svolte dalle donne.
Più part-time e precarietà femminile
“Oltre ad avere più interruzioni per motivi familiari – si legge sul rapporto Istat – i percorsi lavorativi delle donne sono più spesso caratterizzati da lavori atipici”. Solo il 61,5% delle lavoratrici ha avuto un percorso standard (contro il 69% dei colleghi), mentre si segnala un aumento del part-time femminile e delle occupazioni irregolari “rosa”. Non conta neppure quanto abbiano studiato: a parità di titolo di studio, il reddito medio di un uomo e di una donna sarà sempre a favore del polo maschile.
Pensioni “rosa”, il 52,8% sotto i mille euro
“I differenziali di genere nelle pensioni non verranno colmati” fino a che “non saranno superate le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro – si legge sul report di Istat – nell’organizzazione dei tempi di vita e non sarà disponibile una rete adeguata di servizi sociali per l’infanzia”. Anche la previdenza, infatti, è al maschile.
Uno sguardo d’insieme fa capire come gli uomini percepiscano importi maggiori delle donne in tutte le classi di età. Poco più di una donna su dieci, per esempio, ha un assegno pensionistico trai 1.500 e i 2mila euro rispetto al 21% degli uomini mentre il numero dei pensionati con assegno superiore a 3mila euro al mese è tre volte superiore a quello delle donne. Incide non solo la carriera, ma anche differenze di genere – a casa e sul posto di lavoro – poco favorevoli per il gentil sesso. Per lavoratrici discriminate oggi che si traducono inpensionate svantaggiate domani.