Mentre il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco incassava il plauso e il sostegno del presidente della Repubblica, alla Camera Magda Bianco, capo del Servizio Tutela dei Clienti e Antiriciclaggio di Via Nazionale spiegava i passi compiuti da Bankitalia per contrastare e prevenire la corruzione al suo interno. Passi evidentemente non sufficienti dato che si stanno “valutando ulteriori strumenti e misure” nell’ambito “dell’attuazione degli orientamenti della Bce in materia di Quadro etico nell’ambito dell’Eurosistema e del Meccanismo di sorveglianza unico”. Gli strumenti che ci sono, sono stati introdotti in seguito all’entrata in vigore della legge anticorruzione del 2012 sistematizzando in un’organica strategia di prevenzione i diversi presidi di carattere normativo, organizzativo e procedurale adottati nel tempo. La Bianco ha spiegato anche che sono state introdotte nuove misure di prevenzione per i procedimenti amministrativi, con la previsione dell’obbligo di astensione dei dipendenti in caso di conflitti di interessi e, ancora più importante, sono stati avviati i lavori “per l’introduzione di un sistema di segnalazione delle condotte illecite”.

Un meccanismo, quello del whistleblowing, che quando verrà finalmente implementato varrà per il futuro e non certo per il passato. Ancora oggi il dipendente della Banca d’Italia che volesse segnalare fatti e circostanze a lui note che coinvolgono colleghi e superiori, lo dovrebbe fare a proprio rischio, esattamente come ai tempi in cui a capo della Vigilanza, e poi addirittura in posizione di Vicedirettore generale, c’era Anna Maria Tarantola, pupilla dell’ex governatore Antonio Fazio e grande amica di Gianpiero Fiorani. In quegli anni Brescia ha rappresentato uno spaccato perfetto del “sistema Bankitalia”. Un sistema che – è bene chiarire subito – è stato oggetto di denunce, di decine di interrogazioni parlamentari, di articoli, di inchieste e che ad oggi non è stato minimamente scalfito. Vicende sulle quali si vorrebbe mettere la sordina: le denunce paiono cadute nel vuoto, le interrogazioni sono rimaste tutte senza risposta. Funzionari e dirigenti coinvolti sono stati invece promossi, come da miglior tradizione italiana.

E che dire delle centinaia di esposti presentati dai clienti delle banche, privati e imprenditori, per denunziare illeciti gravissimi quali l’usura bancaria? Esposti lasciati cadere sistematicamente nel vuoto come testimoniano tanti, troppo casi. Al riguardo, la titolare del Servizio Tutela dei Clienti e Antiriciclaggio di Bankitalia non ha detto una parola, ma è chiaro che se la Banca d’Italia non farà trasparenza su questi fatti e non avvierà una seria opera di pulizia al suo interno, qualunque strumento venga introdotto per contrastare la corruzione risulterà ben poco credibile. Senza scomodare il commissariamento della Banca popolare di Spoleto che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati del governatore Visco, il recente caso della Banca popolare di Vicenza mette in evidenza lo strabismo dell’Autorità di vigilanza che si è mossa con grave ritardo e solo a crisi conclamata, mentre in questi anni alcuni dei suoi dirigenti si sono trasferiti alla corte di Zonin, contribuendo così ad alimentare il sospetto che su Vicenza Bankitalia usasse un occhio di riguardo. E’ proprio questo meccanismo delle porte girevoli, dei tanti ispettori che sono poi andati a lavorare presso le banche grandi e piccole che ispezionavano, assieme agli scambi di favori (fu proprio la popolare di Zonin, ad esempio, ad acquistare la sede di Vicenza della Banca d’Italia a un prezzo fuori mercato) a minare alla radice la fiducia nell’istituzione. Non solo “i baci sulla fronte” che Fiorani avrebbe voluto dare a Fazio, ma anche e forse ancor di più la protervia utilizzata nei confronti dei piccoli, di chi non ha appoggi potenti, come ad esempio lo scandaloso caso del commissariamento di Bene Banca, i cui fondi sono stati dirottati dal commissario nelle casse della Popolare di Vicenza in crisi di liquidità.

La crisi di credibilità e fiducia è alimentata dal non essersi mai una volta preoccupati di tutelare davvero il pubblico risparmio lasciando che banche in dissesto continuassero a finanziarsi collocando le loro azioni e obbligazioni presso gli ignari correntisti fino ad arrivare all’inevitabile show down. Ora la Banca d’Italia assume anche il ruolo di Autorità nazionale di risoluzione con il recepimento della direttiva Ue che istituisce fra le altre cose il meccanismo del bail in. Ciò che non è stato recepito di quella direttiva è però la richiesta di una grande trasparenza a favore di azionisti, obbligazionisti e correntisti per controbilanciare l’enorme potere discrezionale in capo alle autorità di risoluzione e ciò non contribuirà certo ad aumentare la fiducia dei risparmiatori. Il fatto poi che a svolgere il ruolo di Autorità nazionale di risoluzione sia la stessa Banca d’Italia, cui spettano compiti di vigilanza sul settore bancario, non fa altro alimentare potenziali e reali conflitti d’interesse, abbassando ulteriormente le tutele di correntisti e risparmiatori.

I primi a sperimentarlo sulla propria pelle saranno gli azionisti, gli obbligazionisti e forse anche i correntisti di Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, che si ritroveranno a fare i conti con il meccanismo del bail in (il fondo di garanzia ha infatti deciso di intervenire solo in seguito al recepimento della direttiva) senza che sia stato predisposto un meccanismo di valutazione e senza che sia stato sancito il diritto a incassare la differenza qualora il trattamento ricevuto risulti poi essere inferiore a quello che avrebbero potuto ottenere in caso di una procedura ordinaria di insolvenza.

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