Per Erri De Luca, comunque vada, oggi finirà un percorso difficile. Il Tribunale di Torino emetterà la sentenza nel processo in cui lo scrittore 65enne è imputato per istigazione a delinquere finalizzata al sabotaggio per le dichiarazioni a Huffington Post e Ansa del 1 settembre 2013 (“la Tav va sabotata”). Dopo la denuncia di Ltf, società incaricata dei lavori preliminari per la Torino-Lione, è cominciato il processo e nell’ultima udienza (il 21 settembre) la procura ha chiesto la condanna di De Luca a 8 mesi.

Come aspetta la sentenza?
Mi sento abbastanza congedato. Sarà un capolinea rispetto a questa incriminazione balorda. Se sarò assolto, sarà ripristinata una legalità e l’articolo 21 della Costituzione prevarrà.

E se fosse condannato?
Prevarrà l’articolo 414 del codice penale fascista.

Se condannato, lei non farà appello. Con una pena bassa non andrebbe in carcere, ma per lo Stato sarebbe un condannato.
Sarei il primo condannato per istigazione e spero anche l’ultimo.

Che effetto le ha fatto essere a processo?
Da un certo punto di vista ero lusingato: per i pm ero un criminale pericoloso perché uno scrittore ha un’influenza su persone che neanche conosce, un potere che non viene riconosciuto neanche ai politici coi loro militanti. Certo, quando il giudice ha chiesto al dirigente della Digos se dopo le mie dichiarazioni fossero aumentati gli atti ostili contro il cantiere, l’agente ha detto no.

Nell’ultima udienza magistrati e avvocati hanno citato scrittori e filosofi. Lei da intellettuale cosa pensava in quei momenti?
Dagli accusatori una disquisizione di letteratura è goffa. Era un processo e le citazioni non servono per incriminare. Piuttosto avremmo potuto fare un dibattito sul verbo “sabotare”.

In Francia cineasti, avvocati e politici hanno firmato appelli in sua difesa. In Italia sono stati più tiepidi.
Rispetto alla presa di posizione dei francesi sì: loro si sono impegnati come se fossi un cittadino francese. Ma non dimentico che il primo a intervenire è stato il produttore Domenico Procacci che, ricevendo un premio, me lo dedicò senza che fossimo stati in contatto.

In Francia però processano e condannato artisti e intellettuali per la loro satira o per le loro opinioni storiche negazioniste.
Il negazionismo e l’incitamento all’odio sono due infamie, come la diffamazione. Non possiamo dire qualunque cosa.

È quello che sostengono pure i suoi accusatori.
Sì, ma io non riconosco un reato creato in epoca fascista per il quale non ci sono precedenti. E poi ci si dimentica una parte di quell’intervista.

Quale?
Prima di dire che il Tav va sabotato, ho risposto che per me non esisteva nessun allarme terrorismo. Poi spiegavo che l’arsenale (trovato sull’auto di due No Tav nell’agosto 2013, ndr) era costituito da cesoie appartenenti a uno che fa il giardiniere. Ha dato fastidio la negazione del terrorismo, finora negato anche dalle sentenze.

Nel processo non s’è parlato del suo passato in Lotta Continua. Ma dopo l’omicidio del commissario Calabresi, provocato da una campagna del giornale Lotta Continua, non ha mai pensato che le parole potessero andare oltre le intenzioni?
È una situazione incompatibile con quella attuale: quel giornale era la voce di un movimento con migliaia di militanti, mentre oggi sono una persona isolata che approfitta della sua notorietà per rilanciare le giuste ragioni della lotta civile della Val di Susa.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 ottobre 2015

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