Va in onda stasera la prima puntata live del talent ideato da Simon Cowell: abbiamo messo a confronto due opinioni opposte, guardare o no il programma di Sky? Michele Monina e Domenico Naso dicono la loro.
Dopo le audizioni in giro per l’Italia. Dopo le audizioni trasmesse in tv. Dopo i bootcamp trasmessi in tv (che diavolo sono i Boot Camp?). Dopo le Home Visit trasmesse in tv. Dopo tutti gli spot in cui abbiamo visto i giudici aggirarsi per una metropoli apocalittica, con gli ex vincitori, o parte degli ex vincitori, lì a fare le belle statuine, non solo metaforicamente. Eccoci arrivati all’inizio di X-Factor. Inizio di un programma televisivo apparentemente marginale, perché trasmesso su una pay Tv, ma decisamente cool, molto seguito sui social, capace di sfornare una stellina come Fragola, mica chiacchiere. E siccome i panni di Superciuk dopo un po’ ci stanno stretti (o larghi, a seconda dell’autostima), eccoci a stilare una classifica sempre di nickhornbyiana memoria dei cinque validi motivi per non seguire il talent di Sky.
Cinque nomi, secchi. Con l’impegno di non citare né Aurora Ramazzotti né Morgan. Impegno venuto meno sul nascere.
Via alle danze.
Primo, Fedez. Ha conquistato il cuore delle ragazzine con le sue lacrime a comando. Ogni passaggio una lacrima. Ogni eliminato una lacrima. Ogni canzone che superasse i 40 BPM una lacrima. L’hashtag #cosechefannopiangerefedez l’anno scorso ci ha tenuto compagnia mentre sullo schermo passavano cantanti di cui avremmo presto dimenticato nome e faccia, grazie a Dio. Lacrime a go-go. Ora, però, dopo la vittoria dell’anno scorso, dopo la collaborazione con il suo Fragola, dopo le polemichelle con Morgan e con Gasparri, Fedez non veste più i panni della Madonna dei sette dolori, ma del duro e cinico che parla di musica come se fosse argomento che lo riguarda. Certo, la speranza è che funzioni ancora come giudice, che con la televisione ci prenda gusto, che diventi il suo lavoro principale, il suo unico lavoro. Noi facciamo tutti il tifo per lui.
Secondo, gli ex campioni di X-Factor. Quando un paio di anni fa Antonio Maggio ha trionfato a Sanremo Giovani e abbiamo scoperto che era il vincitore della prima edizione del talent inventato da Simon Cowell, lui ex leader degli Aram Quartet, abbiamo tirato un mezzo sospiro di sollievo: allora è possibile rimuovere anche i vincitori dalla nostra memoria, non solo tutti gli altri concorrenti. Intendiamoci, lui, Antonio Maggio, è anche bravo, non a caso non ha avuto nessun successo legato alla trasmissione, in tutto e per tutto un programma televisivo e niente più. I nomi dei dimenticati, nonostante le edizioni siano ormai nove, cominciano a essere abbastanza per mettere su una squadra di calcetto. A fianco di Antonio Maggio e gli altri tre Aram, infatti, c’è Matteo Beccucci, vincitore della seconda edizione, passato per qualche musical e poi, si suppone, finito al karaoke, e Nathalie, cantautrice passata da X-Factor a Sanremo e poi, via, nel dimenticatoio. In mezzo, va detto, Marco Mengoni, che è il solo, in effetti, a aver percorso una strada verso il successo, poi la Michielin, più che altro nota per i cori fatti nei singoli di Fedez, la Galiazzo, quella degli spot Tim, Michele Bravi, bruciato sull’altare del nulla e ora riciclatosi come artista indipendente e prevalentemente come youtuber e Fragola, sul quale mi sembra di aver già detto abbastanza. Come lo spot di presentazione ben lasciava intuire, belle statuine e niente più, come i personaggi delle serie tv, quando escono di scena sembra lasceranno un vuoto incolmabile, e appena arriva un nuovo protagonista ce li siamo scordati.
Terzo, lo spot di X-Factor. Ne abbiamo parlato fugacemente. Ma lo spot di presentazioni di X-Factor 9 meriterebbe il nome di un colpevole, con conseguenza condanna esemplare. Ricorderete, c’è una mezza apocalisse, un mondo in cui la musica sembra destinata a scomparire. Trattandosi dello spot di X-Factor, in effetti, ci potrebbe perfettamente stare, una sorta di ammissione di colpa, si è pensato in un primo momento. Invece, la musica di Sound of silence di Simon & Gurfunkel in versione rock di sottofondo, il tutto si trasforma in una specie di rivolta degli oppressi, coi giudici a guidare il popolo italiano (quante volte lo sentiremo evocare, sto benedetto popolo, anche quest’anno?) al grido di “Revolution”. Una roba da far accapponar la pelle, ma non per presunti spiriti sopiti tirati in ballo, ma proprio per l’idea che a guidare una ipotetica rivoluzione contro un Grande Fratello dedito allo spegnimento degli stereo più che al controllo delle vite altrui siano personaggi tanto improbabili quanto i giudici del talent. Skin, per dire, sarà anche stata una rocker di razza, e magari, da qualche parte, lo sarà ancora, ma come può gridare seriamente “revolution” e poi finire lì, di fianco a Elio e Fedez a sparare idiozie, giustificando scelte degli autori dedite alla costruzione di una narrazione televisiva ben più che a inseguire talenti? Aridatece Robespierre.
Quarto, Fragola. No, scherzavo. Quarto è Luca Tommassini. Il suo lavoro a X-Factor è diventato via via sempre più importante, le sue coreografie, le sue idee scenografiche, il suo modo di portare sul palco canzoni e arrangiamenti sono edizione dopo edizione sempre più ficcanti, importanti, necessarie. Al punto che, su quel palco, anche uno che al karaoke sotto casa colpiremmo con lattine e noccioline può sembrare non dico talentuoso, ma quantomeno passabile. Così poi succede che questi ragazzi, dopo aver cantato in tv, con ballerini, nani e elefanti si ritrovano a fare serate in giro per l’Italia, almeno nell’estate seguente la propria partecipazione al talent, sprovvisti di tutto questo ben di Dio. Risultato, noccioline e lupini piovono davvero loro addosso, con conseguente calo di autostima e, questo sì necessario, altrettanto conseguente cambio di programmi di vita sul lungo termine. Ci provasse, almeno una volta, a farli esibire con l’ausilio della sola voce e interpretazione, non tanto per riposarsi, quanto per chiarire una volta per tutte che X-Factor è un programma televisivo, legato più all’immagine che al suono. Ne guadagnerebbe lui, a cui tutti dovrebbero riconoscere il ruolo di deus ex machina, e ne guadagneremmo noi, giustificati a dare più credibilità a Violetta che a Fragola.
Quinto, Mara Maionchi. O meglio, l’assenza di Mara Maionchi. O la presenza di Mara Maionchi, ma non in veste di giudice. O il tentativo di usare Mara Maionchi per dare un po’ di credibilità musicale a un programma che di credibilità ne ha pochina, se non nulla, in fatto di musica. Uscita dalla porta la discografica dal linguaggio più ruvido del panorama italiano è rientrata l’anno scorso dalla finestra, sola capace di rianimare un’edizione moscetta, vuoi perché lo stile Sky già era stato visto e apprezzato l’anno precedente, vuoi perché, arrivati l’anno scorso all’ottava edizione ormai era evidente che di talenti non ve n’era neanche l’ombra, già passati inosservati di qui, o semplicemente estinti, come gli Unicorni. Oggi viene venduta come il cuore del programma, l’anima del programma, però lei del programma non fa parte, essendo in realtà il cuore di Xtra-Factor. Invece di fare il poker di cantanti male assortiti, la produzione poteva osare di più e lasciare a casa, per dire, un Elio ormai incamminatosi sulla via della misantropia, o una Skin, decisamente fuoriluogo coi suoi “Attacca” e l’italiano da Dan Peterson. Osare e X-Factor formano un ossimoro, è vero, allora tanto vale far presentare Wild alla Maionchi. Per noi è no.