Al presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, Roberto Fico, basta una parola: “Inqualificabile”. Ne occorre qualcuna in più, invece, a Davide Caparini del Carroccio: “Quella che era stata annunciata come una riforma epocale si è rivelata, in realtà, una riformicchia”. E c’è perfino chi, come il coordinatore nazionale di Sinistra ecologia e libertà Nicola Fratoianni, preferisce ricorrere alle metafore: “Siamo di fronte ad un caso di Robin Hood al contrario, che ruba al Parlamento per donare al governo anziché al popolo”. Dalla Lega al Movimento 5 Stelle, da Sinistra ecologia e libertà a Forza Italia il coro è unanime: tutti contro la riforma della Rai, contenuta nel discusso disegno di legge (ddl) del governo guidato da Matteo Renzi. Che ridisegna la governance di Viale Mazzini, rimpiazzando l’attuale direttore generale (dg) con la discussa figura dell’amministratore delegato e riscrive sistema di nomina e composizione del consiglio di amministrazione (cda). Due punti contestatissimi, tra gli altri, finiti nel mirino delle pregiudiziali di costituzionalità sollevate contro il provvedimento dalle opposizioni e sulle quali l’Aula di Montecitorio, dove il testo è arrivato dopo il via libera di Palazzo Madama, sarà chiamata oggi pronunciarsi in un clima da battaglia campale.
GOVERNO PIGLIATUTTO – Ma cosa prevede nel dettaglio la riforma del governo? Il nuovo ad, nominato dal cda su proposta dei soci, e quindi del ministero dell’Economia che detiene il 99,56% delle azioni Rai (il rimanente 0,44% appartiene alla Siae, la Società italiana autori ed editori), godrà di poteri molto più ampi rispetto all’attuale dg del quale prenderà il posto. Nominerà i dirigenti e dovrà tener conto del parere del cda (vincolante sui direttori di testata se espresso a maggioranza dei due terzi) esclusivamente per le scelte editoriali. Potrà assumere, promuovere e decidere la collocazione dei giornalisti all’interno dell’azienda su proposta dei direttori di testata entro i limiti del contratto di lavoro. Non solo: godrà di massima autonomia nella gestione economica e potrà stipulare direttamente contratti fino a 10 milioni di euro di valore. Essendo stata l’attuale governance insediata in base alla Legge Gasparri, in via transitoria i poteri del nuovo ad saranno conferiti all’attuale dg, Antonio Campo dall’Orto, finché, alla scadenza degli attuali vertici, i successivi saranno nominati in base alla nuova disciplina. Un emendamento di Forza Italia approvato a Palazzo Madama, che ha modificato la stesura originaria del ddl del governo, ha introdotto inoltre la figura del presidente di garanzia: nominato dal cda tra i suoi componenti, dovrà ottenere la ratifica della commissione di Vigilanza a maggioranza dei due terzi. I consiglieri di amministrazione scendono da 9 a 7: due nominati dal governo, uno designato dall’assemblea dei dipendenti e quattro, la maggioranza, eletti dal Parlamento, due dalla Camera e due dal Senato a maggioranza assoluta e con un sistema di voto che prevede la preferenza unica. Una procedura duramente contestata dalle opposizioni secondo le quali, per effetto del premio di maggioranza previsto a Montecitorio dalla nuova legge elettorale (l’Italicum) e il meccanismo di nomina dei nuovi senatori, consegnerà al primo partito il potere di eleggere tutti e quattro i consiglieri di nomina parlamentare e al governo il controllo totale del servizio pubblico. Fortemente osteggiata dalle minoranze anche la norma che introduce una deroga all’applicazione del codice degli appalti per i contratti aventi ad oggetto acquisto, produzione e commercializzazioni di programmi radiotelevisivi e per l’acquisizione di servizi e forniture di valore inferiore alle soglie stabilite dalle norme europee che rendono obbligatoria la gara pubblica. Il testo comprende, infine, una delega al governo per il riordino e la semplificazione dell’assetto normativo.
PARLAMENTO ESAUTORATO – La prima battaglia si combatterà oggi. Quando le opposizioni tenteranno – obiettivamente con scarse possibilità di successo – di far passare le rispettive pregiudiziali di costituzionalità per bloccare il provvedimento. “Renzi aveva presentato questa riforma al grido di ‘via i partiti da Viale Mazzini’ ma poi ha partorito un testo che consente al governo di nominare un ad con pieni poteri e senza nessun contrappeso – fa notare il presidente della commissione di Vigilanza, Roberto Fico, del M5S –. Nonostante la Corte Costituzionale abbia più volte sentenziato che il potere esecutivo deve restare distante dalle nomine Rai, il testo del governo equiparerà l’Italia a Paesi come la Moldavia e l’Ungheria più volte richiamati dall’Eruopa per la loro legislazione in tema di emittenza pubblica”. In piena sintonia anche la posizione di Sel. “Siamo al capolavoro: un cda eletto con la legge Gasparri, da sempre votata al massimo della lottizzazione, e un amministratore delegato diretta emanazione del governo”, sentenzia Nicola Fratoianni. Bocciatura totale anche dalla Lega Nord. “Questo provvedimento, preannunciato come una riforma epocale, ha finito per rivelarsi una riformicchia – accusa Davide Caparini del Carroccio –. Un testo che fa della Rai concessionaria pubblica a vita, mentre rispetto alle promesse iniziali di Renzi, ‘i partiti fuori da Viale Mazzini’, l’esecutivo ha cambiato decisamente verso, passando ad un nuovo slogan: il governo dentro la Rai”. Nella pregiudiziale di costituzionalità del Carroccio, pronto peraltro a sostenere anche gli emendamenti del M5S, si punta il dito anche contro la composizione del nuovo cda, nel quale la Lega chiede l’ingresso di un rappresentante delle associazioni dei consumatori e di un rappresentante dell’Autorità garante per le comunicazioni. “L’obiettivo è correggere l’esproprio delle prerogative del Parlamento, unico organo costituzionale direttamente eletto dai cittadini – conclude Caparini –. Per questo la nostra proposta prevede anche di elevare ai due terzi la maggioranza per le decisioni del cda che, con il nuovo sistema di nomina, diventerebbe di fatto un organo di ratifica delle decisioni del dg e, quindi, del governo”.
RICHIAMI ALLA CONSULTA – Poi ci sono i richiami alle sentenze della Consulta. Tre in particolare, citate nelle pregiudiziali del M5S, Forza Italia e Sel, per sottolineare la centralità del Parlamento rispetto all’esecutivo in tema di emittenza pubblica. La prima del 1974, che indicò “come condizioni minime necessarie perché il monopolio statale possa essere considerato conforme ai principi costituzionali” la necessità che “gli organi direttivi dell’ente gestore”, in questo caso della Rai, “non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantire l’obiettività”. La seconda del 1987, con la quale la Corte sancì il rilievo costituzionale della commissione di Vigilanza sulla Rai, riconoscendo la natura di “servizio sociale” del servizio radiotelevisivo pubblico “diretto ad assicurare l’effettività della libera manifestazione del pensiero e della libera informazione” come “aspetti essenziali e inscindibili di un unico valore costituzionalmente protetto in via primaria dall’articolo 21” strutturato “nell’orbita del Parlamento”. Infine, la terza del 2009 con la quale, risolvendo un conflitto sorto proprio tra la commissione di Vigilanza e il governo in tema di revoca dei consiglieri di amministrazione della Rai (deliberata dall’assemblea, ma acquista efficacia a seguito di valutazione favorevole della commissione di Vigilanza), la Consulta ha ricordato che se la nomina dei consiglieri “obbedisce alla logica della scelta discrezionale”, la revoca “implica un giudizio sull’operato del componente dell’organo, che non può essere lasciato – pena la perdita del minimo di tutela della sua indipendenza – alla libera e incontrollata decisione di chi lo ha nominato”. Nel caso affrontato dalla Corte, il ministero dell’Economia e, quindi, il governo.
Twitter: @Antonio_Pitoni